di Mario Braconi

Matthew Tannin e Ralph Cioffi, ex manager dell’hedge fund di Bear Stearns, sono stati arrestati il 18 giugno del 2008: resteranno ben impresse nell'immaginario collettivo, non solo americano, le foto che li ritraggono, nei loro eleganti completi, con le manette ai polsi tra gli agenti del FBI. Il caso Tannin - Cioffi è cosa diversa da quello della banca che controllava il Fondo, la Bear Stearns, appunto, il cui destino era scritto nel bilancio che presentò a fine 2007: attività per 395 miliardi di dollari contro un patrimonio netto di poco più di 1 miliardo, con ricorso alla leva finanziaria pari a 35,5 a uno. Una autentica follia, destinata ad esplodere in faccia algli "strateghi" della finanza che l'avevano permessa e anzi benedetta, non appena si fosse materializzata una stretta sulla liquidità con conseguente corsa allo smobilizzo.

Un disastro, per una banca piena di attività improvvisamente divenute illiquide, quando non carta straccia; ma anche una grande occasione per JP Morgan: grazie al generoso contributo della Federal Reserve - trenta miliardi di dollari prelevati dalle tasse dei contribuenti americani - si è aggiudicata a prezzo di saldo una delle case più antiche e prestigiose (?) della finanza USA (la Bear Stearns fu fondata nel 1923 e sopravvisse onorevolmente alla Grande Crisi).

Cioffi, gestore di fondi, e Tannin, avvocato con mansioni di COO (Chief Operating Officer) dello High-Grade Structured Credit Strategies Enhanced Leverage Master Fund, controllato dalla banca d'affari, non sono accusati di aver procurato il fallimento della controllante, quanto piuttosto di avere deliberatamente mentito agli investitori pur conoscendo la drammatica situazione di mercato e i rischi gravissimi cui erano sottoposti i loro clienti.
Il processo ai due è iniziato ieri, 13 ottobre 2009 a Brooklyn, New York, davanti ad una corte federale. Per quanto incredibile, il procedimento giudiziario a carico di Cioffi e Tannin è l’unico caso in cui i direttori delle banche fallite (o quasi) in conseguenza della crisi dei subprime subiscono un procedimento penale: entrambi sono accusati di associazione a delinquere, truffa su titoli mobiliari, e di un reato tipico dell'ordinamento americano che potremmo tradurre truffa elettronica (cioè, truffa perpetrata mediante comunicazioni effettuate per via telematica).

Se venissero riconosciuti colpevoli del reato più grave, truffa su titoli mobiliari, potrebbero finire in prigione per venti anni. A Cioffi viene inoltre contestato il reato di insider trading, per aver ritirato 2 milioni dei suoi risparmi personali da uno dei fondi che gestiva, utilizzando in modo improprio (cioè, prima dei suoi clienti) informazioni riservate. In teoria Cioffi e Tannin dovrebbero essere essere preoccupati, se si pensa che il caso è nelle mani dello US Attorney di Brooklyn, Benton Campbell, ex membro della Task Force del Dipartimento di Giustizia che si occupò della Enron, il cui compito, chiosa l’agenzia di stampa finanziaria Bloomberg, è quello di organizzare processi contro i responsabili della crisi dei subprime e di portare a casa condanne "visibili": “gli imputati non sono chiamati in responsabilità per il collasso della Bear Stearns” ha dichiarato Campbell; “essi però avevano dei doveri nei confronti dei loro investitori, e hanno violato la loro fiducia: di questo oggi dovranno rispondere”.

Tutto vero, come negarlo? Eppure l’entusiasmo di Benton suona un po’ stridente, anche se è innegabile che funzioni bene dal punto di vista politico-sociale, fornendo un apparente e superficiale ristoro alla diffusa sete di giustizia made in USA conseguente alle scottature provocate da un modello del tutto illogico, anche se molto profittevole per privati, banche ed aziende. Anche perché se il crack della finanza di carta dietro agli eccessi del subprime ha provocato al sistema quasi 400 miliardi di dollari di perdite,  ad oggi si sono individuati solo due presunti criminali, Cioffi  e Tannin, appunto, i quali sono sotto scrutinio per danni di “soli” 1,4 miliardi. Domandarsi se i due non siano capri espiatori da esporre alla pubblica esecrazione come simbolo dei mali di un sistema di cui erano solo un ingranaggio, a questo punto, non pare un esercizio di garantismo peloso.

Sia come sia, da un punto di vista strettamente tecnico, la giustizia americana sembra dotata di pugno di ferro solo per i politici. Infatti, per riuscire a provare l’associazione a delinquere, il Governo deve dimostrare un accordo tra due o più persone; che, insomma, vi sia stata "un’intenzione collettiva di violare la legge”, come sostiene l’avvocato O’Callaghan dello studio Nixon Peadoby; “di solito in questi casi il governo si basa su testimoni o, meglio, sulle deposizioni di un corresponsabile poi ‘pentitosi’ o di qualcuno che conosceva direttamente i particolari degli schemi criminali.”

Il riferimento è al caso Eric Butler, un trader di Credi Suisse NY che ha venduto alle aziende sue clienti 1 miliardo di dollari di titoli, sostenendo in modo fraudolento che essi erano strutturati sulla base di prestiti agli studenti garantiti dal Governo Federale: Julian Tzolov, compare di Butler, ha riconosciuto le sue responsabilità patteggiando la condanna, ed accusando il suo complice, fornendo alla giustizia americana gli elementi per inchiodarlo. Nel caso di Cioffi e Tannin, manca uno "Tzolov", e quindi viene meno uno strumento essenziale per comprendere le motivazioni alla base della condotta degli accusati. E quindi provare la loro colpevolezza giuridica può risultare quasi impossibile.

Sembra proprio che, a dispetto delle 532 evidenze esibite e dei 38 testimoni, il governo, per ottenere una condanna per i due manager del fondo di Bear Stearns, dovrà basarsi sostanzialmente su citazioni delle loro parole, scritte nelle email o registrate dagli investitori nel corso delle conference call di aggiornamento. La pubblica accusa è entrata in possesso anche di tutte le e-mail di un account Gmail a nome di Tannin (successivamente da lui cancellato), nel quale il dirigente riversava i suoi più intimi pensieri: un quadro a luci ed ombre, che raffigura un uomo soddisfatto di guadagnare quasi 2 milioni di dollari l’anno, ma anche devastato dall’ansia, praticamente dipendente da farmaci anti-stress e antidepressivi, e sull’orlo di una crisi religiosa (!). Lo stesso che ammetteva di avere una gran paura che “il fondo non venga gestito nel modo in cui avrei desiderato” e che ciò esponesse gli investitori a “rischi esplosivi”.

Anche se Tannin viene immortalato a dire frasi che comprovano in modo inequivocabile la sua corretta percezione della crisi (“il mercato dei CDO è bollito”, “il mercato dei sub-prime fa veramente schifo”, "se le analisi hanno un minimo di verità, dovremmo chiudere il fondo ora”) uno dei suoi avvocati spiegherà che “si trattava degli stessi discorsi che si facevano dappertutto, dalla Casa Bianca al tinello di casa, per capire dove la crisi sarebbe andata a parare. Quando sono lette nella loro completezza, le frasi hanno un significato diverso da quello che mostrano quando vengono estrapolate per rimpinguare gli atti di accusa”. Insomma, non solo Cioffi e Tannin sono i soli due manager ad affrontare un processo penale a seguito della crisi subprime, ma c'è da scommettere che, pur avendo truffato i loro clienti, se la caveranno con poco.

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