di Sara Michelucci

Lo spettacolo nello spettacolo. Il teatro nel teatro. È questo il punto di forza di Himmelweg – La via del cielo di Juan Mayorga, per la regia di Marco Plini, con Giusto Cucchiarini, Marco Maccieri, Luca Mammoli e nel ruolo dei ragazzi gli studenti delle scuole.

Si parte dal racconto intriso di senso di colpa e pieno di verità dell’uomo inviato dalla Croce Rossa per stilare un rapporto sulle condizioni di un campo di concentramento. La costatazione di non aver colto l’inganno - compiuto dal gerarca nazista che controllava il campo e che aveva messo in atto una vera e propria pantomima in cui erano coinvolti i prigionieri ebrei - non gli dà pace e lo fa scivolare nella disperazione più assoluta.

Un’opera che rivede l’evento più tragico del novecento, la Shoah, da una prospettiva nuova e crudelmente paradossale. Un punto di vista altro da cui guardare questa immane tragedia. Un po’ come aveva fatto Benigni con La vita è bella, in cui la finzione diventa un modo per sfuggire la crudeltà del reale.

Il testo contiene una grande quantità di suggestioni sulla realtà e la sua manipolazione, ma soprattutto ha un grande valore di conservazione della memoria, che non ha nulla di patetico, ma che vuole riaccendere nella mente dei più giovani il ricordo e la conoscenza di un evento storico lontano, ma allo stesso tempo estremamente prossimo. Qualcosa che non deve diventare sepolto in un punto della storia lontano e nebuloso, ma ha bisogno di essere ricordato. Per questo il progetto coinvolge gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, che in questo modo possono avvicinarsi alla conoscenza di uno degli orrori più grandi del Novecento.

Bravi gli attori, che riescono bene a trasferire al pubblico, da un lato la disperazione degli ebrei rinchiusi, che tremano nelle loro baracche al suono di un treno che non sanno dove vada e che cosa trasporti; e dall’altro la lucida spietatezza dei loro carcerieri, che citano grandi filosofi e poeti, ma generano aberrazione e morte come se fosse qualcosa di scontato e banale. La messa in scena di un campo di concentramento dove i prigionieri sono trattati bene e addirittura sembrano essere felici stona con la realtà dei fatti. Ed è proprio in questa contrapposizione che si racchiude tutta la follia dell’Olocausto.

 

 

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