I minibot rischiano di essere per l’economia italiana quello che l’asteroide fu per i dinosauri. Causa d’estinzione. Solo che al momento non si avvistano corpi celesti in rotta di collisione con la Terra, mentre dei minibot parla con tono incredibilmente serio nelle stanze del Governo.

 

E dire che all’inizio sembrava uno scherzo. L’idea si è manifestata per la prima volta fra le sinapsi leghiste qualche anno fa, ma all’epoca le sparate del Carroccio venivano accolte dall’intellighenzia italiana con un sorriso e un’alzata di spalle. Come fossero tutte boutade, caroselli folk, carnevalate inconsistenti tipo la secessione da Roma Ladrona.

 

Invece, nel giro di poco tempo, la Lega è passata da fenomeno di costume a primo partito italiano e i minibot sono usciti dal regno delle ampolle nel Po per diventare un reale argomento di discussione nell’Esecutivo.

 

 

Sì, fanno sul serio. Non solo Claudio Borghi, deputato del Carroccio e presidente della commissione Bilancio della Camera, l’uomo che ha partorito il progetto, ma anche Capitan Salvini e soprattutto Giancarlo Giorgetti – sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, bocconiano e lobo frontale del cervello leghista. Il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, ha detto che quella dei minibot “non è una delle questioni principali” che sarà trattata “a livello di governo”. Tuttavia, sembra praticamente certo che i leghisti torneranno alla carica sul tema in autunno, quando bisognerà scrivere la legge di Bilancio 2020.

 

In sostanza, i minibot sarebbero titoli pubblici di piccolo taglio (5, 10, 20, 50 e 100 euro) con cui lo Stato pagherebbe i suoi creditori e con cui gli italiani potrebbero pagare lo Stato (tasse, biglietti del treno a FS, benzina ai distributori Eni e via elencando). A differenza dei veri Bot, non avrebbero scadenza né interessi e non verrebbero assegnati in asta dal Tesoro. Inoltre circolerebbero in formato cartaceo, con una veste grafica molto simile a quella delle banconote. Fuori dai confini italiani, ovviamente, non si potrebbero scambiare.

 

Ma anche nel nostro Paese, in realtà, che valore avrebbero dei titoli di questo tipo? Più o meno quello delle banconote colorate nella scatola del Monopoly, cioè zero.

Lo ha spiegato molto chiaramente Mario Draghi: “I minibot o sono una nuova moneta, e allora sono illegali”, perché i trattati europei proibiscono di creare valute nazionali parallele all’euro, oppure “sono nuovo debito. Non vedo una terza possibilità – ha chiosato il presidente della Bce giovedì scorso – E mi fermo qui, ma rilevo che i mercati hanno dato segno di non apprezzare questa idea”. 

 

Qualche giorno prima anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva detto al Festival dell'Economia di Trento che i minibot “sono sempre debito e non rappresentano di certo una soluzione al problema del nostro debito pubblico”.

 

Borghi ha avuto la faccia di contraddire sia Draghi sia Visco. “So bene che è vietato introdurre monete parallele, sarebbe un disastro - ha detto in un’intervista a La Stampa - La mia proposta è quella di introdurre uno strumento esigibile per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Dunque non sarebbe nuovo debito, ma la cartolarizzazione di crediti esistenti”. Il provvedimento “sta nel contratto di governo - continua Borghi - Lo faremo con la legge di Bilancio, se riusciremo a realizzare la flat tax eliminando deduzioni e detrazioni e riconoscendo i crediti d’imposta, che verranno meno attraverso i minibot”. Cioè, i nuovi titoli “sono debito”, ma “non sono nuovi debiti, perché derivano da debiti già esistenti che lo Stato ha verso i fornitori e i cittadini”.

 

Le cose però non stanno proprio così. Per l’Europa, la definizione di debito che conta è il cosiddetto “Maastricht Debt”, che non comprende i debiti commerciali del settore pubblico. I minibot, nati dalla cartolarizzazione di questi debiti, non aumentano di per sé il Maastricht Debt, ma quando vengono usati per pagare le tasse sì, perché incidono sulle entrate fiscali dello Stato.

 

Quindi a cosa servono (davvero) questi bond in stile Monopoly? In realtà, sono un trucco per preparare l’uscita dell’Italia dall’euro. L’obiettivo è mettere in circolazione minibot per un valore complessivo di 70-100 miliardi, più o meno l’equivalente del denaro cash usato ogni giorno dagli italiani, in modo da aggirare il divieto di battere monete parallele all’euro. Si tratterebbe quindi di una simil-valuta da utilizzare nel periodo transitorio, in attesa di ristampare la lira.

 

Che questo sia il vero scopo lo ha spiegato con immenso candore lo stesso Borghi, il quale in un video di qualche anno fa definiva i minibot “un espediente per uscire in modo ordinato e tutelato” dalla moneta unica, “una specie di ruota di scorta”.

 

Oggi l’economista della Lega è assai più cauto. Non parla più esplicitamente di sovranismo monetario e prova a riciclare la storiella in altro modo. La butta sul tecnico, si avvita in supercazzole che non convincerebbero nemmeno un bambino, affumica il discorso. “Se stessi progettando un'uscita unilaterale dalla moneta unica - spiega - farei ben altre cose. Lo ripeto: l'ipotesi non è contemplata dal programma di governo e al momento credo non trovi nemmeno il consenso della maggioranza degli italiani”.

 

Com’è ovvio, non ci casca nessuno. La credibilità di Borghi, esponente di punta del movimento per l’Italexit, è giustamente sotto lo zero. Ed è inevitabile che - se mai in futuro l’Italia produrrà qualcosa di simile ai minibot - tutti, ma proprio tutti sui mercati penseranno che ci stiamo preparando a uscire dall’euro. A quel punto sarà l’Armageddon finanziario, perché i grandi investitori internazionali reagiranno di conseguenza, scommettendo in massa sulla bancarotta dell’Italia e facendo schizzare lo spread oltre i confini dell’atmosfera. Dalle parti degli asteroidi.

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