di Ilvio Pannullo


Siamo bombardati da notizie che descrivono la nostra realtà, la qualità della nostra vita, il livello d’importanza della nostra nazione attraverso statistiche e numeri. Non esiste servizio, articolo o telegiornale che nel descrivere l’andamento piuttosto che lo stato dell’economia non parta e non finisca con una sterile elencazione di percentuali e grafici, che hanno come indiscusso nonché unico punto di riferimento il PIL: il Prodotto Interno Lordo. Noi ascoltiamo attoniti i commenti, mentre il nostro occhio inorridisce davanti a grafici e proiezioni che non hanno nulla di comprensibile. Istintivamente siamo portati a disinteressarci rispetto a quanto viene detto, dando ragione a quanti credono che la conoscenza sia potere e che dunque debba essere competenza di pochi. Nel far questo, purtroppo,nessuno che ci dice questo signor PIL, in realtà, chi sia, da dove viene, come si calcola e soprattutto quale direzione ci suggerisce di prendere. Iniziamo a capire chi sia questo sconosciuto dispensatore di saggezza. Per Prodotto Interno Lordo s’intende in economia il valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di tempo (solitamente l'anno) e destinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioni nette); non viene quindi conteggiato nel calcolo la produzione destinata ai consumi intermedi, che rappresentano il valore dei beni e dei servizi consumati e trasformati nel processo produttivo per ottenere nuovi beni e nuovi servizi. Il signor PIL può essere considerato anche come il valore totale della spesa fatta dalle famiglie per i consumi e dalle imprese per gli investimenti (l'identità vale in quanto la quota del prodotto destinata alla vendita ma non effettivamente venduta si traduce in un aumento delle scorte, che sono una componente degli investimenti) oppure come la somma dei redditi dei lavoratori e dei profitti delle imprese. Tale Prodotto è detto Interno in quanto comprende il valore dei beni e dei servizi prodotti all'interno di un paese, indipendentemente dalla nazionalità di chi li produce. È detto poi Lordo perché è al lordo degli ammortamenti, intendendosi per ammortamento il procedimento con il quale si distribuiscono su più anni i costi dei beni a utilità pluriennale.
Ad oggi è la misura basilare usata in macroeconomia ed è l’indicatore a partire dal quale vengono pianificate le politiche economiche del governo. Sappiamo, quindi, che se il signor PIL ingrassa il nostro governo è contento e ci racconta che tutto va bene, ma se il signor PIL, dopo essersi divorato mezzo mondo, inizia a perdere anche un grammo di tutto quel lardo ammassato in anni e anni di saccheggi, ecco che i governanti lanciano l’allarme: siamo in recessione, dobbiamo fare qualcosa per invertire la tendenza.
L’aspetto ridicolo della questione sta nel fatto che questo misterioso santone non solo concentra l’attenzione delle masse su di un concetto di sviluppo insostenibile, ma anche come indicatore macroeconomico è sostanzialmente fallace. Il Prodotto Interno Lordo si calcola, infatti, sui prezzi di mercato (PILM), arrivando così all’assurdo di considerare un avanzamento del benessere della società persino un aumento delle tasse (!). Se, infatti, il governo decide di aumentare le tasse sul lavoro o sull’impresa il risultato sarà l’inevitabile aumento dei prezzi per via della traslazione dell’effetto della tassa sul consumatore finale. Si registrerà, così, un aumento del PIL per la felicità dei governanti che – s’immagina – non soffriranno particolarmente dell’aumento dei prezzi. Dopotutto è il mercato, dolcezza.
Se si volesse conoscere veramente il livello di produttività di un paese si dovrebbe seguire sicuramente un altro il criterio. In primo luogo, non si dovrebbero calcolare gli ammortamenti come utile, perché l’attività economica per essere descritta correttamente deve essere descritta per quella che è e non per quella che sarà o per quella che dovrebbe essere. Non più, dunque, un Prodotto Interno Lordo ma un Prodotto Interno Netto. In secondo luogo, non dovrebbero essere utilizzati come riferimento economico i prezzi del mercato ma i costi dei fattori (PINF), il prezzo cioè al netto delle imposte indirette.
Ma andiamo oltre. Ciò che più importa è la direzione che ci indica il nostro falso tuttologo dell’economia. L’assillo dell’economia rimane, infatti, sempre e soltanto uno: crescere. Crescere sempre, senza immaginare un possibile limite ambientale né un’eventuale saturazione del mercato. Il nostro signor PIL oltre ad essere un ciarlatano è anche particolarmente stupido. Ad oggi non ha infatti ancora afferrato un semplice fatto che per gli scienziati è ovvio: la dimensione della terra è fissa. Né la superficie né la massa del pianeta possono crescere o restringersi. La stessa cosa vale per la quantità dell’energia terrestre: la quantità assorbita dalla Terra, seppur impressionante, è equivalente a quella che la terra irradia. La dimensione dell’intero sistema – la quantità delle acque, delle terre, dell’aria, dei minerali e di tutte le altre risorse presenti nel pianeta su cui viviamo - è fissa. Abbiamo così un’economia lineare che prevede l’estrazione, la lavorazione, la distribuzione, il consumo e il rifiuto dei beni mentre il nostro ecosistema è circolare, in costante trasformazione e perenne trasformazione.

Il cambiamento più importante avvenuto in tempi recenti sulla Terra è stato l’enorme crescita dell’economia che ha richiesto una parte sempre più grande delle risorse planetarie. La popolazione mondiale ha impiegato millenni per arrivare agli inizi del novecento a contare due miliardi di anime, salvo poi impiegare solo un secolo, quello appena trascorso, per triplicarsi. Il numero degli animali, delle automobili, delle case e dei frigoriferi è, come se non bastasse, aumentato in modo ancor più esponenziale. L’attuale monolitica idea alla base della nostra economia sta ora raggiungendo il punto di rottura, il momento cioè in cui la corsa allo sviluppo supererà la sostenibilità terrestre. Basta pensare che se tutto il mondo consumasse come gli Stati Uniti sarebbero necessari cinque pianeti come il nostro, per comprendere l’insostenibilità di questo modo di produrre e di consumare. Di pianeta, infatti, ne abbiamo solo uno.

Seguendo le dritte del nostro buffone, infatti, le principali filosofie di pensiero degli economisti sono tutte concentrare al sistema della circolazione del settore, a come distribuire in modo efficiente l’energia e le risorse, mentre tendono ad ignorare il suo sistema di smaltimento. È questo il motivo per cui questo menzognero ciarlatano non fa altro che ripeterci continuamente che non ci sono limiti alla possibilità della sua crescita.
È questo, dunque, un sistema in crisi. Un sistema che non funziona perché non può funzionare. Per nostra fortuna esistono persone che riescono ancora a ragionare con la propria testa e a riconoscere le bugie. Esistono persone che lavorano nell’ estrazione per salvare le foreste e la salute dei nostri mari e dei nostri laghi; persone che lavorano nella lavorazione per produrre in modo pulito, persone che si occupano dei lavoratori, del commercio equo e solidale, del consumo consapevole; persone che si attivano per bloccare discariche ed inceneritori e, cosa molto importante, per riportare il nostro governo sulla retta via, in modo che sia veramente formato dal popolo per il popolo. Tocca solo credere a quanto ci dicono e sostenere i loro sforzi, ognuno secondo le proprie possibilità.

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