Ho visto Bellezze volare. Si chiama così l'opera scritta e diretta da Giulio Biancifiori e prodotta dall'associazione culturale La fucina delle parole, ispirata a un processo per stregoneria in Sabina, risalente al 1527/28. Il dramma mette insieme due linguaggi e due mondi in totale contrapposizione: quello della strega e quello degli inquisitori, quello di una donna del popolo coraggiosa e intelligente, che ama la medicina, e quello di oppressori vigliacchi e ottusi.

 

Una caccia alle streghe che evidenzia l'antitesi tra perseguitato e persecutore, tra oppresso e oppressore, dove però la voglia di libertà e il senso di autodeterminazione riescono a prevalere in un finale che può essere considerato lieto.

La condizione della donna è messa al centro del racconto, lanciando una sguardo al passato per parlare in qualche modo del presente. “La strega è condannata, perché donna e disobbediente e continua ad esserlo per gli stessi motivi. Nella mappa geografica antropica il Medio Oriente è popolato di streghe e tantissimi degli uomini che con loro convivono sono in tutto simili agli inquisitori di Bellezze. Comunque anche in Occidente non si scherza”, dice Biancifiori.

Altro tema al centro della storia è quello della complicità tra donne, di una sorellanza che viene ben rappresentata nel rapporto tra la guardiana Violante e la reclusa Bellezze. Un rapporto che rappresenta in un certo senso 'la salvezza' di quest'ultima, la quale riuscirà in qualche modo a decidere del suo destino, togliendolo dalle mani dei suoi aguzzini.

“Bellezze alla fine vince - prosegue il regista - lei stessa lo dice, ed è lei a punire il mondo privandolo della propria presenza. Bellezze autodetermina la propria sorte ed è fra le moltissime che oggi sono ancora ristrette in ambiti conculcati, ma hanno raggiunto potenza di propositi non più arginabile”. Ma c'è anche la paura del diverso a fare da sfondo all'intera vicenda, dove la ribellione a leggi grette e arcaiche fa il paio con una spinta verso il cambiamento sociale e culturale.


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