di Carlo Musilli

L'esperienza, diceva Oscar Wilde, è l'insegnante più severa: prima ti fa l'esame, poi ti spiega la lezione. Peccato che, nel mondo della finanza, nemmeno i disastri più terrificanti riescano ad insegnare granché. Sono passati cinque anni e un giorno dal rovinoso crack di Lehman Brothers, ma ancora non si è vista traccia di quella rivoluzione normativa invocata e promessa per evitare che l'armageddon si ripeta.

Era il 15 settembre 2008 quando la gigantesca banca d'affari americana, travolta dalla valanga dei mutui subprime, ha alzato bandiera bianca, scatenando un effetto domino che ha mandato in tilt i mercati mondiali. A poco a poco, il virus ha contagiato l'economia reale e - attraversato l'Atlantico - ha acceso la miccia che ha portato alla crisi dei debiti sovrani europei. Quale insegnante è mai stata più severa di Lehman? Eppure, a quanto pare, abbiamo imparato poco.

L'acquisizione principale è stata questa: le cosiddette banche "too big to fail" possono fallire eccome, ma non devono. Nel 2008 la decisione di abbandonare al proprio destino un colosso di Wall Street fu presa dal governo americano in buona parte per ragioni di politica interna: allo scadere della campagna per le presidenziali, gli elettori avrebbero mal digerito un altro maxi-salvataggio dopo quelli di Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi del credito ipotecario nazionalizzati pochi giorni prima con 200 miliardi di dollari pubblici. L'amministrazione repubblicana non voleva far passare il messaggio che lo Stato fosse una rete di sicurezza per gli spericolati giochi d'azzardo di Wall Street. Ma alla fine è stato esattamente così.

Purtroppo all'epoca nessuno fu in grado di prevedere cosa sarebbe successo dopo la più grande bancarotta della storia. Le conseguenze furono ampiamente sottovalutate e, per evitare fallimenti a catena, fu necessario infliggere ai contribuenti (non solo americani) una stangata molto superiore a quella che sarebbe bastata per salvare la banca maledetta.

Da allora non è più avvenuto alcun cataclisma di proporzioni simili: gli istituti di credito sono stati inondati di liquidità e le Banche centrali hanno ridotto a zero i tassi d'interesse. I governi, tuttavia, avrebbero dovuto fare un passo in più e comprendere che "too big to fail" in realtà vuol dire "too big to exist". Ma non è andata così e il disastro Lehman si è trasformato in una gigantesca occasione sprecata. Altro che nuove regole: la finanza non è stata riportata al servizio dell'economia reale; al contrario, i contribuenti sono stati sfruttati per salvare la finanza.  

Negli Stati Uniti ha prevalso l'ostruzionismo delle lobby, al punto che dopo cinque anni la nuova regolamentazione finanziaria contenuta nel Dodd-Frank Act non è ancora entrata pienamente in vigore. Il presidente Barack Obama continua a premere pubblicamente per accelerare, ma di fatto non può (non gli conviene?) superare la pressione dei gruppi finanziari, che stanno riuscendo a rinviare sine die l'applicazione delle nuove regole, alleggerendo al contempo il loro potenziale impatto sui margini di guadagno degli istituti di credito.

Non solo. Negli ultimi cinque anni ha fallito anche la giustizia, che non è riuscita a punire i colpevoli della truffa dei subprime. La maggior parte delle banche ha patteggiato sanzioni lontane anni luce dalla ricchezza bruciata per colpa della loro malafede. Quanto ai singoli responsabili, continuano a vivere in un mondo di svergognata opulenza. Anzi, in molti casi il loro benessere è perfino aumentato.

Dick Fuld, ex presidente e Ceo di Lehman Brothers, si è messo in tasca dal 2000 al 2007 qualcosa come 457 milioni di dollari. Contro di lui non è mai stata aperta alcuna azione penale e oggi l'ex banchiere si gode la vita a capo di Matrix, la società di consulenza da lui fondata sette mesi dopo il fallimento di Lehman.

Intanto, secondo molti economisti, la leva finanziaria delle principali banche (ovvero il loro rapporto fra capitale ed esposizione) rimane ancora troppo alta. E' vero, i sei istituti più grandi (JPMorgan, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Goldman Sachs, Morgan Stanley) hanno raddoppiato il loro capitale dal 2007 ad oggi, ma allo stesso tempo hanno incrementato anche il loro passivo di circa il 30%. Insomma, invece di diminuire, il potenziale distruttivo di queste banche - in caso di fallimento - è addirittura aumentato.

Secondo un rapporto pubblicato a fine 2012 dalla Banca dei regolamenti internazionali, se si ripetesse oggi un cataclisma in stile Lehman le conseguenze sarebbero tre volte più gravi, anche perche le interconnessioni fra i sistemi finanziari sono sempre più profonde e ramificate. "Nuovi episodi simili sono possibili - si legge nel testo -. I regolatori sono invitati a migliorare la vigilanza per evitare shock sistemici". Sono invitati da cinque anni e un giorno.


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