Finora abbiamo deciso di non decidere e alla fine, probabilmente, chiederemo un rinvio. Il 13 dicembre i capi di Stato e di Governo dell’Ue voteranno sulla riforma del Meccanismo europeo di Stabilità (per gli amici, il caro vecchio Fondo Salva Stati) e al momento lo scenario più plausibile è che l’Italia cerchi di prendere tempo. Se il provvedimento passasse il mese prossimo, infatti, il Parlamento italiano dovrebbe ratificarlo già a gennaio, subito dopo la sessione di bilancio e subito prima delle elezioni in Emilia Romagna (dove i due alleati di governo si presentano separati). A quel punto – vista la contrarietà di molti grillini e di Leu al nuovo Mes – la tenuta della maggioranza sarebbe a rischio. È alla luce di queste considerazioni che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si esporrà a una magra figura in quel di Bruxelles, facendo mancare l’unanimità necessaria per riformare il Meccanismo.

 

In Europa, intanto, faticano a capire per quale motivo Salvini e Di Maio – che hanno governato insieme fino al 13 agosto – abbiano improvvisamente cambiato idea su una riforma chiesta proprio dall’Italia (insieme a Francia, Spagna e Portogallo). Nel nostro Paese non se lo ricorda nessuno, ma la bozza di riforma del Mes è stata approvata dall’Eurogruppo lo scorso 14 giugno, quando al Tesoro c’era Giovanni Tria e la Lega era ancora ai posti di comando.

Ma al di là della propaganda, come mai sei mesi fa la riforma del Mes ci piaceva e ora non più? Semplice: perché parliamo di due aspetti diversi della stessa riforma.

Iniziamo da quello positivo. Dopo il pacchetto di norme più stringenti per le banche approvato ad aprile su richiesta di Germania e Olanda, i Paesi mediterranei hanno chiesto e ottenuto come contropartita l'introduzione del backstop, un salvadanaio europeo per il salvataggio delle banche in crisi gestito proprio dal Mes e attivabile laddove i fondi statali per la tutela dei depositi si rivelassero insufficienti (ipotesi remota). In questo modo si introduce un ulteriore elemento di stabilità, scaricando la pistola in mano agli speculatori.

Allo stesso tempo, però, il Mes continuerà a fare anche il suo vecchio lavoro, ossia aiutare gli Stati in difficoltà (negli anni scorsi sono state spese centinaia di miliardi per Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro). Ed è in questo campo la novità minacciosa per l’Italia: in base alle nuove regole, quando riceve una richiesta d’aiuto, il Mes può – non deve – chiedere una ristrutturazione preventiva del debito pubblico del Paese da salvare. L’operazione comporta un taglio dei rendimenti o un allungamento delle scadenze dei titoli di Stato e determina quindi una perdita secca per gli sventurati che hanno quei bond in portafoglio. Germania e Olanda avrebbero voluto che la ristrutturazione scattasse obbligatoriamente, ma almeno questa trappola l’abbiamo evitata: la riforma non prevede alcun automatismo.

Il problema è che agli occhi degli investitori la sola possibilità di una ristrutturazione conta moltissimo. In un recente articolo pubblicato su La Stampa, Carlo Cottarelli riassume il problema così: “Se gli investitori sanno che il Fondo Salva Stati, quello che può intervenire in caso di problemi, chiederà probabilmente una ristrutturazione del nostro debito come condizione per un prestito, come pensate che si comporteranno? Smetteranno di comprare titoli di Stato al primo segnale di tensione”. Chi invece i Btp li ha già inizierà a venderli, facendo schizzare lo spread. Dopo di che il sistema bancario rischierà il collasso, visto che 400 miliardi del nostro debito pubblico sono in pancia agli istituti di credito, e la crisi si avviterà su se stessa, portando nella peggiore delle ipotesi proprio alla necessità di ristrutturare il debito (con eventuale uscita dell’euro annessa). Et  voilà: è la classica profezia che si auto-avvera, valida in economia come in psicanalisi.

Il pericolo è stato segnalato perfino dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: “I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default. Dovremmo tutti tenere a mente le terribili conseguenze dell’annuncio del coinvolgimento del settore privato nella risoluzione della crisi greca dopo il vertice di Deauville a fine 2010”.

A stretto giro, verosimilmente per aiutare il governo, fonti di Via Nazionale hanno aggiustato il tiro, sottolineando che “la riforma dell’Esm non prevede né annuncia un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani” e perciò Bankitalia “non è sfavorevole” alla sua introduzione. Notevole l’uso della litote, figura retorica che consiste nell’affermare qualcosa negando il suo contrario. Non proprio un segnale di grande convinzione.

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