di Carlo Musilli

Alla fine di un lungo travaglio, giovedì sera si è concluso uno dei parti più dolorosi che l'Europa abbia affrontato nella sua storia unitaria. Finalmente da Bruxelles è arrivato un programma concreto per salvare la Grecia dalla bancarotta. Era ora. Anche in Italia possiamo tirare un lungo sospiro di sollievo. Dai nostri incubi si allontanano i mostri della speculazione e i fantasmi di un debito pubblico che rischiava di farci morire dissanguati.

Dopo ore di colloqui, i diciassette capi di Stato e di Governo dell'Eurozona si sono accordati sugli aiuti da destinare al Paese ellenico: 109 miliardi di euro. Ma non finisce qui, questi sono solo i fondi messi a disposizione da Ue e Fmi. C'è poi il tanto vituperato "settore finanziario" che, stando alle parole di Nicolas Sarkozy, nei prossimi 30 anni sosterrà la Grecia per una cifra pari a 135 miliardi.

L'intervento sarà "su base volontaria" (neanche troppo) e consisterà nello scambio di bond o nelle più oscure pratiche del "rollover" e del "buyback". In sostanza, i privati che già possiedono titoli di Stato di Atene sono chiamati a riacquistarli alla scadenza, sostituendoli però con obbligazioni di durata maggiore e dagli interessi meno redditizi.

Insieme a Irlanda e Portogallo (gli altri due Paesi destinatari di aiuti internazionali), la Grecia potrà poi beneficiare di più tempo per restituire i prestiti: dagli attuali sette anni e mezzo, le scadenze si dilateranno a un minimo di 15 anni, che potrà estendersi fino a 30. Il tutto con dei tassi d'interesse ben più bassi di quanto sperimentato finora, dal 4,5 al 3,5%.

Ma la parte più interessante del nuovo piano arriva con l'entrata in gioco dell'Efsf, il Fondo Ue "salva-stati", nato appena un anno fa. I suoi poteri saranno estesi, arrivando a comprendere la possibilità di acquistare titoli di Stato (non solo greci, ma di tutti i "Paesi in difficoltà") anche sul mercato secondario (vale a dire le piazze dove girano le obbligazioni scambiate abitualmente, non quelle appena emesse, che invece costituiscono il mercato primario). Insomma, se ancora non siamo arrivati ai tremontiani Eurobond (titoli sul debito pubblico comunitario), poco ci manca.

In realtà questo passaggio ha anche una fondamentale importanza politica. Affidando all'Efsf il compito di riempirsi di spazzatura, l'Europa solleva da questa gravosa responsabilità la Bce. Si tratta di una moneta di scambio. Lo scaricabarile sul Fondo salva-stati ha portato Jean Claude Junker, presidente dell'istituto di Francoforte, a lasciar perdere la crociata contro il coinvolgimento dei privati nel piano di salvataggio.

A ben vedere, l’hanno chiamato Piano Marshall più che altro per megalomania, o forse solo per nobilitare la miserabile condizione in cui si è ridotta la moneta unica ad appena dieci anni dalla sua nascita. Fatto sta che il paragone storico sembra un po' azzardato, se confrontiamo le prospettive dell'economia Usa nell'immediato dopoguerra a quelle dell'Ue nei primi anni Dieci del Duemila. Eppure, arrivati a questo punto, c'è veramente di che rassicurarsi.

Fino a poco prima del vertice comunitario, infatti, le cose sembravano aver preso una piega ben diversa. Al punto che quel cervellone di Jean Claude Junker, presidente dell'Eurogruppo, arrivando in mattinata a Bruxelles, aveva pensato bene di dichiarare urbi et orbi che la possibilità di un default greco non era da escludere. Parole che, come era ampiamente prevedibile, hanno avuto il solo risultato di far crollare d'un colpo le Borse europee.

Ma il buon Junker non aveva tutti i torti, almeno stando a quello che è successo nella notte berlinese tra mercoledì e giovedì. Al termine di un colloquio durato sette ore, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel erano arrivati a un'intesa piuttosto preoccupante. Avevano previsto, infatti, un "default selettivo" (cioè limitato e controllato) del debito greco.

Un vero rischio, soprattutto perché una scelta del genere avrebbe messo l'Europa del Sud in balia delle odiose agenzie di rating targate Usa. Il probabile filotto di downgrade sui debiti dei Paesi periferici dell'Eurozona avrebbe potuto scatenare un effetto domino difficilmente controllabile. Si sarebbe così  potuta verificare l'ipotesi più temuta: l'estendersi della crisi debitoria anche a Spagna e Italia.

A quel punto per noi italici sarebbe stato l'armageddon, considerando che già da settimane siamo nel mirino della speculazione internazionale. Per fortuna così non è stato. Questa versione posticcia del Piano Marshall per la Grecia ci ha davvero levato le castagne dal fuoco.

Se Atene è salva, improvvisamente anche la nostra situazione non desta più tante preoccupazioni. E' così soprattutto agli occhi degli speculatori, che dalla sera alla mattina non hanno più tutte le ragioni del mondo per scommettere contro di noi. Certo, qualcuno potrebbe continuare, ma se così fosse le ragioni non andrebbero più ricercate nel quadro internazionale, quanto nella nostra patetica condizione interna.

Difficilmente potremmo chiedere all'Europa più di quello che ha già fatto. Nel documento finale del vertice, i Paesi dell'Eurozona hanno perfino avuto lo stomaco di inserire un paragrafetto per complimentarsi con noi: "Apprezziamo il programma di bilancio presentato recentemente dal governo italiano, che assicurerà il ritorno del deficit sotto il 3% nel 2013 e il pareggio di bilancio nel 2014". Queste parole, insieme al piano per i nostri cugini greci e all'abbandono dell'idea francese di tassare le banche, hanno fatto sì che Piazza Affari chiudesse la settimana in testa alla classifica continentale, facendo segnare un roboante +3,76%. A questo punto, se cadremo ancora, sarà solo per colpa nostra.

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