Lo chiamano “nuovo Piano Marshall”, ma il paragone non regge, almeno per ora. Fra il 1948 e il 1952 gli Stati Uniti versarono nelle economie europee 13 miliardi di dollari fra prestiti a fondo perduto, macchinari e derrate agricole. Oggi, invece, l’Europa non riesce a mettersi d’accordo su come prestare soldi a se stessa. E parliamo di crediti a tassi molto ridotti, non certo a fondo perduto

Martedì si terrà una riunione dell’Eurogruppo importante, ma probabilmente non decisiva. Il Fronte del Nord (Germania, Olanda, Austria) e il Blocco Mediterraneo (Francia, Italia, Spagna) hanno posizioni ancora molto distanti e ipotizzare un accordo in settimana è difficile. Per questo il prossimo Consiglio Ue, chiamato ad approvare il piano anticrisi, dovrebbe slittare dal 9 aprile a dopo Pasqua.

 

Al momento, sul tavolo c’è un pacchetto da 540 miliardi diviso in tre capitoli. Il primo è un nuovo fondo europeo, Sure, che finanzierà con 100 miliardi la cassa integrazione nei Paesi più colpiti dal coronavirus. Il secondo riguarda la Banca Europea per gli Investimenti (Bei), che sarà autorizzata a raccogliere sul mercato fino a 200 miliardi da destinare alle imprese, soprattutto di medie e piccole dimensioni. Fin qui, tutti d’accordo. Ma siamo ancora alle briciole.

Con il terzo capitolo si comincia a fare sul serio, ed è qui che iniziano i litigi. Parliamo infatti del Meccanismo Europeo di Stabilità (per gli amici, il Fondo salva-Stati), creato nel 2011 per combattere le crisi dei debiti sovrani a colpi di prestiti e austerità. In base alle regole ancora in vigore, per ottenere soldi dal Mes bisogna impegnarsi a risanare i conti pubblici con politiche di bilancio restrittive. Peccato che oggi, per non trasformare la recessione in depressione, le economie europee abbiano bisogno dell’esatto contrario, cioè di allargare i debiti pubblici (e il primo Paese a muoversi in questa direzione è stata proprio la rigorosa Germania, che ha varato un piano da 156 miliardi in deficit).

Così, è evidente, non funziona. Italia, Francia e Spagna chiedono perciò che tutti i governi europei possano accedere ai fondi del Mes senza alcuna condizione. Su questo fronte Angela Merkel ha quasi ceduto, ammettendo che il Fondo possa prestare 240 miliardi (sui 410 che ha in pancia) senza alcun patto d’austerità. L’Olanda rimane contraria, ma è difficile credere che il premier Mark Rutte possa resistere alle pressioni della cancelliera tedesca.

Tutti contenti, allora? Nemmeno per sogno. La bozza d’accordo proposta dalla Germania prevede che, incassando soldi dal Mes, i Paesi debbano perlomeno impegnarsi a rispettare il Patto di Stabilità (quando sarà riattivato). Ma Italia e Francia vogliono cancellare anche questa postilla, ammettendo come unica condizione l’obbligo di usare le risorse solamente per combattere la crisi innescata dal coronavirus. Qualsiasi altro paletto farebbe scattare il veto di Roma e Parigi.

Peraltro, quandanche si trovasse un accordo sul Mes, saremmo solo a metà dell’opera. Il dibattito più importante e divisivo è un altro: quello sui Coronabond. Attraverso le obbligazioni garantite dall’Ue, i Paesi mediterranei contano di raddoppiare la portata del pacchetto anticrisi, portandolo da 540 ad almeno mille miliardi di euro. Solo in questo modo la risposta europea all’emergenza sarebbe paragonabile a quella degli Stati Uniti, che hanno già varato un piano record da 1.200 miliardi di dollari.

Per arrivare a un compromesso, la Francia ha proposto di creare un nuovo fondo europeo temporaneo a cui far emettere gli European Recovery Bond, titoli lanciati sul mercato una tantum e legati alla crisi prodotta dalla pandemia. In questo modo, come ha scritto Giuseppe Conte su Repubblica rispondendo a Ursula von der Leyen, questi titoli non sarebbero “in alcun modo volti a condividere il debito che ognuno dei nostri Paesi ha ereditato dal passato e nemmeno a far sì che i cittadini di alcuni Paesi abbiano a pagare anche un solo euro per il debito futuro di altri”. A essere condiviso sarebbe solo il debito contratto per rispondere all’emergenza.

Il problema è che i Paesi del Nord non si fidano. Pensano - forse a ragione - che gli European Recovery Bond sarebbero il primo passo sulla strada che porterebbe agli Eurobond veri e propri. E questa è una prospettiva inaccettabile dal loro punto di vista, per un motivo semplice: qualsiasi titolo comunitario avrebbe un tasso d’interesse più basso di quello dei Btp e più alto di quello dei Bund. Tradotto: la Germania dovrebbe usare i soldi dei suoi contribuenti per fare un regalo all’Italia spendacciona e indebitata. Come si spiega una faccenda simile agli elettori senza lanciarli fra le braccia dei sovranisti?

Quello che manca in questo ragionamento è la variabile congiunturale. In realtà, vista l’eccezionalità della crisi che stiamo attraversando, la solidarietà europea non sarebbe beneficenza, ma una scelta lungimirante anche in ottica interna. Se ne sono accorti gli industriali tedeschi, che hanno chiesto a Merkel di non abbandonare Italia e Spagna, proprio perché si tratta di due mercati decisivi per l’export e per l’indotto della Germania. Del resto, anche il Piano Marshall (quello vero) fu una scelta di convenienza. Non certo di buon cuore.

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