di Carlo Benedetti

Dopo il crollo dell'Urss e la dichiarazione d'indipendenza dell'agosto del 1991, la Bielorussia si è trovata al centro di una "guerra politica" concentrata sui problemi della transizione e della formazione dei nuovi gruppi dirigenti. Ed ora un appuntamento, sicuramente decisivo, è quello delle prossime elezioni presidenziali fissate (con provvedimento "urgente") per il 19 marzo. Una data che l'opposizione contesta perché avrebbe voluto una convocazione più lontana - la fine di luglio - tale da permettere una preparazione più meditata e un tempo più lungo per la propaganda elettorale. La decisione in ogni modo è stata presa e dalle urne di marzo dovrà uscire il nuovo Presidente. Che è, attualmente, Aleksandr Lukascenko il quale, in carica dal 1994, trova ampi consensi a livello popolare (viaggia in continuazione per il paese, incontra la gente, ascolta le loro lamentele, punisce chi approfitta delle proprie mansioni) e appoggi "politici" ed "economici" dalla madre-Russia, grazie anche ai buoni uffici di Putin e di molti esponenti della vecchia nomenklatura sovietica che apprezzano il suo rifiuto delle ricette riformiste ed il suo populismo, che lo rende leader nello scontro con l'Occidente.

di Bianca Cerri

Secondo lo psichiatra Justin Frank, autore di un libro intitolato “Bush sul Divano”, chi dubita ancora della follia del presidente americano ha un’unica possibilità per sincerarsene: ascoltare il discorso sullo Stato dell’Unione del 31 gennaio scorso. Il cristianesimo compassionevole è stato accantonato a favore della linea dura dell’uomo autorevole e risoluto, ma ormai la situazione è preoccupante. Dal punto di vista della psichiatria, sempre secondo Frank, George Bush è ormai completamente dissociato dalla realtà: desidera dominarla e, al tempo stesso, se ne sente minacciato. Prova ne è che dopo aver dato disposizioni alla difesa aerospaziale affinché vegliasse sulla cerimonia dedicata allo Stato dell’Unione, prima di cominciare a parlare ha fatto arrestare Cindy Sheenan, l’ormai popolare madre di un marine morto in Iraq, colpevole di aver indossato una maglietta inneggiante al pacifismo.

di Luca Mazzucato

Qualcosa sta cambiando in Israele. Lo scorso mercoledì 1 Febbraio, l'insediamento illegale di Amona nella West Bank, è stato evacuato dopo una battaglia che ha visto schierati cinquemila soldati e poliziotti israeliani contro due migliaia di coloni. Si è trattato di una battaglia vera e propria: quattro ore di scontri e centinaia di feriti da entrambe le parti. Niente a che vedere rispetto al copione dell'evacuazione pacifica delle colonie a Gaza l'estate scorsa. Questa volta i coloni, per lo più ragazzi giovani e giovanissimi, si sono barricati attorno ai nove edifici da abbattere e hanno accolto le forze di polizia israeliane con lanci di pietre e incendiando cataste di copertoni. La polizia e l'esercito avevano ricevuto precisi ordini dal governo di procedere allo sgombero senza esitazioni, dopo che nella notte l'ennesimo ricorso del consiglio dei coloni era stato bocciato dalla Corte Suprema. A prima vista, la violenta reazione dei coloni nei confronti dell'esercito può sembrare paradossale. L'esistenza stessa delle colonie nella West Bank, infatti, non sarebbe nemmeno concepibile senza la presenza capillare dell'esercito di occupazione, che presidia tutti gli insediamenti e che, grazie ai check point e al coprifuoco, garantisce ai piccoli gruppi di coloni sparsi tra i villaggi palestinesi il totale controllo del territorio.

di mazzetta

Continua senza ritegno la farsa sul nucleare iraniano. Seguendo un’escalation costante nei toni come nelle intenzioni, l’Occidente mette sul banco degli accusati l’Iran e il suo programma nucleare.
Le pretese dell’Occidente non si fondano su alcuna norma del diritto internazionale, ma esclusivamente su un processo alle intenzioni iraniane e sul desiderio di impedire ai persiani di possedere armamenti nucleari. Il pessimo servizio che i fautori del Nuovo Ordine Mondiale stanno facendo alle istituzioni e al diritto internazionale, sempre più delegittimate da un impiego strumentale che fa gridare allo scandalo e al doppiopesismo, è un prezzo che viene pagato nell’indifferenza delle diplomazie e dei commentatori.

di Maurizio Musolino

Una mannaia è calata sulla fragilissima situazione economica dell’Anp all’indomani dell’esito del voto del 25 gennaio. Prima Israele ha deciso di bloccare arbitrariamente il trasferimento di quanto già apparteneva ai palestinesi, ovvero quei tributi che Tel Aviv trattiene alle frontiere sulle merci destinate alle popolazioni di Gaza e Cisgiordania, poi anche l’Unione europea, allineandosi con il coro israelo-statunitense, ha minacciato di sospendere gli aiuti all’Autorità nazionale. Due misure prese in risposta alla vittoria di Hamas. L’espressione più autentica del concetto di libertà e di democrazia che regna in Occidente. Il voto palestinese, infatti sembra proprio non andare giù a molti. Tanti si dicono ancora sorpresi, i più però sapevano bene a cosa si andava in contro e, colpevolmente, non hanno fatto nulla per evitarlo.


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