di Giuliano Luongo

Ci avviciniamo alla fine dell’anno, periodo nel quale si presentano una serie di minacce più o meno inquietanti. Non essendoci lo spazio per perdere tempo commentando le tragedie legate ai regali alla suocera e ai cinepanettoni, è opportuno - tanto per influire negativamente sulla cronicità della nostra gastrite - dedicarsi alla compilazione di alcune riflessioni su due grandi punti interrogativi legati alle tasche degli italiani ed a quelle delle nostre tragicomiche istituzioni governative.

Per essere più precisi, il riferimento va alle conseguenze della tagliuzzante legge di stabilità - non è più di moda chiamarla legge finanziaria, sarà che si vuole fingere meglio di seguire i dettami del Patto di Stabilità UE - e, in parallelo, all’intrigante situazione del rapporto tra quantità di denaro nelle casse statali/obblighi di ripaga mento obbligazioni statali. Riflessione obbligatoria: il Ministro dagli occhiali alla Harry Potter e dalla voce di uno che ha indossato per troppo tempo jeans orribilmente stretti, ha fatto bene i calcoli oppure sta azzardando un po’ troppo con manovre che richiamano la cara vecchia “finanza creativa”?

Partiamo da un assunto: a cosa serve l’emissione di obbligazioni di stato (Bot, Cct eccetera)? Formalmente a rimpinguare in momenti più o meno critici le casse dello Stato, per fare fronte a spese pubbliche “correnti” o per soddisfare particolari condizioni di sopravvivenza dettate dalla organizzazione regionale o internazionale di turno. La tipica obbligazione consiste semplicemente nel prendere denaro a prestito, per poi restituirlo con l’aggiunta di una percentuale. Ecco, la chiave del problema: restituzione.

Un’operazione di rifinanziamento del debito di un paese che si basi sul piazzamento sul mercato di titoli di Stato deve tenere in conto ciò che accadrà l’anno successivo (oppure ovviamente alla fine del periodo considerato), onde evitare di scalfire ulteriormente la situazione economica del paese che si crede di risanare. Entriamo ora nel merito del caso del nostro paese: attualmente il totale delle restituzioni dello scorso “giro” di obbligazioni ammonta, centesimo più, centesimo meno, a 160 (centosessanta) miliardi di euro.

Un simile buco nero, naturalmente, ha bisogno di essere messo in regola quanto prima e, visto lo stato di salute dei conti pubblici nostrani, non sembrerebbe cosa da poco; ma per quanto possa sembrare assurdo, l’exit strategy da questo potenziale naufragio era già ben chiara nelle menti statali dall’inizio dell’anno: l’uovo di Colombo, ossia ripagare i propri debiti sottoscrivendone di altri. Facile, no?

I primi otto mesi dell’anno, in effetti, hanno mostrato un trend alquanto soddisfacente nel collocamento dei titoli di Stato, dove circa il 65% ne è stato piazzato fino alla metà di agosto: nonostante le “turbolenze” politiche più recenti (compreso il delirio del 14, con tanto di compravendite di parlamentari) le aste hanno continuato a tenersi, imperterrite. I risultati, in particolare nelle ultime tornate di vendita, sono stati addirittura più “rosei” di quanto si potesse pensare, con l’offerta che è stata “doppiata” dalla domanda a fronte di un rendimento che ha superato il 2% annuo.

Complice la fragilità di altri paesi europei e i vantaggi in termini di rendimento rispetto ai Bund tedeschi, i nostri titoli sono riusciti a mantenersi competitivi ed hanno trovato sbocco in maniera relativamente facile. Complice anche la serie di tagli della finanziaria (scrivere ogni volta legge di stabilità è una tortura), le agenzie di rating sembra che abbiano inteso una sorta di trend alla ricerca della stabilità del nostro governo, e pertanto si sono astenuti da tagli più o meno selvaggi nel giudicare la qualità dei nostri titoli.

Ecco appunto, la finanziaria: per tenere calmi gli espertoni del rating, e più in generale per contenere la spesa, si sceglie sempre di colpire - alternativamente o simultaneamente - istruzione e ammortizzatori sociali (Irlanda docet). Nel nostro caso, la stangata è arrivata sulle teste degli universitari, e non parliamo degli studenti: i tagli all’università pubblica continueranno fino al 2013, partendo con un -8% abbondante nel 2011 (percentuale rispetto al 2010) per poi infierire con altri due tagli del 2,65% e dello 0,80% a cadenza annuale. Potremmo infierire parlando poi della riforma del sistema universitario, ma non vogliamo esagerare.

E non va bene nemmeno agli enti locali, che perdono 6,3 miliardi di euro. Si noti che nella top5 dei tagli più ingenti c’è anche l’Abruzzo, che come tutte le aree terremotate se la passa alla stragrande. Ricordiamo anche i tagli del 66% alle risorse per le politiche sociali, accanto a quelli del 75% per le risorse destinate al 5x1000: in compenso, però, rimangono un bel po’ di soldi da parte per le missioni militari all’estero, per le 26 auto di scorta di Silvio e per il drenaggio infinito di pecunia da parte di ogni fortunello la cui campagna elettorale abbia avuto successo. Un capolavoro.

Visto che, in effetti, era fondamentalmente risaputo il tipo di disastro al quale si andava incontro, traiamo una conclusione meno diretta (rispetto alle semplici contumelie): per gli operatori, gli analisti, gli spettatori da Bruxelles, l’atto del tagliare le gambe alle fasce deboli di un paese e ai giovani (tramite l’omicidio premeditato di università pubblica e ricerca) viene inteso come un segnale di consolidamento dell’economia e di ricerca di stabilità. Bene. Si può dire che gran parte del malcontento generato da queste decisioni (assieme al circo parlamentare del 14) abbia contribuito a scatenare lievi rivolte urbane: ergo, dove diamine è la stabilità? Stabilità economica e sociale vanno di pari passo ed un paese in cui anche una minima fetta di popolazione ricorre alla forza bruta per protestare non solo non cresce, ma non va da nessuna parte.

Potremmo comunque dire che, a fronte di queste decisioni quantomeno opinabili, al Ministero abbiano almeno saputo gestire il caso dei miliardi in obbligazioni da restituire. Ecco, la parolaccia di prima: restituzione. I cari bond di cui sopra andranno ripagati l’anno venturo. Sapendo che la domanda è molto alta e che il loro valore è in aumento, fra 365 maledetti giorni il buco sarà più grande. A fronte di una lotta all’evasione fallimentare (+6,7% solo nel Q1 2010, leaders Lombardia e Veneto), di una spesa pubblica che non va tagliata dove si deve e che rimane alta nonostante la distruzione di alcuni settori chiave, e di un circuito del reddito che perde colpi grazie a cervelli in fuga ed imprenditori in fuga ancora più veloce, sembra che l’anno venturo si debba solo sperare di collocare altri bond, fino ad esaurimento scorte.

O esaurimento fessi. Ricorda tanto la filosofia di Charles Ponzi, nella quale si manda avanti una finanziaria senza investire nulla, ma pagando i creditori con i soldi dei nuovi obbligati. Ci ha provato anche Bernie “Evil” Madoff. E l’ha sperimentato sul campo l’Argentina. Non è finita bene.

 

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