Non consideratela una frase ad effetto, quando il presidente iraniano Ebrahim Raisi avverte che, i «crimini sionisti a Gaza» avranno «conseguenze extraregionali». Lo ha ribadito l’altro giorno nel corso di un colloquio con il primo ministro indiano Narendra Modi. Gli ha fatto eco sua moglie, la scrittrice  Jamileh Alamolhoda che - informa il Tehran Times - ha inviato una lettera alle consorti di quaranta leader europei, chiedendo loro di condannare Israele perché ha ucciso donne e bambini palestinesi, facendo leva su «una politica di paura e di odio per raggiungere i suoi sinistri obiettivi nei territori occupati». 

 

L’entrata in guerra della Repubblica islamica significherebbe una catastrofe di proporzioni inimmaginabili, poiché l’Iran utilizzerebbe i missili balistici Shahab-3, i sottomarini di ultima generazione, i caccia Sukhoi Su-35 donati dalla Russia, le mine, i droni, i razzi di Hezbollah che possono raggiungere l'impianto nucleare israeliano di Dimona e, infine, l’artiglieria costiera fornita dalla Cina per chiudere lo Stretto di Hormuz, il corridoio sul quale transita il 20 per cento della fornitura mondiale di petrolio e  di gas liquefatto.

Di conseguenza il petrolio iraniano, che rappresenta il 13 per cento della fornitura energetica mondiale, verrebbe ritirato dal mercato. Il prezzo del minerale balzerebbe a 500 dollari al barile contro gli 80 di oggi e, con il protrarsi del conflitto, potrebbe superare i 750 dollari al barile. Sarebbe il collasso dell’economia europea, già rimpicciolita a causa delle sanzioni contro la Russia.

Dunque ci sono tutti i presupposti per lo scoppio di una guerra mondiale. La Prima e Seconda guerra mondiale sono state precedute da conflitti più piccoli: la guerra dei Balcani del 1912 e 1913, l’invasione italiana dell’Abissinia (1936), la guerra civile spagnola (1936-39), la guerra sino-giapponese (1937). Ma un massacro di civili e di bambini come questo nella Striscia di Gaza, che non ha uguali nella storia recente, potrebbe rivelarsi il presagio di una guerra mondiale.

La ragione è semplice: nell’area dell'Asia sud occidentale, che comprende la parte meridionale dell' Asia centrale ex-sovietica, il Caucaso, la Turchia orientale, l'Iraq, la sponda sud del Golfo Persico, parte dell'Arabia Saudita e dell'Oman, più il Pakistan e l'Afghanistan, è forte la componente islamica. In tutte queste aree l’Iran ha una presenza e un'influenza culturale radicata. Oggi più di ieri, essa è legata alla natura del regime degli ayatollah, i quali rappresentano le varie anime dell’Islam sciita, che si ritrovano  nell'Islam combattente: Jihad islamica, Hamas, Hezbollah, sciiti iracheni, sauditi, yemeniti del Bahrein. Siccome gli sciiti rappresentano il principale ramo minoritario dell'Islam (intorno al 15 per cento dei 2,07 miliardi di fedeli musulmani, all'inizio del XXI secolo), le accuse della Guida Suprema Khamenei diventano pesanti come macigni quando dice che, «giorno dopo giorno diventa sempre più evidente la corresponsabilità degli Stati Uniti nei massacri compiuti dal regime sionista a Gaza», come riporta il quotidiano Kayahn, la voce del governo.

Tanto reiterato accanimento nasce anche dal fatto che a Settembre, un mese prima dell’avvio dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa di Hamas, gli Stati Uniti e Israele avevano pianificato una serie di esercitazioni congiunte simulando attacchi all’Iran. Il canale televisivo israeliano Channel 12 aveva specificato che in una delle esercitazioni si sarebbe simulato un bombardamento congiunto USA-Israele sugli impianti nucleari iraniani.

Va ricordato che a Gennaio, sul Mar Mediterraneo, Stati Uniti e Israele avevano condiviso l’esercitazione Juniper Oak, che era stata annunciata come la più grande, la più impegnativa. Infatti, furono impiegati più di 140 velivoli, 12 navi militari, sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità (HIMARS), sistemi missilistici a lancio multipli. Le manovre avevano coperto tutti i domini della guerra, compresa la guerra spaziale ed elettronica. Doveva essere un messaggio chiaro di prontezza e capacità operativa inviato all’Iran, che si stava avvicinando sempre più a Russia e Cina. Ma era anche un monito alla  comunità asiatica che gravita intorno alla Shanghai Cooperation Organization (SCO) guidata da Russia e Cina, della quale fanno parte Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, India e Pakistan.

A questi si è aggiunto l’Iran, orfano del generale Qassem Soleimani, massima autorità nel Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica. Insomma, un generale a cinque stelle, il cuore armato della repubblica degli ayatollah, giudicato troppo pericoloso dal Pentagono, che lo spazzò via con un missile di un drone Reaper mentre egli sostava sulla pista dell'aeroporto internazionale di Baghdad, non lontano dalla scaletta di un normale aereo di linea, il quale lo aveva trasportato fin lì per una missione diplomatica di pace.

Se lo si guarda come un conflitto religioso, come in effetti è, c’è un particolare curioso sul quale vale la pena soffermarsi. Ai musulmani sciiti e sunniti che reggono fucile e Corano si contrappone un Netanyahu che sventola la Sacra Bibbia mentre ammazza. Nel discorso in ebraico del 28 ottobre, ha assolto il massacro israeliano di civili a Gaza con un riferimento biblico ad Amalek. Nella Sacra Bibbia di Netanyahu, Dio dona al suo popolo eletto la Palestina, e lo stesso Dio gli comanda di sterminare i discendenti di Amalek, gli Amaleciti, un popolo arabo che si trova sulla loro strada. Yahweh (il dio di Israele), chiede a Mosè non solo di sterminare gli Amaleciti, ma di «cancellare la memoria di Amalek sotto il cielo», uccidendo, «uomo e donna, bambino e lattante, bue e pecora, cammello e asino», (Deuteronomio 25:19). Cosicché, conclude Netanyahu: «Litighiamo pure, ma devi ricordare ciò che Amalek ti ha fatto, raccomanda la nostra Sacra Bibbia. Ricordiamoci che, le nostre coraggiose truppe che combattono a Gaza e in tutte le altre regioni di Israele, sono il nuovo anello della catena degli eroi ebrei, inaugurata tremila anni fa per garantire la nostra esistenza in questo paese.».

Se da entrambe le parti in conflitto si privilegia il lessico religioso, meglio si capisce perchè un ministro di alto grado del culto sciita - Hasan Nasrallah - sia  il segretario di Hezbollah, il partito politico d’eccellenza di tutto il Medio Oriente, il solo che dedica energie e risorse a una guerra psicologica contro gli israeliani. Nasrallah è un esperto di Israele, della sua politica e delle sue milizie.

Lo si vede ogni tanto comparire nella città Santa di Qom, che dista un centinaio di chilometri da Teheran, dove funziona il Centro di studi informatici delle Scienze islamiche nel quale operano decine di talabeh (studenti di teologia), che imbottiscono le piattaforme digitali dedicate alla scienza religiosa, sovraintendono i siti personali degli ayatollah e i loro beyt-e madjazi (uffici virtuali), tramite i quali diffondono i loro approfondimenti coranici e sulla società dei credenti. Offrono spazi ai forum ospitando domande e risposte, sui quali l’internauta chatta per cogliere quelle che gli sembrano le più adeguate o da reprimere. Per il segretario di Hezbollah, Qom è il posto ideale per aggiornarsi. Lo sforzo rende.

L’Iran è un paese nel quale, dal 1979, le più alte cariche dello Stato sono ricoperte sempre dagli stessi personaggi: Ahmad Jannati (95 anni) è Presidente dell’Assemblea degli Esperti e del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione; la Guida Suprema Alì Khamenei (83 anni); il di poco più giovane Hassan Rouhani (74 anni), Presidente delle Repubblica fino all’altro ieri, e Nasrallah occupa il posto che, prima ricopriva Soleimani, il generale assassinato.

Nasrallah si muove come una sorta di amministratore delegato con turbante, ed è certamente il leader riconosciuto dell’intero asse della resistenza in Medio Oriente. I funzionari di alto rango lo informavano regolarmente sull’andamento dei negoziati nucleari. Khamenei medesimo gli chiede consigli sulle questioni strategiche. Sicché quando Nashallah ripete, "Siamo già in guerra, siamo pronti al sacrificio", meglio credergli: dice sul serio.

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