Dopo il disperato intervento di mercoledì all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente ucraino Zelensky si è messo in strada verso Washington per completare il suo tour americano che lo vede impegnato a mendicare altro denaro e armi a un Occidente sempre più sfiduciato per l’andamento del conflitto con la Russia. L’accoglienza riservata negli Stati Uniti all’ex comico non è stata però quella sperata. Al di là delle manifestazioni esteriori di sostegno per il suo regime, i segnali del possibile ingolfamento del flusso di aiuti sono molteplici, soprattutto alla luce dello scontro sul bilancio federale americano in corso al Congresso. Il New York Times, inoltre, ha recapitato a Zelensky un messaggio difficile da fraintendere in contemporanea al suo sbarco sul suolo americano, rivelando i risultati di un’indagine su una recente strage di civili nel Donbass finora attribuita erroneamente alle forze armate russe.

 

L’articolo del Times ha offuscato la trasferta del presidente ucraino, mettendo subito in chiaro come il clima sia profondamente cambiato rispetto alla precedente visita del dicembre 2022. I fatti si riferiscono all’attacco missilistico del 6 settembre scorso sul mercato della località di Kostiantynivka, città del “oblast” di Donetsk sotto il controllo delle forze ucraine. L’esplosione, in pieno giorno, aveva fatto 15 vittime civili e oltre trenta feriti. Immediatamente, la propaganda ucraina e occidentale aveva puntato il dito contro Mosca per denunciare l’ennesimo massacro deliberato di civili ordinato da Putin.

Gli elementi per indagare e fare luce sulla verità erano però a disposizione da subito e, infatti, giornalisti del New York Times hanno lavorato sui testimoni e sul materiale rinvenuto nell’area del mercato di Kostiantynivka. Anche se il giornale americano non aveva esitato ad accusare la Russia, la verità è stata alla fine pubblicata questa settimana, sia pure non per scrupolo giornalistico ma, come quasi sempre accade con i media ufficiali, per inviare un determinato messaggio politico su input del governo di Washington.

In definitiva, il missile in questione non era russo, bensì ucraino. Alcuni commentatori indipendenti avevano già tratto conclusioni simili, anche se le analisi più approfondite sembravano indicare l’utilizzo di un ordigno appartenente a un sistema missilistico diverso da quello individuato dal New York Times (“Buk”). Un’altra prova decisiva è stata la provenienza del missile, cioè da nord-ovest, dove la postazione più vicina delle forze russe si trovava a circa 250 km, rendendo praticamente impossibile il lancio. Gli ucraini avevano lanciato invece due missili terra-aria verso le linee russe pochi minuti prima della strage del mercato da una località a poco più di 15 km a nord-ovest di Kostiantynivka.

Ciò che conta nel quadro più ampio è che il bombardamento del 6 settembre era avvenuto lo stesso giorno dell’arrivo a Kiev del segretario di Stato americano Blinken, ufficialmente per annunciare un altro miliardo di dollari in aiuti all’Ucraina, ma, secondo alcuni, anche per spingere Zelensky a considerare la strada della diplomazia. Se quest’ultima ipotesi corrispondesse alla realtà, sarebbe evidente il calcolo del regime ucraino nel colpire un obiettivo civile su un territorio dandone la colpa ai russi.

Per esprimere il disappunto americano, è così probabile che l’amministrazione Biden abbia chiesto al Times di pubblicare la verità su Kostiantynivka all’arrivo di Zelensky a New York, in modo da togliere anche qualsiasi dubbio sul tono dei colloqui che ne sarebbero seguiti, ovviamente quelli lontani dalle telecamere e dai giornalisti.

Sul contenuto delle conversazioni tra Zelensky e gli esponenti del governo americano, incluso il presidente Biden, si può evidentemente solo speculare, ma è difficile credere che l’uscita del Times sia casuale. Molti analisti indipendenti ritengono che la Casa Bianca sia intenzionata a riprendere in maniera ferma il leader ucraino, le cui ultime dichiarazioni hanno spaziato dalle minacce nel caso venga meno l’appoggio occidentale ai rimproveri ai propri sponsor. Il punto cruciale sembra essere tuttavia l’obiettivo di Washington, se cioè quanto si desidera da Zelensky sia la disponibilità a trattare con Mosca o semplicemente un atteggiamento più docile in modo che il Pentagono, la CIA e la NATO possano gestire liberamente l’andamento del conflitto. Nel primo caso all’orizzonte ci potrebbe essere un qualche spiraglio per una soluzione diplomatica, mentre nel secondo un’ulteriore escalation della guerra in corso.

Le parole pronunciate pubblicamente da Biden e dagli altri membri del governo americano sembrano essere insomma una facciata ormai logora che ha poco senso considerare con serietà. Gli ultimi mesi della controffensiva hanno mostrato l’impossibilità di superare anche solo la prima linea di difesa russa e le perdite ucraine sono state a dir poco enormi. L’attitudine in America nei confronti dell’Ucraina è perciò sempre più cupa e Zelensky non è stato in grado di portare un solo risultato per convincere i suoi sostenitori d’oltreoceano della necessità di continuare a garantire lo stesso livello di appoggio dell’ultimo anno e mezzo.

All’Assemblea Generale dell’ONU, il presidente americano ha ripetuto i soliti triti concetti al di fuori della realtà sulla crisi ucraina, assieme alle promesse ultra-inflazionate di restare a fianco di Kiev nella guerra contro la Russia. Biden ha però dedicato una parte minuscola all’Ucraina e, secondo alcuni osservatori, più rivelatore di qualsiasi discorso sarebbe stato l’atteggiamento chiaramente di disagio e irritazione della delegazione ucraina durante l’intervento di martedì.

Le questioni interne americane pesano inoltre sempre di più sulle vicende nel teatro di guerra ucraino. Biden sta cercando di far passare al Congresso di Washington un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina da 24 miliardi di dollari, ma democratici e repubblicani sono nel piano di uno scontro politico per l’approvazione del bilancio federale 2024. Se non si troverà un’intesa, il primo ottobre la maggior parte degli uffici pubblici resterà chiusa per mancanza di fondi. L’estrema destra repubblicana ha una sorta di potere di veto alla Camera dei Rappresentanti e chiede da tempo maggiori restrizioni, se non lo stop puro e semplice, all’invio di armi all’Ucraina.

In un clima così teso è più facile che le perplessità diffuse al Congresso sulla politica ucraina della Casa Bianca vengano allo scoperto, mettendo in dubbio i nuovi stanziamenti a favore del regime di Kiev. Dalla “risoluzione” provvisoria, in discussione e non ancora approvata, per prendere tempo e rimandare di un mese l’ipotesi “shutdown”, la maggioranza repubblicana alla Camera ha infatti questa settimana tenuto fuori gli aiuti all’Ucraina. Un accordo bipartisan sembra ancora lontano, ma non è inconcepibile che i fondi per Zelensky possano finire per assottigliarsi una volta stilato il bilancio definitivo.

Da parte sua, Zelensky è arrivato a New York dopo avere licenziato tutti e sei i vice-ministri della Difesa perché accusati di corruzione. La decisione è arrivata dopo l’avvicendamento al vertice dello stesso ministero ed è chiaramente una mossa volta a mostrare ai padroni americani l’impegno ucraino nello sradicare la corruzione, così da assicurare che i fondi ottenuti da Washington non vengono dirottati per scopi diversi dalla guerra contro la Russia.

Quali che siano le intenzioni dell’amministrazione Biden, il flusso di armi diretto in Ucraina non sembra per il momento doversi interrompere. Fonti militari americane sostengono che i preparativi per l’invio di missili tattici con un raggio di circa 300 km (ATACMS) sono quasi ultimati. L’addestramento di piloti ucraini in vista della consegna di caccia F-16 sarebbe a sua volta a buon punto. Per la Russia, l’arrivo sul campo di battaglia di entrambi rappresenterebbe il superamento di un’altra pericolosa linea rossa, col rischio sempre più alto di un coinvolgimento diretto di USA e NATO nella guerra.

Persiste ad ogni modo l’enigma dell’obiettivo americano in prospettiva di una qualche trattativa diplomatica nel prossimo futuro. Le notizie che circolano in proposito raccontano di un’amministrazione Biden intenzionata a ottenere al tavolo del negoziato ciò che è impossibile raggiungere sul campo. Anche se al contrario del regime di Zelensky gli Stati Uniti sembrano valutare l’ipotesi del mancato ritorno all’Ucraina di alcuni territori annessi dalla Russia, l’architettura di un eventuale accordo almeno per un cessate il fuoco continua a poggiare su basi illusorie.

Soluzioni come il congelamento del conflitto o garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina che consentano a questo paese di ricostruire le proprie forze armate o di aderire alla NATO sono concetti che rientrano nel regno della fantascienza. Solo per cominciare, Mosca non accetterà nulla di meno della neutralità di un’Ucraina comunque privata delle regioni già passate alla Russia e che, comunque, Kiev avrebbe potuto conservare se avesse implementato gli accordi di Minsk. L’andamento del conflitto, al di là della propaganda occidentale e di Zelensky, ha intrapreso da tempo una direzione ben chiara e la fine della tragedia ucraina si inizierà a intravedere solo quando il governo di Washington e i suoi alleati decideranno di fare i conti con la realtà della sconfitta e delle conseguenze che essa comporta.

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