di Carlo Musilli

Inizia oggi il mese della verità per la Grecia. Tra il 5 e il 19 giugno Atene deve rimborsare al Fondo monetario internazionale 1,6 miliardi di euro in quattro rate. Per riuscirci ha bisogno degli aiuti da 7,2 miliardi concordati a febbraio con Ue, Bce e Fmi (l'ex Troika, ora ribattezzata "Brussels Group") e poi congelati per il mancato accordo sulle riforme fra il governo di Syriza e i creditori.

Sabato si è concluso con l'ennesimo nulla di fatto il vertice ad Atene tra l'esecutivo ellenico e le controparti internazionali. Oggi, giorno festivo in Grecia per la Pentecoste, potrebbe andare in scena un’altra teleconferenza fra il premier greco Alexis Tsipras, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande.

La settimana scorsa Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze greco, ha ricordato che, "secondo l'accordo del 20 febbraio tra Atene e i Paesi creditori, il piano di aiuti è stato prorogato fino al 30 giugno, quindi bisognerà raggiungere un accordo entro quella data". Ormai però ogni ulteriore giorno di ritardo aggrava le prospettive per il futuro della Grecia, al punto che - durante il G7 di Dresda - anche il ministro del Tesoro degli Stati Uniti, Jack Lew, ha chiesto alle parti di trovare al più presto un "accordo generale" e di "lasciarsi un po' di tempo per lavorare sui dettagli prima che arrivi la scadenza", perché "aspettare fino a uno o due giorni prima è un modo per andare incontro all'incidente". Ovvero alla bancarotta, se non addirittura all'uscita della Grecia dall'euro.

Per allontanare scenari simili, nei giorni scorsi il ministro greco degli Interni Nikos Voutsis - una settimana dopo aver ammesso che Atene non ha il denaro per onorare i suoi debiti con il Fmi - ha comunicato la disponibilità del Paese a posticipare "di sei mesi, o forse di un anno, alcune parti del programma anti-austerità" tanto detestato a Bruxelles e a Berlino, lo stesso grazie al quale Syriza ha vinto le elezioni dello scorso gennaio.

Intanto, Varoufakis ha ribadito di avere un piano per consentire alla Grecia di tornare a finanziarsi sul mercato. L'obiettivo è ottenere un prestito trentennale a bassi interessi dal Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm) e usare quelle risorse per ripagare il debito pubblico greco attualmente in mano alla Bce, in una logica di sostituzione. Il resto del debito dovrebbe poi essere ristrutturato, probabilmente attraverso un riscadenziamento. La "priorità", ha detto Varoufakis, è una "combinazione di ristrutturazione del debito, investimenti e riforme che superino la pratica disumana di tagliare pensioni, sovvenzioni e stipendi".

Proprio il sistema previdenziale è uno dei punti su cui si discute più animatamente: "Il negoziato continua - ha detto il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, in un'intervista a Bloomberg tv a margine del G7 -, abbiamo fatto passi avanti, ma c'è ancora da lavorare su una serie di riforme, inclusa quella delle pensioni. E' chiaro che rimane poco tempo e la liquidità della Grecia si asta esaurendo". Altre spaccature difficili da sanare riguardano le richieste dei creditori al governo greco di alzare l'Iva e di fare marcia indietro sulla riassunzione dei dipendenti pubblici.

Queste misure fanno parte della ricetta d'austerità che il Brussels Group vuole ancora imporre ad Atene in cambio degli aiuti per evitare il default (e l'eventuale Grexit).

Proprio contro questa politica si è espresso in termini quasi brutali il premio Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz: "L'austerity sta uccidendo l'Europa - ha detto la settimana scorsa dal Festival di Trento - perché blocca la crescita economica e aumenta le disuguaglianze", che dipendono anche "dalle politiche monetarie: il mandato della Bce, teso a contenere l'inflazione e figlio di una teoria economica superata dai tempi, ha portato la disoccupazione europea al 12%, il doppio di quella degli Usa", mentre il quantitative easing "spinge i listini azionari e dunque ancora una volta favorisce i più ricchi. Se non cambiamo da ora siamo destinati a perpetuare le disuguaglianze anche nelle prossime generazioni".

Sulla stessa linea Thomas Piketty, autore de Il capitale nel XXI secolo. Sempre dal palco di Trento, l'economista Francese ha ricordato come "alla fine della Seconda guerra mondiale, la Germania e la Francia avessero accumulato un enorme debito pubblico, qualcosa come il 200% del Pil: scelsero semplicemente di non pagarlo, d'accordo con i governi Alleati, e di adottare politiche inflazionistiche. È surreale che oggi quegli stessi Paesi pretendano dalla Grecia il pagamento fino all'ultimo centesimo, perpetuandone le sofferenze sociali. In Italia, per esempio, dove già si pagano più tasse di quanto ritorni al popolo in termini di spesa pubblica, oggi si spende il 5% del Pil per il debito, mentre al sistema universitario va appena l'uno per cento. Le risorse vanno orientate con più coraggio verso investimenti utili alla crescita economica e alla redistribuzione del reddito".







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