di Carlo Musilli

Sul calendario dei mercati, la casella del 22 gennaio è cerchiata in rosso. In quella data si riunirà il Consiglio direttivo della Bce e tutti si aspettano il via libera al quantitative easing, un programma per l'acquisto generalizzato di titoli da parte dell'istituto centrale, sulla scorta di quanto già messo in atto dalla Fed statunitense e dalla Bank of Japan. Le incognite, tuttavia, sono molte. I primo luogo, la riunione del board si terrà appena tre giorni prima delle elezioni anticipate greche, dunque la tempistica non sembra delle più adatte per un annuncio simile, considerando che tanto Bruxelles quanto Francoforte temono la vittoria di Syriza, partito di sinistra alternativa guidato da Alexis Tsipras attualmente in testa ai sondaggi e intenzionato a rinegoziare nuovamente il debito pubblico ellenico.

Non è poi chiaro nemmeno a quanto ammonterà il Qe, né su quale genere di titoli si concentrerà. Nei mesi scorsi  erano arrivate alcune indicazioni: gli acquisti - aveva detto Draghi - riguarderanno ogni genere di titoli, esclusi quelli legati all'oro (ma inclusi, quindi, i bond pubblici), ed espanderanno il bilancio della Bce fino a riportarlo ai livelli d'inizio 2012 (il che significherebbe pompare nel sistema almeno altri mille miliardi).

Su entrambi questi aspetti il banchiere italiano ha dovuto fronteggiare l'opposizione del tedesco Jens Weidman, presidente della Bundesbank. La mediazione potrebbe aver portato ad alcuni compromessi, almeno stando a due notizie circolate la settimana scorsa. Primo: l'agenzia Bloomberg ha scritto che gli uffici della Bce hanno presentato al Consiglio dei governatori diverse opzioni di acquisto titoli, ma solo fino a 500 miliardi di euro, un ammontare che deluderebbe i mercati (come termine di paragone, si pensi che il Qe della Fed è arrivato a 4.500 miliardi di dollari).

Secondo: stando a Il Sole 24 Ore, la Bce avrebbe alzato i coefficienti patrimoniali richiesti ai 15 istituti italiani sottoposti alla vigilanza unica, portandoli dal 7% minimo imposto da Basilea 3 a una media del 10,5%. Ciò implicherebbe nuovi aumenti di capitale, che risulterebbero quanto mai difficoltosi, soprattutto per la malandata Mps. La stretta sui requisiti potrebbe rappresentare una sorta di contropartita per far accettare alla Germania gli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, ma di fatto vanificherebbe il Qe, perché costringerebbe le banche a ridurre ulteriormente il credito. Un vero paradosso, che però Bankitalia ha smentito.

L'unico aspetto realmente chiaro, al momento, è il movente che spinge Draghi a premere l'acceleratore per il Qe, ossia il combinato composto di stagnazione del Pil e di caduta dei prezzi. A dicembre, secondo la stima preliminare diffusa mercoledì scorso da Eurostat, l'Eurozona è entrata in deflazione per la prima volta dal 2009, con i prezzi al consumo che hanno fatto segnare un -0,2% su base annua, contro il +0,3% registrato a novembre.

E' vero, non si è ancora attivata la mortifera spirale deflattiva (fenomeno per il quale chi consuma rinvia gli acquisti in attesa di ulteriori ribassi, mentre chi produce non vende e abbassa ulteriormente i prezzi, in un circolo vizioso difficilissimo da invertire) e sul calo pesa in modo decisivo il costo dell'energia dopo il recente crollo del petrolio pilotato dall'Arabia Saudita tramite l'Opec. Eppure, statuto alla mano, proprio la stabilità dei prezzi è il primo mandato della Bce e anche un'inflazione minima sarebbe comunque lontanissima dagli obiettivi ufficiali dell'istituto, che punta a una media annua "inferiore ma vicina al 2 percento".

In teoria, il primo strumento per far viaggiare i prezzi è il taglio dei tassi d'interesse, ma su questo fronte l'Eurotower non può più intervenire, avendo già portato il tasso di riferimento al minimo storico (e ormai intoccabile) dello 0,05%. Non solo: negli ultimi mesi la Bce ha affiancato al taglio dei rendimenti altre misure straordinarie, ovvero le aste Tltro (prestiti agevolati alle banche) e gli acquisti di Abs e covered bond.

Purtroppo, l'insieme di queste tre misure non è riuscito a far ripartire il motore economico europeo, dal momento che le prime due aste Tltro sono state un fallimento per le scarse richieste arrivate dalle banche e gli acquisti di titoli diversi dai bond pubblici non sono stati in grado di muovere masse sufficienti di liquidità. Ecco perché il quantitative easing è la speranza estrema, l'ultima arma nelle mani della Bce. Non c'è più margine d'errore: se anche stavolta il colpo mancherà il bersaglio, nel caricatore non rimarranno più pallottole.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy