“No, per favore, questa roba degli 80 euro no. Sono una cazzata. Sono soldi pagati a chi lavora da chi non lavora. È il pensionato che paga gli 80 euro in busta paga”. Queste le parole pronunciate da Matteo Salvini nel marzo del 2015, durante un dibattito con Roberto Speranza a diMartedì, su La7.

 

Nell’aprile del 2014, sulla stessa rete, Luigi Di Maio era intervenuto a Bersaglio Mobile per dire che gli 80 euro erano “una grande operazione elettorale, altrimenti non si spiegherebbe perché tu trovi un tot di miliardi e decidi di destinarli con questo bonus alle buste paga. Abbiamo un Presidente del Consiglio che aggiunge una voce in busta paga che si chiama bonus e ci mette 80 euro, a una categoria di persone che, per fortuna, ha una busta paga. Facevano prima a scrivere, al posto di bonus, Vota PD”.

 

 

Ora che sono entrambi vicepremier, Salvini e Di Maio hanno cambiato idea. “Il Governo non pensa di togliere gli 80 euro”, ha assicurato la settimana scorsa il leader della Lega. “Non metteremo le mani in tasca ai cittadini”, gli ha fatto eco il capo politico pentastellato, usando - forse involontariamente - una delle espressioni più berlusconiane della storia.

 

Ma quindi gli 80 euro sono buoni o cattivi? In questi quattro anni hanno spinto davvero i consumi in modo significativo? Li ricevono sul serio tutte le persone a cui erano stati promessi? Il fatto è che rispondere a queste domande non interessa a nessuno. Il bonus Irpef a beneficio della classe media fu introdotto nel 2014 dal governo Renzi con una tempistica elettorale perfetta: subito dopo il primo aumento nelle buste paga arrivarono le europee e il Pd trionfò con quel famoso 40% che oggi si è ridotto a meno della metà.

 

Lega e Movimento 5 Stelle - che all’epoca latravano con la bava alla bocca contro il Pd, Renzi e gli 80 euro - oggi si ritrovano nella stessa situazione. Ironia del destino, nel 2019 si terranno nuovamente le elezioni europee e i due partiti di governo non hanno alcuna intenzione di arrivarci esponendosi all’accusa di aver impoverito gli italiani. Perciò gli 80 euro, che quattro anni fa facevano ribrezzo, oggi non si toccano. La politica, a volte, è una partita di giro.

 

Il problema è che il bonus in questione vale 9 miliardi di euro l’anno e il governo deve trovare una montagna di soldi per la prossima legge di Bilancio. Di base, la manovra 2019 costa già più di 22 miliardi di euro: 12,4 per evitare l’aumento dell’Iva, 3,5 per le spese indifferibili, 2,5 per i costi aggiuntivi legati al rallentamento del Pil e più o meno altri quattro per l’aumento degli interessi sul debito prodotto dalla risalita dello spread. Se ci fermassimo qui, avremmo comunque raggiunto il valore di una normale finanziaria.

 

Poi però ci sono le misure-bandiera inserite nel contratto gialloverde. È già chiaro che Salvini e Di Maio dovranno accontentarsi di una versione light della flat tax e del reddito di cittadinanza, che seguendo i progetti originari avrebbero avuto un costo rispettivamente di 50 e 17 miliardi. Ma anche se alleggerite rispetto ai piani iniziali, le due misure costeranno comunque alcuni miliardi, che al momento nessuno sa dove pescare.

 

Senza contare che, nel frattempo, leghisti e grillini premono anche per una contro-riforma delle pensioni. L’accordo di governo prevede di stanziare a questo scopo 5 miliardi, ma secondo Tito Boeri, presidente dell’Inps, “il superamento della riforma Fornero attraverso quota 100 tra età e contributi o con 41 anni di contributi a qualunque età avrebbe un costo immediato di 15 miliardi e a regime di 20 miliardi l’anno”.

 

Di fronte a numeri del genere, il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, ha avanzato un paio di ipotesi estreme per far quadrare i conti: lasciare che dall’anno prossimo l’Iva aumenti, almeno in parte, e cancellare il bonus da 80 euro. Ma la stabilità dei conti che tanto allarma i mercati e Bruxelles (oltre al Quirinale) è messa in secondo piano dai due vicepremier, che insistono con Tria per un aumento del rapporto deficit/Pil 2019 dallo 0,9% programmato fino all’1,7-1,8%.

 

Se andrà così, arriveremmo probabilmente allo scontro frontale con la Commissione europea. Che però non sarebbe impopolare, anzi: qualche sano scambio di insulti con Juncker and Co. rafforzerebbe senz’altro la popolarità di Lega e M5S. E sappiamo già che questo fenomeno è troppo complesso per essere compreso dai vertici delle istituzioni europee, che ormai da anni fanno campagna elettorale ai loro nemici senza rendersene conto.

 

L’unica certezza, fin qui, è che gli 80 euro, come l’Iva, non saranno toccati. A quanto pare, quando un bonus nasce come misura elettorale, poi è impossibile da estirpare, anche se il governo cambia colore. Il bonus diventa ineluttabile, irrinunciabile, fatale. In questo senso, gli 80 euro ricordano un po’ la Gertude dei Promessi sposi. Quella che disse sì, “lo ripeté, e fu monaca per sempre”.

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