Siamo in molti ad auspicare da tempo che l’esempio storico del comandante Hugo Chavez possa radicarsi e moltiplicarsi in molte aree del pianeta, in particolare in Africa e in Medio Oriente. I recenti avvenimenti in Niger e Gabon sembrano cominciare, sia pure ancora timidamente e con vari aspetti da chiarire, a questo auspicio. Va al potere negli Stati appena citati come da più tempo in altri della cintura saheliana (Burkina Faso, Mali, Ciad) una nuova generazione di giovani militari di ideologia nazionalista e quindi tendenzialmente terzomondista e sorretti da un forte appoggio popolare.

Di tutti tali recenti episodi, caratterizzati in modo frettoloso e superficiale come colpi di Stato dalla stampa occidentale, quello del Gabon assume una sua rilevanza particolare.

 

E’ stato infatti messo fine, pochi anni, in questo Stato africano di vasta superficie e ricchissime risorse minerarie e di altro genere, a una vera e propria dinastia legata a filo doppio alla dominazione neocoloniale francese, quella della famiglia Bongo. Il capostipite Omar Bongo si era insediato il 2 dicembre 1967 ed era rimasto al potere per ben 42 anni, fino al 2009, quando fu sostituito dal figlio Alì, spodestato qualche giorno fa dai militari ribelli. Ricordo che nel 1987, durante un soggiorno universitario in Francia, incontrai un giovane gabonese e gli dissi che secondo me era giunto il momento di dare lo sfratto a Bongo. Mi rispose con un timido sorriso che era d’accordo con me, ma il popolo gabonese ha dovuto attendere altri 36 anni per liberarsi della dinastia.

I Bongo sono stati l’immagine vivente della subalternità del Gabon, come di altri Stati dell’Arica occidentale, agli interessi economici e geopolitici della Francia. In quest’intervista di alcuni decenni fa (4) Les petites phrases d'Omar Bongo, président du Gabon – YouTube - Omar affermò che la Francia aveva interessi preponderanti (con significativo lapsus dice “preoccupanti” prima di correggersi), nell’economia gabonese.

Proprio questa preponderanza è la radice di molti mali dell’Africa, ed è all’origine dell’arretratezza economica e dell’ondata migratoria che i nostri destroidi, da Salvini a Minniti, vorrebbero contenere con misure militari e poliziesche, fino al cialtronesco blocco navale proclamato da Giorgia Meloni, oltre che ovviamente con l’affermazione della purità razziale rilanciata senza vergogna da Lollobrigida e Vannacci, emuli più o meno consapevoli di Alfred Rosenberg e del Ku Klux Klan.

Le enormi risorse naturali ed umane dell’Africa potranno essere messe a profitto dei popoli di questo immenso solo se prevarrà un approccio effettivamente basato sui bisogni popolari. Anche e soprattutto da questo punto di vista l’esempio storico del grande comandante venezolano è importante, perché, per la prima volta nella storia di quel Paese latinoamericano, le risorse, a partire da quelle petrolifere, furono utilizzate per soddisfare le necessità di un popolo sempre umiliato e trascurato.

Mettere al primo posto i bisogni e la volontà dei popoli costituisce anche la strada maestra per porre fine ai numerosi conflitti che continuano ad insanguinare il continente africano. Ciò è di immediata evidenza se si pone mente al fatto che molto spesso tali conflitti vengono combattuti da milizie foraggiate, armate e addestrate dalle varie multinazionali che sono interessate a spolpare l’Africa.

Spazi importanti per un utilizzo diverso delle risorse sono aperti anche dall’atteggiamento della Cina, che, nonostante quanto la stampa occidentale va  ripetendo a  vanvera su istigazione dei suoi controllori direttamente connessi ai centri del potere imperialistico, porta avanti una politica di sviluppo concertata basata sulla mutua convenienza, sulla logica “win win” e in ultima analisi sulla realizzazione del principio del futuro condiviso dell’umanità da tempo fatto proprio dal Partito comunista cinese su proposta del presidente Xi Jin Ping.

Una politica, quella cinese, che non ha nulla di neocoloniale, ma risponde a imperativi di sviluppo congiunto e di cooperazione su vari piani, senza lasciare indietro nessuna parte del pianeta. La politica insomma che a chiacchiere pure l’Unione europea sembrava intenzionata a portare avanti, ma che ben presto si è rivelata una farsa ridicola e inconsistente, un po’ come il piano Mattei della signora Meloni.

Un’alternativa africana popolare e anticolonialista è anche il miglior antidoto possibile contro la diffusione di determinate forme di islamismo politico che rivelano sempre più chiaramente la loro subalternità strategica ai centri del potere imperialista.

I tempi sono cambiati e le bubbole dell’Occidente in declino non ingannano più nessuno. Solo l’autodeterminazione dei popoli africani potrà far emergere il continente dal sottosviluppo e creare nuove prospettive di coesistenza e cooperazione per l’intero pianeta. Non dimentichiamo che la razza umana è nata in Africa e proprio da questo continente potrebbe oggi scaturire la sua rinascita, dopo i secoli oscuri e dolorosi del colonialismo e del neo-colonialismo.

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