di Antonio Rei

Si dice che le previsioni economiche servano soprattutto a rivalutare l’astrologia. In effetti, a questo punto sarebbe interessante sapere cosa pensano Branko e Paolo Fox del Pil italiano nel 2015, visto che negli ultimi giorni è andato in scena un simpatico “teatro dello zero virgola” molto simile a quello dell’assurdo.

In principio fu il Documento di economia e finanza, in cui tre mesi fa il governo scrisse che quest’anno l’economia del nostro Paese sarebbe cresciuta dello 0,9 percento. Anzi, a essere precisi la stima fu corretta al rialzo dal precedente +0,7% e, naturalmente, il ritocco fu annunciato in tono trionfale dal premier Matteo Renzi. Con il senno di poi viene da chiedersi chi glielo abbia fatto fare.

Già, perché la settimana scorsa il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, ha dato il via a una gustosa girandola di dubbi e ripensamenti. Prima, in un’intervista al Corriere della Sera, ha espresso il timore che la difficile situazione internazionale prodotta dai fatti di Parigi si ripercuota sulla crescita italiana. Il giorno dopo si è smentito.

A quel punto è entrata in gioco l’Istat, che prima ha seminato il panico conquistando titoli strillati sui giornali, poi ha aggiustato il tiro snocciolando una spiegazione iper-tecnica da cui emerge in modo chiaro soltanto che nessun giornalista italiano è laureato in statistica.

In sostanza, l’Istituto ha scritto che ad oggi la previsione è di un +0,7% rispetto al 2014 (la stessa del governo prima della revisione estiva), ma il dato “non è immediatamente confrontabile con la previsione formulata dal governo, pari a +0,9%, come invece messo in evidenza dalla stampa”. E perché mai no?

Suvvia, è intuitivo: il 2015 ha avuto ben tre giornate lavorative in più rispetto all’anno scorso e, “sulla base delle regolarità empiriche registrate in serie storica si può stimare che tre giorni in più abbiano un effetto al rialzo dell’ordine di +0,1 punti percentuali”. Morale della favola: per l’Istat quest’anno si cresce dello 0,8%. Sarà un buon compromesso per tagliare la testa al toro?

Deve essere piaciuto perlomeno a Renzi, che, impreziosendo l’ennesima presentazione dell’ultima fatica letteraria di Bruno Vespa, ha messo in scena un siparietto mica male: “Noi - ha detto - abbiamo fatto a inizio anno una previsione dello 0,7% ; poi, visto che le cose andavano meglio, l'Istat ha portato la stima allo 0,9% (idem il Governo, ma ora l’amnesia torna utile, ndr), forse chiudiamo allo 0,8 percento. I dati sono ancora in movimento, comunque migliori delle previsioni di inizio anno”. Poi però è arrivato in diretta un messaggino stizzito da via XX Settembre: “Sulla crescita del Pil, +0,8 o + 0,9%, la mia posizione è quella di Padoan. Lo dico perché - ha aggiunto - sono stato appena richiamato all'ordine dal ministro: mi ha scritto di tenere la linea dello 0,9%”.

Infine, Padoan stesso si è deciso a chiudere la querelle con un’affermazione che getta una luce grottesca sull’intero dibattito: “Il ministero non cambia le sue previsioni - ha detto il numero uno del Tesoro - ma se ci dovesse essere un risultato inferiore allo 0,9%, ciò avrebbe effetti marginali sulla finanza pubblica”. E allora che ne abbiamo parlato a fare così a lungo? Perché accapigliarsi per uno 0,1 o 0,2% in più o in meno? E’ politica, bellezza.

In termini reali, che il Pil cresca dello 0,7, dello 0,8 o dello 0,9% non cambia nulla a nessuno: si tratta comunque di una ripresa debole, che non può contare su una decisa ripartenza né degli investimenti né dei consumi interni e perciò resta esclusiva conseguenza di fattori esterni al nostro Paese (il prezzo del petrolio, l’euro debole, l’oceano di liquidità in arrivo dalla Bce).

Quel decimale ha molto più a che vedere con le vicende di Palazzo che con quelle economiche. E’ la prima volta che una statistica così rilevante come il Pil sbugiarda la vanagloria di questo governo, il cui sport preferito in ambito economico è attribuirsi meriti altrui.

Magari esiste anche qualcuno disposto a credere che gli 80 euro abbiano rilanciato la domanda, che il Jobs act abbia rianimato il mercato del lavoro o che “la fiducia e la consapevolezza nei propri mezzi” facciano miracoli, ma prima o poi la distanza fra le chiacchiere del Premier e il mondo reale diventerà sempre più evidente. In fondo, per qualsiasi cosa, si comincia sempre da uno 0,1.

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