di Alessandro Iacuelli

"In Italia i numeri del PIL, della ricchezza del nostro Paese e delle entrate dello Stato, tutti i numeri dell'economia, sono falsati dall'enorme dimensione dell'attività sommersa e mafiosa". L’affermazione non è di una qualunque organizzazione antimafia presente sul territorio, ma viene direttamente da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, intervenuta alla presentazione del libro Mafia pulita di Elio Veltri e Antonio Laudati. Nell'occasione, Marcegaglia ha sottolineato che "la guerra culturale contro ogni forma di mafia è un elemento essenziale prima di tutto per lo sviluppo sociale e civile. Se non riusciamo a coinvolgere una quota forte della popolazione non riusciremo a vincere la battaglia".

La lunga sequenza di belle parole non è certo finita qui; il massimo dirigente di Confindustria ha ricordato di aver posto un anno e mezzo fa, "come uno degli obiettivi della presidenza, il rispetto delle regole e la legalità". La presidente di Confindustria ha parlato di un giro d'affari della mafia nel mondo "di 1.000 miliardi di dollari". In Italia "il giro d'affari va da 175 miliardi di Euro, se si considerano le attività strettamente mafiose, fino a 400 miliardi di euro se si mettono assieme anche le attività sommerse". La mafia "è un cancro che avvelena la vita civile del nostro Paese e non solo, visto che grazie alla sue ramificazioni continua a crescere ed é davvero un fenomeno globale" che vale "mille miliardi di dollari". Ma in Italia la situazione "é particolarmente grave".

La Marcegaglia, seduta accanto al presidente della Camera Gianfranco Fini, che è intervenuto subito dopo di lei, ha concluso il suo intervento proponendo "un patto nazionale tra le varie forze politiche, la magistratura e le forze dell'ordine" per affrontare radicalmente il problema nell'ambito di una vera e propria "guerra culturale". La numero uno degli industriali si è rivolta anche ai cittadini, auspicando "una grande mobilitazione dal basso". E augurandosi che i cittadini comprendano che "una situazione come questa condanna tutti".

L’imprenditrice ha avvertito che i mafiosi "sono moderni e usano internet e le tecnologie più sofisticate per gestire le proprie operazioni illecite". Per combatterli, Confindustria ha deciso di voltare pagina rispetto ai "pur giusti appelli" e mobilitarsi "in prima persona", conducendo una "vera battaglia per una società e un'economia migliori".

In cosa consiste questo voltare pagina? A dire il vero non molto, oltre i soliti patti che a nulla servono se non seguono i fatti. In realtà Confindustria è rimasta sulle posizioni assunte esattamente due anni fa, quando nel settembre 2007 da viale dell'Astronomia partì lo slogan "fuori da Confindustria gli imprenditori che pagano il pizzo". Scelta sbagliata a priori. La proposta di espellere chi versa il pizzo alla mafia o alle altre organizzazioni criminali non può essere un sistema per risolvere il problema. Anzi Confindustria, essendo prima di tutto un'organizzazione di categoria, dovrebbe stare vicino all'associato che subisce un'estorsione.

Il risultato è che chi ammette di avere paura delle mafie e di pagare, vittima di estorsioni, viene espulso dalle associazioni di imprenditori, viene lasciato solo, viene ulteriormente isolato. Di conseguenza, chi paga deve anche pagare più in silenzio di prima. Non è certo di questo che c'è bisogno in Italia. Piuttosto che espellere le vittime delle mafie, sarebbe stato più opportuno espellere quegli imprenditori che con la mafia fanno affari, in tutta Italia trattandosi oramai di un fenomeno nazionale, e magari anche quelli che alla mafia devono le loro fortune.

Ovviamente di questo non se ne parla proprio. E molti di quei 400 miliardi di Euro di budget delle mafie continuano a transitare - e ad arricchire - imprenditori ed industriali che di onesto fanno solo la facciata, magari anche iscritti a Confindustria. Come non ricordare le parole dei Gian Carlo Caselli, oggi procuratore a Torino, raccontate in un'intervista all'Espresso lo scorso aprile: "La criminalità mafiosa che si fa impresa economica è il problema dei problemi. C'è il boss che fa direttamente impresa, anche usando prestanome. Quello che mette capitale in attività con altri soggetti, più o meno consapevoli. E c'è il mafioso che spolpa un'azienda già attiva e, quando l'ha svuotata, s'impadronisce del guscio e la gestisce in prima persona. Oppure continuando a lasciar apparire il vecchio titolare. In tempi di crisi e debiti crescenti, ovviamente aumentano gli spazi per spolpare e impadronirsi delle aziende".

Secondo Caselli, infatti, "con l'attuale sete di liquidità, é chiaro che questa massa di denaro, di provenienza mafiosa, garantisce vantaggi imponenti: l'imprenditore disonesto possiede capitali a costo zero, senza garanzie e senza debiti con le banche. L'azienda criminale, inoltre, non ha bisogno di produrre guadagni immediati: può puntare a conquistare nuove fette di mercato, con prezzi e condizioni che spiazzano ed espellono la concorrenza. E ancora, l'imprenditore mafioso non ha nessuna preoccupazione per i diritti dei lavoratori o per l'ambiente. Sa bene come ottenere le migliori condizioni da fornitori e dipendenti e, se ha problemi, può risolverli con la minaccia, la corruzione o la violenza". Il problema è ormai diffuso in tutto il Paese, e non solo nelle regioni del Sud a tradizionale presenza mafiosa. Già Falcone spiegava che la mafia uccide a Palermo, ma investe a Milano. Più l'investimento è lontano dall'attività illecita, più è facile passare inosservati e farla franca.

Ma tutto questo non è stato toccato neanche tangenzialmente dalla signora Marcegaglia. Confindustria continua ad accusare il Paese di essere vittima delle mafie e chiede una risposta da parte dei cittadini, quando in realtà la prima risposta alle mafie, che può solo essere il frenarle economicamente, può solo venire da chi l'economia la fa, cioè dall'industria stessa, e dalla sua organizzazione di categoria. Ma, ancora una volta, sono le parole di Caselli a dare il giusto valore a quelle della presidente di Confindustria: "C'è anche chi non vede o fa finta di non vedere. È il vecchio discorso: pecunia non olet, il denaro non ha odore. Forse ha ragione uno studioso come Salvatore Lupo: ormai c'è una richiesta di mafia anche al Nord".

 

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