di Alessandro Iacuelli

Il quadrimotore B-29 battezzato Enola Gay dal nome della madre del suo comandante, il colonnello Paul W. Tibbets, era partito alle 2.45 del 6 agosto 1945 dalla pista di Tinian, nelle isole Marianne.
Con il B-29 di Tibbets erano partiti altri due aerei, muniti di apparecchiature per rilevare gli effetti prodotti dallo scoppio; a loro volta i tre quadrimotori erano stati preceduti da altri ricognitori, che avevano il compito di segnalare a Tibbets, in base alle condizioni atmosferiche, su quale delle 4 città individuate come possibili obiettivi occorreva dirigersi.
A bordo sapevano di portare un carico eccezionale, come eccezionali erano le disposizioni date per quel bombardamento, diverso dai precedenti. Tra le misure prescritte c'era quella di indossare, alcuni attimi prima del lancio, occhiali scurissimi da tenere fino ad esplosione avvenuta. La contraerea giapponese non entrò in azione, si trattava di un solo aereo, ad altissima quota. A quota talmente elevata da non potere fare danni, con delle bombe convenzionali. Non fu neanche azionato l'allarme antiaereo per allertare la popolazione civile. Di solito, gli aerei americani che volavano a quote così alte erano dei semplici ricognitori. Alle 8, 15 minuti e 17 secondi, Little boy, questo il nomignolo dato alla prima bomba ad uranio 235, fu lasciato cadere dalla stiva del B-29. L'obbiettivo, individuato dal maggiore Thomas Ferebee, era il ponte Atoi sul fiume Otha, nella città di Hiroshima, città sulla costa sud-occidentale di Honshu, l'isola principale del giappone, con poco meno di 400.000 abitanti.

Il maggiore Ferebee vide l'ordigno uscire dalla stiva e puntare verso terra, del tutto simile ad una grossa bomba convenzionale, mentre l'aereo, improvvisamente alleggerito di cinque tonnellate, veniva sbalzato verso l'alto e Tibbets cominciava un'ampia virata per allontanarsi il più possibile dalla zona dell'esplosione.
L'equipaggio dell'Enola Gay racconterà più tardi di aver visto, parecchi chilometri sotto di loro, un punto di luce rosso porpora che si allargò ad una velocità impressionante, diventando un'enorme palla color fuoco, che fece impallidire la luce del sole, già alto nel cielo. Poi, con una successione rapidissima, il globo a sua volta esplose in una "massa smisurata di fiamme e nubi", con una colonna bianca proiettata verso l'alto, tra anelli di nebbia: a 3000 metri la colonna si allargò in un fungo mostruoso, che in breve arrivò a 15.000 metri d'altezza.

Qualche migliaio di metri più in basso, Hiroshima non esisteva più. Little boy era scoppiato a circa 600 metri dal suolo. Gli abitanti ebbero appena il tempo di percepire un bagliore accecante e subito un colpo di vento a 1200 Km/h fece volare case, uomini, tutto. Non avvertirono neanche il dolore o il calore che carbonizzava la pelle, o disintegrava tutti quelli che si trovavano a meno di tre chilometri dal ponte Atoi, stampando letteralmente le loro immagini sulla terra. Fu tutto troppo rapido per la percezione umana.

Nessuno dei sopravvissuti, cioè persone che erano ad almeno 5 Km di distanza dal ponte, è stato in grado di dire quanto tempo passò, forse soltanto pochi minuti; poi, su migliaia di esseri silenziosi, apatici, che cominciavano ad aggirarsi inebetiti, senza meta, (è un effetto caratteristico delle esplosioni nucleari), in una atmosfera dal grigio notte con strani riflessi gialli e rossi, cominciò a cadere una pioggia innaturale, fatta di enormi gocce nere ed oleose che picchiavano come martellate. Altre migliaia di persone, nella fascia tra i 5 ed i 10 Km dal ponte Atoi, si accorsero all'improvviso di non avere più abiti addosso, o di averne alcuni brandelli che bruciavano; cominciarono a guardarsi in faccia e si accorsero che non erano più volti umani, la pelle si staccava come una fodera scucita, lasciando scoperta la carne piagata e tumefatta.
Senza un lamento, si formarono lunghe colonne di corpi martoriati, avviate verso mete inesistenti, senza coscienza né individuale né collettiva.
La maggior parte di queste persone morì nel giro di poche ore.

Le morti si susseguirono, per giorni e settimane, al ritmo di qualche centinaio l'ora. Si calcolò che l'esplosione uccise subito 70.000 persone (quelle nella fascia entro i 3 Km dall'esplosione), altri 200.000 morirono per le ustioni o avvelenati dall'acqua (divenuta radioattiva) bevuta nei mesi successivi, o ancora per malattie tumorali e mali causati dalla perdita delle difese immunitarie causata dalle radiazioni.

Quella bomba fu un nulla di fronte alla potenza distruttiva di quelle attuali. Appena 20 kiloton, equivalenti come potenza esplosiva a 20.000 tonnellate di tritolo, si abbatterono su Hiroshima, e pochi giorni dopo su Nagasaki. Appena una formica, rispetto ai 50 megaton degli ordigni attuali, equivalenti come potenza esplosiva a 50 milioni di tonnellate di tritolo.

Sedici ore dopo, il presidente Truman annunciò l'avvenuta esplosione, facendo credere agli americani, ma anche a tutto il resto della popolazione mondiale, che si fosse trattato di un attacco contro un obiettivo militare.
Negli archivi dell'ANSA si trova ancora il dispaccio originale, delle 20.45 dello stesso giorno.

Sedici ore fa aerei americani hanno sganciato sulla base giapponese di Hiroshima il più grande tipo di bombe finora usate nella guerra, la "bomba atomica", più potente di ventimila tonnellate di alto esplosivo. Truman ha aggiunto: "Con questa bomba noi abbiamo ora raggiunto una gigantesca forza di distruzione, che servirà ad aumentare la crescente potenza delle forze armate. Stiamo ora producendo bombe di questo tipo, e produrremo in seguito bombe anche più potenti".

Ancora oggi si può inorridire di fronte a queste parole. Parole che hanno segnato tutto il Novecento, lasciando una profonda cicatrice.
Una cicatrice certamente non utile, rispetto al risultato finale della seconda guerra mondiale, guerra oramai agli sgoccioli, dopo la caduta di Berlino. Serviva davvero il lancio dell'atomica sul Giappone?
La tesi ufficiale statunitense, riproposta nel 1995, nel cinquantenario, su una serie di francobolli commemorativi della bomba, fortemente voluta da Bill Clinton, giustificò la strage con il risparmio di vite umane americane e l'accelerazione della pace.
In realtà, guardando ai fatti con la giusta prospettiva storica, quelle bombe atomiche non erano militarmente necessarie, ma furono usate politicamente come atto dimostrativo della potenza americana nei confronti dell'Unione Sovietica, sancendo la fine della seconda guerra mondiale e l'inizio della guerra fredda, a spese di centinaia di migliaia di vite di civili giapponesi.
Un atto col quale il mondo è scivolato nella spirale atomica, dalla quale ancora non siamo usciti.

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