di Ilvio Pannullo

Sembra quasi si nascondano. Le decisioni da prendere sono molto importanti e invece di condividere la responsabilità delle scelte con le popolazioni interessate, i governanti europei - più burocrati che statisti - decidono di riunirsi nel pieno della notte, quasi a voler evitare il contatto con la realtà. È accaduto così che l’altro ieri sera i ministri finanziari dell'Eurozona non abbiano dato il via libera alla quinta tranche da 12 miliardi di prestito alla Grecia, in attesa della fiducia al nuovo Governo Papandreou, che si voterà domani, e del tanto sofferto si di Atene al piano di austerità.

Se da una parte è dunque vero che l'eurogruppo ha effettivamente preso l’impegno con Atene, per sostenere il debito ellenico attraverso un ulteriore prestito di 12 miliardi, dall’altra è vero anche che il Fondo Monetario Internazionale ha imposto che l’erogazione dell’aiuto sia vincolata all’approvazione di riforme socialmente devastanti. Drastico il commento del tedesco Wolfgang Schäuble, Ministro Federale delle Finanze: “Tutto dipenderà dalla Grecia”.

Dunque, l'Eurogruppo apre (forse) i cordoni della borsa.  Ma solo per 12 miliardi (8 a carico dell'Europa, 4 del Fmi). Il minimo indispensabile per garantire ad Atene due mesi di ossigeno. Tuttavia, nemmeno quest'obiettivo minimo, del resto, è dato per sicuro al termine della cena di lavoro che ha riunito i grandi d'Europa. Il Fondo Monetario, infatti, insiste perché gli aiuti vengano erogati solo dopo il si del Parlamento greco al “pacchetto austerità” messo a punto con gli esperti di Bce, Ue e dello stesso Fmi. Una scena già vista molte volte, tanto in Centro-America quanto nel Sudest-Asiatico: si prestano a nazioni in difficoltà ingenti somme a tassi usurai, per poi far pagare capitale e interessi alle popolazioni, con tagli alla spesa sociale e privatizzazioni dei servizi pubblici essenziali.

 Essendo tuttavia  in gioco, questa volta, il futuro di uno Stato europeo ed essendo gravi ed esponenziali le possibili conseguenze di una bancarotta nell’eurozona, nelle more di una decisione, l'Europa potrebbe limitarsi a versare una tranche da 6 miliardi, sufficiente per sopravvivere fino a fine luglio, guadagnando tempo per individuare un accordo definitivo sui quattrini: almeno 100 miliardi oltre ai 110 già approvati e concessi nel 2010, necessari per evitare il default.

Stavolta l'operazione dovrebbe coinvolgere anche i privati sotto una forma “volontaria”: i titoli greci in scadenza dovrebbero essere rimborsati integralmente (al 100%), ma le banche saranno obbligate a sottoscriverne di nuovi con scadenze lunghe e cedole possibilmente basse.

E' questa una delle ipotesi prese in considerazione nella riunione serale dei ministri delle Finanze dell'Unione, che trattano sulla base della formula già adottata a Vienna nel 2009 per gli aiuti alle economie dell'Est Europa: accanto agli Stati, come in quell'occasione, si dovranno muovere in forma “volontaria” le grandi banche allargando il credito ad Atene.

Intenzione questa che è sintomo di quanto poco si creda a livello europeo a una possibile ripresa del Governo greco: temendo il peggio si cerca di estendere le responsabilità al maggior numero di soggetti.  Mal comune mezzo gaudio. Con i titoli del debito pubblico a breve scadenza vendibili sui mercati solo a rendimenti altissimi - a differenza di quelli a lunga scadenza - i mercati dimostrano di aver già espresso il loro giudizio, lasciando trapelare la convinzione di un prossimo imminente crollo.

Strozzato dagli usurai della BCE e del FMI, il premier greco George Papandreou ha chiesto così il voto di fiducia in Parlamento dopo il rimpasto di Governo. Mossa questa che ha placato gli animi del suo partito, mentre l’opposizione conservatrice rimane ferma nella sua richiesta di elezioni anticipate, dopo aver rifiutato l’invito del premier a formare un Governo di unità nazionale. A spiazzare tutti è stata l’abile mossa del primo ministro Papandreu di concedere al suo primo avversario politico, l'attuale ministro della Difesa, Evangelos Venizelos, la poltrona più importante: quella del Ministero delle Finanze. La votazione della fiducia si terrà domani.

Papandreou ha inoltre chiesto che venga convocato in autunno un referendum per varare un “cambiamento del sistema politico” del Paese, inclusi emendamenti alla Costituzione. “Vi chiedo il voto di fiducia - ha detto il premier in Parlamento - perché siamo giunti ad un bivio critico: il debito e i deficit sono problemi nazionali che ci hanno condotto in uno stato di sovranità limitata, che ci ha permesso di sfuggire alla bancarotta ma da cui dobbiamo venire fuori ad ogni costo”. La manovra politica non ha però minimamente fiaccato lo spirito degli indignati greci, che ogni giorno continuano a darsi appuntamento in Piazza della Costituzione, davanti la sede del Governo ormai scenario di continui violenti scontri con le forze dell’ordine. La protesta è popolare e nazionale e, oltre ad Atene, anche a Salonicco, a Sparta e in tutta la Grecia si continua a scendere in piazza sventolando le bandiere nazionali e fischiando la rabbia di una situazione che oggi è critica e, per domani, si prevede peggiore.

Mentre la Grecia brucia di rabbia, i Ministri dell’eurogruppo si sono nuovamente mostrati divisi sulla gestione del piano di aiuti e in particolar modo sull’ipotesi di un ingresso dei privati nella gestione della crisi greca. Jean-Claude Juncker, il primo ministro del Lussemburgo che presiede anche i vertici dei 17 ministri delle Finanze della zona euro, ha detto chiaramente che gli aiuti ci saranno se la Grecia riuscirà a far passare la manovra di 28 miliardi di euro con tagli alla spesa, aumenti delle tasse e nuove riforme economiche entro la fine del mese.

Da una parte dunque gli indignati in piazza, che si organizzano tramite i social network creando legami internazionali tra movimenti che coinvolgono tanto i giovani, quanto le famiglie e i cinquantenni travolti dalla crisi; dall’altra i freddi contabili delle istituzioni economiche internazionali, strozzini legalizzati dalla legge del profitto, che richiedono tagli alle pensioni, alla scuola pubblica, alla sanità e a tutto quanto ricordi l’idea di una redistribuzione del reddito tra le classi sociali più fortunate e quelle più povere.

Il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito, infatti, l’élite politica dell’Europa che sta giocando col fuoco per via dei suoi fallimenti nel contrasto alla crisi economica che sta divorando la Grecia. Il controllore che ha sede a Washington ha previsto che potrebbe scatenarsi una nuova ondata di agitazioni nei mercati finanziari se i leader europei puntelleranno ancora la disastrata periferia dell’eurozona. Se si pensa che nel suo rapporto quadrimestrale sulla salute dell’economia globale, il FMI ha apertamente attaccato la sovranità della prima superpotenza mondiale, affermando che il governo degli Stati Uniti dovrebbe smettere di rinviare le decisioni sofferte che sono richieste per tenere sotto controllo il forte deficit di bilancio, si comprenderà forse meglio chi tira i fili dello spettacolo e chi, invece, si limita a stare sulla scena con la stessa dignità di un pupazzo.

Il direttore del FMI, Jose Vinals, ha affermato: “Non ci possiamo permettere un’economia mondiale in cui decisioni di questa importanza vengono posticipate perché ci si permette di giocare col fuoco”. Secondo il FMI, se questi problemi non verranno presi di petto, nuovi “contraccolpi” potrebbero “riverberarsi nel resto del mondo” che metterebbero in “seria difficoltà” le banche per poter raccogliere i fondi.

Già le banche. La salute finanziare e la credibilità delle banche su tutto e tutti. Il crudo messaggio rivolto ai leader dei paesi industrializzati è giunto proprio mentre la Germania e la Francia stavano cercando di mostrare un fronte unito nelle trattative del secondo salvataggio per la Grecia. Insomma o si fa quello che dicono loro, o si muore.

 

 

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