Una recente esclusiva, o presunta tale, del Wall Street Journal ha rivelato questa settimana come i leader di fatto dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti siano da qualche tempo ai ferri corti, tanto che l’erede al trono della casa regnante a Riyadh, Mohammad bin Salman (MBS), avrebbe privatamente minacciato durissime sanzioni contro l’alleato-rivale emiratino.

 

Le divergenze tra i due regimi non rappresentano una novità, ma le parole attribuite a MBS appaiono insolitamente dure e, se corrispondenti alla realtà, evidenzierebbero una spaccatura nel Golfo Persico forse più profonda di quanto si credeva. Allo stesso tempo, l’esclusiva del giornale di Murdoch, come tutte quelle proposte dalla stampa ufficiale, deve essere approcciata con qualche cautela. Nell’articolo si citano le preoccupazioni dell’amministrazione Biden per il deterioramento delle relazioni tra MBS e il presidente degli Emirati, Mohammad bin Zayed Al Nahyan (MBZ), anche se il rilievo dato a questo aspetto del rapporto potrebbe piuttosto rispondere a una manovra tattica di Washington di fronte ai ripetuti segnali dello scivolamento di entrambi i paesi nell’orbita russo-cinese.

Secondo le fonti citate dal Journal, MBS e MBZ non si rivolgono la parola da ormai sei mesi. L’episodio centrale dell’articolo si riferisce a un briefing privato organizzato lo scorso dicembre dal principe saudita con un gruppo di giornalisti. In quell’occasione, MBS avrebbe rivelato di avere inviato ad Abu Dhabi una lista di richieste e, nel caso non fossero state soddisfatte, Riyadh avrebbe adottato misure punitive nei confronti degli Emirati. Il motivo della rabbia saudita era da ricondurre alle iniziative emiratine a livello regionale, in contrasto con gli interessi della monarchia wahhabita.

MBS avrebbe minacciato di fare agli Emirati molto “peggio di quanto fatto al Qatar”. Contro quest’ultimo paese, l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo Persico, inclusi gli EAU, avevano imposto a partire dal 2017 un embargo economico per costringere i regnanti ad abbandonare alcuni dei propri orientamenti strategici in Medio Oriente, come l’appoggio ai Fratelli Musulmani e le relazioni cordiali con l’Iran. Il boicottaggio del Qatar sarebbe stato abbandonato solo nel 2021.

Anche se considerato uno strettissimo alleato, MBZ sarebbe stato accusato da MBS di avere “pugnalato alle spalle” i sauditi. Non è semplice ipotizzare quale sia la questione al centro dei pensieri di Mohammad bin Salman durante la presunta sfuriata contro la leadership emiratina. In molti ambiti gli interessi dei due regimi si scontrano apertamente. La prima disputa da considerare è quella sul petrolio in sede OPEC.

I dissidi erano emersi in particolare dopo l’accordo trovato all’interno dell’organizzazione dei paesi esportatori nell’autunno del 2022. Assieme alla Russia nel quadro del cosiddetto “OPEC+”, Riyadh aveva di fatto imposto un taglio alla produzione di greggio che aveva scontentato soprattutto gli Emirati, intenzionati invece ad aumentare la quantità di barili estratti per coprire i massicci investimenti fatti in questo settore negli ultimi anni.

Le potenzialità estrattive degli Emirati sono aumentate infatti sensibilmente, ma le quote OPEC risultano inferiori, così che Abu Dhabi continua a registrare mancati introiti per miliardi di dollari. La questione ha implicazioni anche più ampie e, per quanto riguarda le tensioni con Riyadh, solleva il problema della possibile competizione tra le due potenze petrolifere per la capacità di influenzare i prezzi del greggio sui mercati internazionali, ovvero una prerogativa finora quasi esclusivamente saudita.

Arabia ed Emirati sono inoltre e almeno da alcuni anni in contrasto sulla gestione del conflitto in Yemen. Scatenata da MBS nel 2015 con il pieno appoggio di Abu Dhabi, la guerra si è trasformata progressivamente anche in una sfida tra i due regimi per accaparrarsi territorio, risorse e influenza strategica nel più povero dei paesi arabi. Oggi, gli Emirati sostengono le forze separatiste dello Yemen meridionale, mentre i sauditi sono dietro il governo-fantoccio erede di quello del deposto presidente, Abd Rabbuh Mansour Hadi, in guerra con i “ribelli” Houthis, e appaiono maggiormente disponibili a una soluzione diplomatica della crisi rispetto ad Abu Dhabi.

Più recentemente, la rivalità ha sconfinato sempre più nell’ambito economico. In particolare, le ambizioni saudite di diversificare l’economia del regno, facendone, tra l’altro, un centro nevralgico digitale, logistico e turistico a livello regionale, minacciano almeno in prospettiva lo status di Dubai e degli interi Emirati Arabi. Se il presidente degli Emirati ha svolto un ruolo determinante nel modellare la visione del futuro del suo paese dell’erede al trono saudita, che del primo ha seguito le orme, implementando anch’egli un’ambiziosa agenda sul piano interno e regionale, i due sembrano essere ormai entrati in rotta di collisione.

L’entità e la natura della rivalità tra MBS e MBZ sembra però ingigantita dalle recenti “rivelazioni” del Wall Street Journal. Non ci sono dubbi che la competizione economica e strategica risulti accesa e che i due regimi si ritrovino spesso a confrontarsi su fronti opposti, come ad esempio in Sudan. È altrettanto vero, tuttavia, che Riyadh e Abu Dhabi siano sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda su molte questioni-chiave in Medio Oriente.

La distensione tra Arabia Saudita e Iran riflette ad esempio le aperture fatte da tempo dagli Emirati alla Repubblica Islamica. Stesso discorso vale per la Siria. La casa regnante saudita ha abbandonato i piani di destabilizzazione del governo di Assad, imboccando anche in questo caso un percorso di normalizzazione. Una strada, quest’ultima, che i leader emiratini hanno intrapreso per primi nel mondo arabo.

Soprattutto, Arabia ed EAU perseguono con successo l’integrazione euro-asiatica attraverso il consolidamento e l’espansione delle relazioni con la Cina, così come con la Russia. Per entrambi, in altre parole, la strada dello sviluppo futuro passa attraverso progetti come la “Nuova Via della Seta” e l’avvicinamento, se non l’adesione a tutti gli effetti, a piattaforme riconducibili alle dinamiche multipolari in atto, come SCO e BRICS.

Proprio quest’ultimo fattore solleva qualche perplessità, se non sulla veridicità, almeno sui propositi dell’articolo del Wall Street Journal. I suoi autori scrivono che l’amministrazione Biden è allarmata dallo scontro tra Riyadh e Abu Dhabi perché le tensioni crescenti rischiano di complicare gli sforzi americani per costruire un fronte compatto anti-iraniano tra gli alleati arabi e per favorire la normalizzazione tra questi e Israele.

In realtà, gli Stati Uniti sembrano avere perso gran parte della propria influenza in Medio Oriente e, quindi, le capacità di orientare le scelte strategiche anche di paesi alleati come Arabia Saudita e ed Emirati Arabi, al di là del deterioramento o meno dei rapporti bilaterali tra questi ultimi. Piuttosto, le fonti del Journal potrebbero avere promosso l’esclusiva pubblicata nei giorni scorsi allo scopo di alimentare frizioni tra MBS e MBZ, ben sapendo che, nel quadro degli equilibri regionali in divenire, l’obiettivo primario di Cina e Russia è rappresentato precisamente dalla risoluzione dei conflitti e dalla stabilizzazione di una regione con cui approfondire i legami economici e commerciali.

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