di Carlo Musilli

Ai danni miliardari seguono beffe colossali. E chi riteneva che esistesse un limite oltre il quale nemmeno i boss della finanza potessero spingersi si deve ricredere per l'ennesima volta. Sono bastate poche pagine a JP Morgan per screditare la tradizione politica e culturale di mezza Europa. In un documento dello scorso 28 maggio - appena 16 cartelle - la super banca americana ha pensato bene di salire in cattedra per spiegare ai governi dell'Eurozona come risollevarsi dalla crisi del debito.

Di per sé questa non sarebbe una novità, i report didattici dei colossi bancari ingombrano archivi interi. Stavolta però l'istituto è andato oltre, puntando il dito contro diverse Carte Costituzionali del vecchio continente, colpevoli d'esser state scritte sulla scorta d'un'ispirazione ideologica antifascista.

“I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo - scrivono da JP Morgan - presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”.

E quali sarebbero queste caratteristiche? Secondo i raffinati politologi con il conto in banca a Manhattan, “i sistemi politici della periferia meridionale (dell'Europa, ndr) sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo”.

Eccolo qua lo spauracchio, il pericolo rosso. Quei bolscevichi dei padri costituenti - che nel nostro Paese furono in maggioranza democristiani - avrebbero inserito nelle Carte una serie di nefasti principi socialisti che oggi ostacolerebbero le riforme necessarie a far ripartire l'economia. Quali? JP Morgan ci fa anche la lista: "Esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo".

Le condizioni miserevoli dell'occupazione nell'Eurozona del Sud sono sufficienti a dimostrare quanto "le tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori" abbiano a che vedere con la situazione attuale. Il dramma del lavoro è un effetto della crisi, non una sua causa. Quanto al clientelismo, non è certamente un vanto, ma verrebbe da chiedere agli eruditi analisti d'indicarci quali articoli della nostra Carta lo eleggano a principio fondativo del consenso. Quanto alla "licenza di protestare", i signori americani farebbero bene a rileggere il primo emendamento della loro Costituzione.

A questo punto non possiamo fare a meno di domandarci da quale pulpito ci giunga questa inascoltabile predica. Se le opinioni di JP Morgan risultano quantomeno discutibili, le sue responsabilità storiche lo sono molto meno. Stiamo parlando di uno dei colossi di Wall Street che ha scatenato la crisi finanziaria del 2008, nata negli Usa e poi esportata in Europa, dove col tempo si è trasformata in crisi dei debiti sovrani.

Nell'ottobre del 2012 lo Stato di New York ha fatto causa a JP Morgan, chiedendole di restituire i soldi rubati con la truffa dei mutui subprime, ovvero la miccia che ha fatto detonare l'economia di mezzo mondo. Sulla banca sono ricaduti i peccati di quella che oggi è una sua controllata, Bear Sterns, sotto accusa per aver venduto a peso d'oro titoli derivati che sapeva essere carta straccia proprio perché garantiti dai subprime. Le operazioni risalgono al 2006-2007 e si stima abbiano causato perdite agli investitori per 22,5 miliardi di dollari, provocando la disoccupazione di sette milioni di americani.

Ma non basta, perché JP Morgan è protagonista anche di un altro gigantesco scandalo finanziario, quello della "Balena di Londra". L'anno scorso un broker inglese della banca americana ha aperto una voragine nei conti dell'istituto con una serie di scommesse rischiosissime e fallimentari sui Cds (ancora una volta titoli derivati). E poco più di tre mesi fa la Sottocommissione permanente per le indagini del Senato Usa ha accusato JP Morgan di aver continuato ad ingannare le autorità di vigilanza e gli investitori, mentendo sull'ammontare delle perdite legate alla "London Whale".

Secondo il senatore democratico Carl Levin, gli investigatori "hanno scoperto operazioni di trading, fondate sul rischio, che ignoravano i limiti posti all'assunzione dei rischi stessi, nascondevano le perdite, eludevano la supervisione e disinformavano il pubblico".

Ora questi stessi signori pretendono d'insegnarci come correggere la nostra Costituzione. Fingono di dimenticare che le radici più profonde della crisi finanziaria sono da ricercare proprio in quel mercato dove loro hanno operato indisturbati per anni. I veri peccati originali sono stati l'assenza di regole nel settore dei derivati e la mancanza di controlli da parte delle autorità.

E' perlomeno sospetto che speculatori di questo calibro si scaglino contro i diritti acquisiti dalla tradizione antifascista europea. Diritti che rappresenterebbero un ostacolo lungo la strada delle "riforme strutturali" tanto anelate dalla banca. Il dubbio è che gli analisti di JP Morgan non vogliano filosofeggiare contro generiche "idee socialiste", ma puntino in realtà rosicchiare progressivamente lo stato sociale europeo. L'ultima vacca grassa che la rendita finanziaria non ha ancora finito di dissanguare.

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