di Elena Ferrara

Un falco repubblicano si aggira nel mondo della grande finanza mondiale. E’ un uomo di Bush ed ha, ovviamente, fama di sceriffo; di uno che non molla e che difende coi denti e con le unghie gli interessi dell’economia statunitense. Per non farsi riconoscere, comunque, cerca di travestirsi da colomba. Ma il suo identikit è troppo noto. Ha lasciato in giro molte impronte digitali. E così questo grande sacerdote del tempio della globalizzazione neo-coloniale e del liberismo è il 53enne Robert Bruce Zoellick. Un neocon che viene dall’Illinois da una famiglia tedesca di origini ebraiche. Alle spalle ha una laurea in legge ad Harvard e una carriera presso il Dipartimento del Tesoro sotto Reagan e Bush padre. Si è poi dato alla grande finanza divenendo consulente presso la “Goldman Sachs”. E subito dopo una serie di azioni da falco in un think-tank che chiedeva la testa di Hussein. Ora George W. Bush lo ha scelto per guidare la Banca Mondiale e questo la dice già lunga sul ruolo che avrà d’ora in poi questo personaggio. Ha sostituito Paul Wolfowitz, caduto sotto il peso di uno scandalo di favoritismi, ma il cui destino era stato in realtà segnato dal passato di grande ideologo della guerra in Iraq e da una gestione considerata autocratica dell'istituzione multilaterale dedita alla lotta alla povertà. E mentre la “Banca mondiale” avvia una ristrutturazione cosmetica con l’arrivo di nuove nomenklature la Casa Bianca, appunto con l’aiuto del nuovo acquisto, avvia un processo che tende a modernizzare le sue politiche essenzialmente sul principio del neoliberismo più aggiornato. E in questa operazione di restyling si impegna a fondo il “Cato Institute”, che è uno dei più prestigiosi ed attivi think-thank economici del mondo, roccaforte della più pura tradizione liberista degli States. Parte, quindi, la campagna acquisti in favore del falco Zoellick mentre ci sono tutte le premesse per un’ulteriore svolta in favore della presidenza americana.

Con il nuovo grande “banchiere” che si è conquistato una reputazione di diplomatico duro, quanto pragmatico e non ideologico. Tra i suoi incarichi più delicati per l'Amministrazione aveva già seguito difficili trattative nell'ambito della Wto e la messa a punto della strategia nei confronti della Cina. Tanto che la sua riconosciuta abilità lo aveva già inserito nel novero degli aspiranti alla presidenza della World Bank nel 2005, quando la Casa Bianca gli preferì Wolfowitz.

Ora tutto è alle spalle e Bush conta su questo americano dell’Illinois anche per mettere un punto definitivo su uno dei capitoli più difficili nella storia della Banca mondiale che la propaganda statunitense continua a presentare come “la più grande istituzione multilaterale dedicata allo sviluppo economico e alla lotta contro la povertà”. Si cerca anche di far dimenticare molte di quelle nefaste azioni del passato. Perché – ricordiamolo – fu Wolfowitz ad arrivare alla Banca direttamente dagli uffici del Pentagono. Aveva allora due pesanti fardelli: il primo, quello di essere stato uno di principali ideologi del movimento neocon; il secondo, quello di aver appoggiato e incoraggiato la guerra contro l'Iraq. Ora sappiamo come sia avvenuta e perché la sua cacciata.

Ma nello stesso tempo sappiamo anche che – a suo tempo - cercò di introdurre parametri severi per l'erogazione di nuovi prestiti e cioè approcci nuovi che non risultarono graditi né a molti Paesi sviluppati le cui aziende in genere si aggiudicavano importanti commesse, né, tantomeno, a Paesi emergenti.

L’attività della Banca mondiale ha segnato, comunque, anche molti punti in negativo per la stessa potenza economica americana. Perché dietro all’anarchia del mercato si sono spesso profilati conflitti fra grandi spazi economici che non possono essere ignorati o dimenticati.

Tornando a Zoellick va anche detto che c’è una pagina importante nella sua biografia. Ed è quella che si riferisce al rapporto con la Cina. Zoellick basa, infatti, molte capacità manageriali sulla sua formazione di sinologo. E si sa già che sul suo tavolo direzionale sono allineati vari dossier che si riferiscono ad un tema comune, scottante: il rapporto fra la Banca Mondiale e la Repubblica popolare cinese. Si tratta di un grosso contenzioso che data da anni sin da quando, praticamente, Bush lo impegnò nelle operazioni relative alla adesione di Pechino all’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto).

In quel periodo Zoellick – che ricopriva la carica di Alto Rappresentante per il Commercio – ebbe il vento dalla sua parte e riuscì a portare la dirigenza di Pechino a firmare una serie di documenti estremamente impegnativi che gli valsero ottimi voti alla Casa Bianca e posti onorevoli nella nomenklatura che in quell’anno di presidenziali (il 2000) era diretta dalla Rice.

Ora Zoellick riprende in mano la pratica cinese tenendo conto che Pechino già nello scorso anno si è aggiudicato più della metà dei 23 miliardi di dollari di prestiti. Con buona parte di questi fondi che sono poi stati trasferiti in significativi investimenti in Africa. Ma a parte queste particolari destinazioni il nuovo esponente della banca ha ora come compito quello di riequilibrare i rapporti con la Cina di Hu Jintao superando, nello stesso tempo, lo stato di tensione esistente. Sa, infatti, che la Cina ha messo fine a decenni e decenni di isolamento economico e ha modificato la configurazione dell’economia globale.

E che sta vivendo, tra l’altro, una transizione morbida, da economia pianificata a economia di mercato. Zoellick se vorrà continuare ad avere credito a Pechino dovrà fare in modo che la Cina mantenga un buon rapporto con la World Bank seguendo un sentiero di stabilità. Proprio per questo dovrà cercare di spogliarsi dalle piume del falco. Operazione forse impossibile, viste le tendenze autoritarie del capo della Casa Bianca…

Ma non c’è solo l’Oriente che disturba i sonni del nuovo inquilino della Banca. C’è anche la questione africana, sempre carica di problemi e contraddizioni. E qui non va dimenticato che nel corso della sua carriera Zoellick, quando al Dipartimento di Stato era si era insediata Condoleeza Rice, assunse l’incarico di vice occupandosi soprattutto del Darfur, dove svolse una delicata e strategica missione negoziale nel 2005. Come vice segretario il suo maggiore impegno fu appunto proprio quello della crisi del Darfur, ovviamente in esclusiva difesa degli interessi Usa.

Numerosi poi i suoi viaggi nel Sudan – quattro, per la precisione – per cercare un accordo di pace tra il governo e il principale raggruppamento della guerriglia, l’esercito di Liberazione del Sudan. Ecco perché la scelta di Zoellick potrebbe profilarsi come una mossa strategica di Bush per assicurare agli Usa ed alle lobby energetiche un maggiore controllo dell’Africa, soprattutto da quando la Cina ha accelerato la sua progressiva espansione economico-commerciale nel continente nero.

Quanto alle reazioni mondiali l’arrivo di Zoellick sta già provocando qualche malumore nel Vecchio continente, al di là delle dichiarazioni di facciata sollecitate dallo stesso Bush che si è precipitato ad affermare che Zoellick è "un fautore dell'internazionalismo profondamente impegnato in favore della missione della Banca mondiale. Tiene ad aiutare i Paesi in difficoltà a sconfiggere la povertà. E' una persona estremamente qualificata che ha avuto la fiducia e l'appoggio dei leader di ogni regione del mondo".

Anche per il ministro dello Sviluppo tedesco, Heidemarie Wieczorek-Zeul, Zoellick è un "buon candidato, che porta con sè una vasta esperienza internazionale". Sin qui le lodi ufficiali. Ma c’è anche il direttore politico dell’“International Relations Center” – Tom Barry – il quale sostiene che il nuovo capo della Banca “considera la filosofia e gli accordi di libero commercio come strumenti degli interessi nazionali degli Usa”.

Rilevate queste posizioni si può anche dire che gli scenari futuri sono incerti. Ed una cosa sembra però sicura. Ed è che in vista delle prossime elezioni americane un personaggio come Zoellick rientra pienamente nella linea della peggiore tradizione dei neocons. Vincono, ancora una volta – quanto a controllo dell’economia mondiale – i poteri forti vicini all’amministrazione Usa.

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