Una recente riunione del principale cartello dei produttori di petrolio ha portato alla luce lo scontro latente tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi, ufficialmente alleati e sulla stessa lunghezza d’onda circa le più importanti questioni energetiche e strategiche mediorientali. Il vertice della cosiddetta OPEC+ ha dovuto infatti riaggiornarsi senza nemmeno riuscire a fissare una nuova data per risolvere l’enigma delle quote di greggio da immettere sui mercati mondiali. Lo stallo è dovuto alle richieste avanzate dagli Emirati sulla quantità di petrolio prodotto, ma le insolite tensioni all’interno dell’organizzazione sembrano essere di più ampia portata e hanno a che fare sia con il futuro del mercato energetico sia con le ambizioni regionali delle due monarchie sunnite.

A dieci giorni di distanza dall’intervista che ha fatto crollare le fondamenta delle accuse rivolte dal governo degli Stati Uniti a Julian Assange, sulla stampa ufficiale in Occidente, a cominciare da quella americana, si continua a registrare un vergognoso silenzio in merito alla vicenda del fondatore di WikiLeaks. Il comportamento dei media non è in sé una notizia, visto che è perfettamente coerente con la loro sostanziale complicità nella persecuzione del giornalista australiano, ma offre un contributo importante per comprendere il ruolo della stampa “mainstream” e del suo rapporto con le strutture del potere.

Alla fine di maggio 2021, è stato liberato a Miami il terrorista della CIA Eduardo Arocena, legato alla destra cubana e responsabile negli anni Ottanta dell'introduzione della febbre emorragica dengue a Cuba, che ha provocato la morte di più di cento bambini cubani. Nessuna testata giornalistica ne ha parlato, benché in più occasioni il governo cubano abbia denunciato che il territorio cubano è stato oggetto di attacchi biologici con lo scopo di introdurre parassiti e malattie, cosa che ha costretto il Paese a dedicare notevoli risorse umane, materiali e finanziarie per affrontarne e mitigarne gli effetti fino a quando non vengono sradicati.

La sanguinosa guerra in corso da otto mesi nella regione etiope del Tigrè potrebbe trovare una soluzione improvvisa e decisamente inaspettata in seguito al ritiro delle forze armate del governo centrale del primo ministro, Abiy Ahmed. Quella che era iniziata come un’operazione di poche settimane si è prolungata drammaticamente davanti alla resistenza della popolazione e dei combattenti tigrini, fino a provocare una delle più gravi emergenze umanitarie in corso nel pianeta. Gli obiettivi di Addis Abeba sembrano essere per il momento falliti, ma la pace nel nord dell’Etiopia potrebbe essere ancora lontana e, anzi, i recenti sviluppi minacciano di innescare nuovi conflitti interetnici nel secondo paese più popoloso del continente africano.

La pazienza della sinistra del Partito Democratico americano nei confronti di Joe Biden rischia di esaurirsi già dopo pochi mesi dall’inizio del suo mandato alla Casa Bianca. Le recenti complicazioni del percorso legislativo di alcune delle promesse elettorali più importanti del presidente hanno messo in allarme gli ambienti progressisti americani, soprattutto per la tendenza di Biden e della leadership democratica al Congresso a cercare la collaborazione con il Partito Repubblicano.

Il veloce ripiego verso destra del presidente non rappresenta una sorpresa, ma è l’inevitabile conseguenza sia delle sue attitudini, ben note dopo mezzo secolo di carriera politica, sia della natura di un sistema bloccato ed espressione di interessi ben precisi, irriducibilmente ostili a qualsiasi scintilla di riforma sociale.


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