Senza apparenti discordie, salvo quella dell’Ungheria, è stato deciso l’inizio della procedura per l’accesso di Kiev nell’Unione Europea. Restano programmate nei prossimi due anni quelle di altri candidati: Albania e Montenegro, Serbia e Macedonia del Nord, Bosnia Herzegovina, Moldova e Georgia, per finire con l’annosa questione turca, che resterà un pour parler.

Sembra quindi che l’Ucraina possa entrare nella UE dopo che, dal 2014, la UE era entrata in Ucraina. A coronamento di un sostegno politico in funzione anti russa sin dalla candidatura Timoshenko, l’UE decise infatti, in complicità con gli USA, di accelerare il piano di conflitto con Mosca. Lo fece svolgendo un ruolo importante per la cacciata del governo di Yanukovic con il colpo di stato, poi voltandosi dall’altra parte per 8 anni, quando l’artiglieria ucraina bersagliava il Donbass assassinando 15.000 persone e, infine, sostenendo in ogni modo il nazi-governo guidato da Zelensky.

 

Il voto favorevole all’ingresso di Kiev, reso possibile dall’assentarsi concordato di Orban, ha avuto la sua coda, dato che alla fine il leader ungherese ha messo il veto sui soldi da destinare all’Ucraina, 50 miliardi suddivisi in 4 anni. Qui si sommeranno con molta probabilità il voto della Repubblica Ceka e, forse, quello polacco, visto lo scontro tra Varsavia e Kiev culminato in un blocco stradale costato già tre morti e che dura da due mesi contro il passaggio verso Ovest del grano ucraino che, venduto a prezzi stracciati, mette a terra la produzione agricola polacca. E proprio la politica agricola, storicamente prima voce del bilancio Ue, rischia di crollare. Solo all’Ucraina spetterebbero 95 miliardi di euro, con un taglio del 20% dei sussidi agli altri Paesi e Kiev potrebbe poi incassarne altri 61 dai fondi di coesione, quelli per le infrastrutture e lo sviluppo. Risultato? La stragrande maggioranza dei soci europei incasserebbero da Bruxelles meno di quanto versano.

Ad ogni modo il voto offre il via libera all’inizio dei negoziati, ma non proietta in automatico l’Ucraina nella UE: serviranno altri due via libera formali all’unanimità prima di aprire effettivamente i negoziati di adesione e poi ci saranno circa 75 occasioni in cui il governo ungherese potrà fermare il processo.

L’ingresso dell’Ucraina nella UE non sarà quindi né scontato, né semplice né rapido. Ma se sul siano strategico la mossa dei poteri forti europei ha un senso politico, per quanto sbagliato, tutt’altra questione è la sua realizzazione concreta, contro la quale vi sono potenti e ragionevoli dubbi al riguardo. Dal punto di vista economico e finanziario, in aggiunta a quanto sopra, l’entrata dell’Ucraina sarà un salasso per i 27, visto che la sua ricostruzione, secondo la Banca Mondiale, costerà circa 500 miliardi di Euro. Oltre a ciò, di per sé già insostenibile per il bilancio UE, l’impossibilità di Kiev di far fronte al rigore economico previsto dal Trattato di Maastricht e le regole finanziarie contenute nel Fiscal Compact, obbligherebbero Bruxelles a una supplenza che si rivelerebbe un autentico buco nero per le finanze europee, visto che Kiev avrebbe bisogno di donazioni persino per pagare la quota annuale che ogni paese membro versa alla UE.

Ci sono poi aspetti non meno importanti dal punto di vista delle regole previste per i membri dell’Unione: gli assetti istituzionali e la legislazione, le regole per il sistema politico e le norme a tutela delle minoranze etniche, linguistiche e religiose, oltre alle normative antidiscriminatorie, a tutela dei diritti umani e dei principi politici, ovvero  l’osservanza dei principi liberali che guidano la UE che a Bruxelles amano definire “i valori”.

Qui la questione si complica, perché i cosiddetti “valori” sono tutti elementi che non trovano riscontro nell’Ucraina di Zelensky. Soprattutto per quanto riguarda le leggi discriminatorie e la legislazione speciale che sul piano politico ha cancellato con la forza la presenza di partiti, sulla libertà di stampa ha chiuso i media indipendenti, sul piano culturale ha proibito l’uso della lingua russa e su quello religioso proibisce l’osservanza del culto ortodosso.

Sono aspetti non secondari del nazismo ucraino e rappresentano un insieme di violazioni allo statuto UE che nemmeno la sfacciata operazione politica di allargamento ad Est può occultare. Del resto la Commissione Europea ha congelato 21, 7 miliardi di fondi all’Ungheria per il mancato rispetto dello stato di diritto e sarà curioso vedere adesso come potrà negare a Budapest quello che dà a Kiev, quando se l’Ungheria ha tratti illiberali, l’Ucraina ha un profilo nazista difficile da confutare.

Che la UE intenda procedere all’allargamento verso Est della sua dimensione non è un mistero: mentre proclamavano l’unione degli europei d’Occidente, disintegravano quelli ad Oriente. Così Bruxelles esercita un ruolo di attrazione verso paesi che hanno perso ogni appuntamento con il loro sviluppo e che, spesso, sono più una invenzione politica che realtà nazionali.

La UE sarà alla fine composta da 35 Paesi, con sensibilità e culture politiche ancor più variegate. Si tenterà allora di giustificare con questo la modifica dell’unico tratto autenticamente democratico del suo agire, ovvero le decisioni unanimi. Marcerà a tappe forzate il passaggio al voto dapprima a maggioranza qualificata e poi a maggioranza semplice con il quale il gruppo fondatore della UE intende concentrare la decisionalità politica e le politiche monetarie resteranno appannaggio dei fondatori. All'atto pratico alcuni Paesi europei si metteranno d'accordo rispetto ad altri: Francia, Spagna, Germania, Italia, Olanda e Belgio hanno interessi comuni, altri dell'Est o del Nord spetterà la loro ratifica.

 

Con gli occhi di Mosca

L’ingresso nell’Unione Europea dell’Ucraina non spaventa affatto Mosca, che sin dagli anni scorsi lo aveva considerato un prezzo da pagare in cambio di una neutralità militare, dunque del divieto di accesso alla NATO e di un esercito con un profilo chiaramente difensivo, non in grado di rappresentare una minaccia per la Russia. Ma oggi, dopo due anni di guerra, Kiev si affaccia all’Europa portando in dono una sconfitta occultata ma significativa. Ridotta a protettorato statunitense, è stata sconfitta dalla Russia e l’andamento della guerra ha dimostrato come gli Stati Uniti non siano in grado di difendere i suoi protettorati mentre invece abbandonano i teatri dove cumulano sconfitte (Afghanistan, Siria e, appunto, Ucraina).

Il messaggio che arriva è che ci si può scontrare con gli USA, che non sono invulnerabili e vincenti, che al netto dei muscoli e della propaganda mediatica espongono la fragilità di un gigante dai piedi d’argilla. Un Paese che, sebbene abbia una spesa in armamenti superiore a quella di tutti i membri della Nato messi insieme, e continua ad essere il leader politico dell’intero Occidente, risente del venir meno del suo potere assoluto e si trova, come fino al 1989, nell’obbligo di dover negoziare la governance mondiale sotto il profilo militare.

Inutile festeggiare l’inizio della procedura che sarebbe stata possibile due anni fa e senza morti, perché per Kiev il futuro non appare roseo. L’Ucraina ha già perso un terzo della sua popolazione in guerra - in parte come vittime e in altra come fuoriusciti - e un terzo del suo territorio. Può dimenticarsi della Crimea come del Donbass e se non si avvia rapidamente ad una trattativa, perde le ultime speranze di negoziarne la sovranità anche solo su parte di esso. Dopo essere stati utilizzati dagli Stati Uniti per dissanguare la Russia, con l’intento di staccarla dalla Cina e farle perdere i legami commerciali e politici con l’Europa, adesso gli ucraini saranno la nuova carne da cannone della UE, che pensa di allargarsi fino a raggiungere il Caucaso e situarsi ai confini russi.

La speranza folle di Bruxelles è quella di limitare la reazione di Mosca, che dovrebbe mettere in gioco la sua sicurezza in favore di una supposta deterrenza europea che si auspica fondata sul modello dell’articolo 5 dello Statuto NATO. Ipotesi ridicola, sia perché sulla sicurezza della sua regione Mosca neanche discute, sia perchè la deterrenza europea è un confuso generare di parole, dato che tutto l’Occidente e in particolare l’Europa ha perso senso ed è oggi più sterile. Non solo sul piano militare sarà difficile trovare il bandolo della matassa per un progetto di sicurezza reciproca tra Russia ed Europa, ma la fine degli scambi commerciali e politici ha ridotto il Vecchio Continente in un blocco di relativa importanza per la crescita dell’influenza commerciale e politica russa.

Quanto a Kiev, a smentire aspettative propagandistiche, salire sul treno europeo comporta un prezzo del biglietto carissimo ed un viaggio per niente confortevole. Con l’ingresso nella UE l’Ucraina entrerà definitivamente nel grande buco della sconfitta dell’Occidente collettivo che segnerà i prossimi anni. E non c’è nulla che possa trasformare una disfatta militare ed un disastro politico in una vittoria strategica.

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