di Carlo Musilli

L’accordo con l’Eurogruppo sulla proroga al piano di aiuti non è un traguardo per la Grecia, ma un punto di partenza. Primo, perché i soldi non sono ancora arrivati. Secondo, perché anche quando arriveranno, dureranno poco. Con questa consapevolezza Atene dovrà affrontare i negoziati dei prossimi mesi, che saranno ben più decisivi di quelli andati in scena nelle ultime settimane. Da qui in avanti le trattative riguarderanno la pratica delle riforme, non più la teoria, e consentiranno perciò di misurare il cambiamento introdotto dal governo Tsipras nei rapporti con la Troika.

La lista di misure inviata martedì a Bruxelles è un antipasto: a fine Aprile l’Esecutivo greco dovrà prende impegni assai più stringenti, presentando un piano di riforme dettagliato e ricco di numeri. Proprio l’aspetto contabile era il grande assente nella lettera firmata dal ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, tanto che Bce e Fmi hanno subito manifestato perplessità, rinviando il giudizio a quando Atene metterà mano alla calcolatrice.

Sarà proprio quello il primo passaggio decisivo: l’ultima tranche di aiuti da 7 miliardi prenderà la strada del Partenone solo se e quando la Troika darà il via libera al piano che la Grecia presenterà fra due mesi. E, tanto per cambiare, Wolfgang Schaeuble ha immediatamente fatto capire l’aria che tira: “Se i greci rispetteranno gli impegni presi, allora potranno ricevere i versamenti rimanenti – ha tuonato ieri il ministro delle Finanze tedesco – altrimenti, non ci sarà alcun versamento. Non vedranno neanche un euro”.

Meno acre, ma non più rassicurante, Angela Merkel: “Considerato quello che si sentiva solo qualche settimana fa – ha detto la cancelliera – gli impegni presi dalla Grecia sono una buona notizia. Ma non mi faccio illusioni: la strada da fare resta lunga e impegnativa”.

Anche una volta superato lo scoglio di Aprile, tuttavia, il governo ellenico potrà tirare un sospiro di sollievo assai breve. Atene aveva chiesto una proroga di sei mesi, ma l’Eurogruppo ha deciso di concederne solo quattro. E non è un caso: gli aiuti garantiranno la sopravvivenza dello Stato solo fino a giugno, lasciando scoperto il periodo luglio-agosto, quando scadranno bond ellenici in mano alla Bce dal valore di 6,7 miliardi di euro. Soldi che la Grecia non avrà in cassa.

A meno di una soluzione drastica, insomma, lo spettro della bancarotta non smetterà di perseguitare il governo Tsipras. Sarà sempre dietro l'angolo. Viste le condizioni miserevoli da cui parte, che non consentono affatto di pronosticare l'arrivo di una solida ripresa in futuro, Atene non sarà mai in grado di finanziare in autonomia il proprio debito pubblico da 324 miliardi, pari al 181% del Pil. Ad oggi, non è autorizzata nemmeno ad emettere titoli di Stato a tre mesi.  

La Grecia, come ricordava Varoufakis in un'intervista a Repubblica d'inizio febbraio, "è fallita dal 2010". E quando un debitore fallisce, i creditori possono accanirsi quanto vogliono: fallimento era, fallimento rimane. Negli ultimi cinque anni i soldi dei contribuenti europei sono stati utilizzati in massima parte per pagare i debiti degli istituti di credito ellenici con le banche internazionali, soprattutto francesi e tedesche. Non sono stati usati per far ripartire l'economia greca che, al contrario, ha visto il Pil perdere un quarto del proprio valore a causa dell'austerità, mentre il debito pubblico ha spiccato il volo.

In un'altra intervista, stavolta al Financial Times, Varoufakis aveva spiegato il piano di Syriza per rendere sostenibile il debito greco. Si tratterebbe di un doppio swap tra vecchi titoli di Stato e nuovi bond, che sarebbero di due tipi: da una parte obbligazioni indicizzate alla crescita economica nominale, dall'altra quelli che il ministro greco ha definito "bond perpetui", da sostituire ai titoli in mano alla Banca centrale europea.

Dalla Germania, invece, filtrano voci che parlano di un terzo piano di aiuti per Atene, una soluzione che confermerebbe l'attuale situazione di stallo chissà ancora per quanti anni. Sarà questa la trattativa su cui la Grecia si giocherà la maggior parte del proprio futuro. Dovrà trattare, ma nella consapevolezza che è Bruxelles ad avere i soldi dalla parte del manico.

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