di Carlo Musilli

Ancora mani nei capelli a Piazza Affari, che ieri ha lasciato sul campo più del 3%. Neanche a dirlo, maglia nera d'Europa. Come Willie il Coyote, gli operatori di Borsa hanno creduto di vedere una luce infondo al tunnel, ma era solo il fanale del treno che stava per travolgerli. Dopo i sospiri di sollievo e le pacche sulle spalle per la rapidità con cui è stata approvata la manovra finanziaria, oggi l'Italia ha dovuto fare i conti con il cinismo dei mercati. E ci siamo accorti che tutti quei miliardi di tagli e nuove imposte, almeno per il momento, non hanno ottenuto lo scopo desiderato.

A trascinare nel baratro il listino di Milano sono stati soprattutto i titoli bancari, che hanno fatto segnare perdite da incubo. E questo la dice lunga anche sul credito di cui godono a livello internazionale i famosi stress test della European Banking Authority, tutti superati (quasi) a pieni voti dagli istituti italiani. Proprio questo è il vero punto dolente. Si pensava che la promozione dei cinque maggiori istituti di credito italiani alle prove sulla solidità di capitalizzazione avrebbe finalmente spento la sete degli speculatori. Ci si aspettava un "rimbalzo", vale a dire una netta ripresa dopo le gravi perdite delle ultime sedute.

Così non è stato. E la ragione è tragicamente semplice. Quelle stesse banche sono stracolme di titoli di Stato italiani e questo non può che spingere a scommettere contro di loro. Non c'è stress test che tenga: l'Unione Europea non ha ancora messo in campo un piano minimamente affidabile per traghettare la Grecia verso la salvezza, dunque l'ipotesi che la crisi del debito si espanda ai Paesi periferici dell'eurozona è più che probabile. E fra questi Paesi, è evidente, i mercati puntano il dito contro di noi. Come in un reality show, siamo stati nominati. Sia perché abbiamo un debito pubblico mostruoso, sia perché appariamo totalmente alla deriva dal punto di vista amministrativo.

Il quadro è confermato dal continuo espandersi dello spread fra i Btp e i Bund decennali. Il differenziale di rendimento fra i titoli di stato italiani e tedeschi è schizzato ancora una volta verso la troposfera, superando i 335 punti base. Tradotto, questo significa che per convincere gli investitori a finanziare il nostro debito dovremo pagare degli interessi sempre più alti. A sua volta questi maggiori esborsi porteranno con sé un ulteriore aumento del debito. Insomma, un cane che si morde la coda. Con buona pace di Tremonti, ancora convinto che basti tirare delle righe più o meno a caso sulle varie voci di bilancio per far quadrare i conti.

Ora sarebbe il caso che il superministro rendesse ragione del suo fallimento, anche se probabilmente nessuno sarà in grado di richiamarlo alle sue responsabilità, né dall'opposizione, né tantomeno dalla maggioranza. La velocità fulminea con cui è stata approvata la manovra aveva degli scopi precisi: rassicurare i mercati, allontanare gli speculatori, contenere la diabolica forbice dello spread. Nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto. Sono bastate poche ore per rendersene conto. Perciò tanto valeva prendersi più tempo per scrivere la legge e partorire un testo più assennato. Magari un provvedimento che, aldilà della pura aritmetica contabile, contenesse norme che in grado di farci crescere nel lungo periodo.

In ogni caso, è anche possibile che la realtà sia più semplice di così. Dire che i mercati hanno bocciato la manovra è forse un po' ingenuo. E' difficile pensare che tutti gli investitori internazionali si siano accuratamente spulciati le pagine della nuova legge fra la sera di venerdì e la mattina di lunedì. L'Italia non è stata bocciata perché le misure appena approvate in Parlamento appaiono inadeguate alla comunità finanziaria. Purtroppo la situazione è ben più grave. Continuiamo a ricevere attacchi semplicemente perché non siamo un Paese credibile. Il verdetto dei mercati non è tanto contro la singola legge, ma contro l'intero Governo.

Nessuno ritiene che il nostro Esecutivo abbia la forza per fare le riforme di cui l'Italia avrebbe davvero bisogno. In questo senso, l'ultima manovra rappresenta solo un'ulteriore conferma di cui forse non c'era neanche bisogno. Agli osservatori europei già sembra assurdo che la maggioranza di Berlusconi sia ancora in piedi, figurarsi se possono credere a un piano di rilancio. I nostri cugini del continente sono più attenti di quanto crediamo. Si sono accorti che il braccio destro di Tremonti è indagato per corruzione e che lo stesso superministro è in rotta sia col Pdl che con la Lega. Sanno anche che il ministro per le Politiche agricole è indagato per mafia, che non abbiamo idea di chi nominare alla Giustizia e siamo in forte imbarazzo sul nome da scegliere per il dopo Draghi al vertice di Bankitalia. Purtroppo, non gli sfugge nemmeno che il lunedì è meglio lasciare in pace il premier italiano, perché è impegnato in tribunale.

Da questo punto di vista é davvero significativa l'ultima copertina di Der Spiegel, uno dei periodici più autorevoli d'Europa, vero totem della stampa tedesca. In prima pagina, sotto il titolo "Ciao bella", c'è un'odiosa vignetta. Sul disegnino stilizzato dell'Italia sta in piedi il nostro primo ministro vestito da gondoliere. Sotto di lui ci sono due sirenette tutt'altro che innocenti, piuttosto simili a due personaggi tristemente noti a tutti noi. In mezzo, un po' in secondo piano, il dettaglio più inquietante. Un piatto di spaghetti con sopra una P38, richiamo evidente agli anni di piombo. Quasi a ricordarci che noi la chiamiamo seconda Repubblica, ma in fondo la cesura storica ce la siamo inventata di sana pianta. Governiamo ancora come quando c'era la lira. 

 

 

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