Una interessante intervista, densa di cultura, è stata rilasciata da Putin al giornalista statunitense Tucker Carlson. L’intervista non ha trovato spazio adeguato sui media, evidentemente votati a proseguire la loro offensiva propagandistica in favore della guerra. Ne è emerso un Putin che dimostra di conoscere molto bene la storia del suo vasto Paese.

 

La prima parte dell’intervista contiene un’ampia e approfondita illustrazione delle radici storiche del grande Stato. Particolarmente interessante appare l’identificazione delle faglie geopolitiche esistenti già in epoca remota, sostanzialmente riconducibili alla contrapposizione tra Rus (Kiev compresa) da un lato e Granducato di Lituania/Regno di Polonia dall’altro.

Molto opportunamente Putin ricorda come l’idea stessa di Ucraina fu partorita subito dopo la Prima guerra mondiale dallo Stato maggiore austriaco nell’intento di debilitare l’Impero zarista. La tesi di fondo del leader russo è che l’Ucraina sia uno Stato artificiale creato da Lenin e ampliato da Stalin nel contesto della politica sovietica di promozione delle nazionalità autonome, che Putin non rinnega affatto in quanto tale. Tuttavia sottolinea come la situazione era destinata ad aggravarsi progressivamente col crescere degli intenti egemonici dell’Occidente a seguito del collasso dell’Unione Sovietica, ben rappresentati dall’aggressione alla Jugoslavia e dal rinnegamento delle promesse relative alla non espansione della NATO verso Est.

La data chiave è il 2000, anno dell’elezione di Putin a Presidente, contrassegnato dal voltafaccia statunitense sulla possibile adesione della Russia alla NATO e dall’esplicita ammissione della CIA che avrebbe continuato a sostenere le forze dell’opposizione russa, comprese quelle di natura terroristica, perché si trattava della “cosa giusta da fare”. È ovvio come nella maturazione di queste posizioni politiche abbia svolto un preciso ruolo l’ascesa al potere di un leader, Putin appunto, provvisto, a differenza del suo predecessore Eltsin, di un proprio progetto politico autonomo e di un forte senso della dignità nazionale, i quali peraltro contribuirono e continuano a contribuire in modo determinante al suo successo e al suo prestigio di fronte al popolo russo.

Da notare anche come Putin sottolinei la circostanza, davvero singolare per un Paese che si autoproclama democratico, che le scelte decisive degli Stati Uniti furono adottate da poteri occulti che nei momenti chiave sovradeterminavano gli orientamenti degli eletti, a cominciare dagli stessi presidenti. Una serie di rivelazioni affatto di scarso rilievo che, sia detto per inciso, hanno spinto una protagonista dell’establishment statunitense come Hillary Clinton a sostenere che Carlson si sia comportato da “utile idiota”.

Reazione comprensibile, specie tenendo conto del fatto che suo marito non fa certo bella figura, figurando, secondo il puntuale resoconto di Putin, come una marionetta del potere occulto che decide le scelte strategiche dell’amministrazione statunitense. Potere occulto che, mediante ingenti stanziamenti di denaro e azioni continue e coordinate dei suoi apparati, in primo luogo ancora la CIA, ha poi condizionato in modo determinante gli sviluppi successivi della situazione ucraina, dal colpo di Stato di Maidan, all’aggressione militare al Donbass all’affossamento degli Accordi di Minsk, fino ad ottenere il rigido allineamento dell’Unione Europea già all’epoca prona ai diktat del Grande Fratello statunitense.

Un altro punto cruciale ribadito da Putin è quello della necessità dell’eliminazione delle forze neonaziste tornate alla ribalta in Ucraina con la beatificazione di Bandera, alleato di Hitler e autore di massacri enormi di russi ed ebrei, celebrato non solo dalle destre ucraine ma anche da parlamenti come quello canadese. La soluzione del relativo problema era stata raggiunta, rivela Putin, al Vertice di Istanbul tenutosi poco dopo l’inizio della guerra, e consisteva nel divieto, sancito per legge in molti Paesi, di apologia del nazismo. Ma l’accordo raggiunto non fu ratificato dal governo ucraino che, su istigazione di Stati Uniti, NATO ed Unione Europea, decise allora di continuare la guerra “fino alla vittoria “, giungendo addirittura a proibire per legge ogni negoziato con la Russia.

Putin rivela che fu il premier britannico Johnson a persuadere la delegazione ucraina a non firmare l’Accordo di Istanbul che avrebbe posto fine alla guerra stabilendo l’autonomia del Donbass e la denazificazione e che lo fece promettendo all’Ucraina il sostegno militare necessario per vincere la guerra. Si tratta quindi del principale responsabile della morte dì centinaia di migliaia di giovani ucraini e russi nel periodo successivo, fino ad oggi è oltre.

Altra parte dell’intervista è poi dedicata a smentire efficacemente fake news e vere e proprie leggende metropolitane diffuse a piene mani dai media occidentali per avallare presunti intenti espansionisti della Russia.

Sul piano globale l’incremento dell’interscambio con la Cina e l’ascesa dei BRICS costituiscono fenomeni naturali incontenibili ma la frattura del mondo in sfere contrapposte costituisce un evento da evitare, perché contrario alla necessità di un governo multipolare.

I fatti hanno dimostrato che la Russia è imbattibile sul piano militare e gli Accordi raggiunti a Istanbul possono rappresentare una base negoziale da cui partire per la soluzione pacifica del conflitto. Dati i molteplici legami esistenti tra popolo russo e popolo ucraino si tratta, afferma Putin, di una guerra civile. Peraltro Raniero La Valle sostiene con un certo fondamento che, dati gli attuali livelli di interdipendenza esistenti a livello globale, ormai tutte le guerre sono guerre civili.

In conclusione Putin ribadisce la sua disponibilità al negoziato e ad una via d’uscita pacifica dal conflitto ucraino. Si tratta di una posizione di grande importanza nel momento in cui si delinea la sconfitta dei propositi ucraini, che determina una crisi potenzialmente esiziale per l’establishment atlantista di Kiev con l’emergere di un forte dissidio tra il presidente Zelensky e il Capo di stato maggiore Zaluzhni, che il primo ha inteso silurare ma che pare sia di gran lunga più popolare di lui in seno alla popolazione ucraina.

È del tutto evidente a chiunque non patisca di servilismo nei confronti della NATO e degli Stati Uniti che il recupero di rapporti amichevoli e cooperativi con la Russia, come pure il mantenimento e ampliamento di quelli con la Cina, costituisce l’unica alternativa alla catastrofe per la quale stanno fattivamente operando i governanti di Washington e i loro capi filiale nostrani, che si preparano a perpetuare la guerra trasformando le nostre economie e le nostre istituzioni in tal senso, con i conseguenti intollerabili sprechi di risorse destinate al riarmo, nonché coll’irrigidimento autoritario e la repressione del dissenso.

Purtroppo, una tesi realistica come questa confligge con la categoria di opinionisti con l’elmetto NATO, alla quale purtroppo appartengono molti politicanti giornalisti, accademici e presunti intellettuali del nostro disgraziato Paese. Compresi coloro che, pur non alieni da analisi scientificamente fondate della situazione, sentono l’insopprimibile bisogno di ribadire a ogni piè sospinto la propria appartenenza al campo occidentale, come se la mera qualificazione geografica implicasse necessariamente un destino di immutabile affiliazione al capitalismo imperialista originato da tale contesto.

Ristabilire rapporti amichevoli e cooperativi con la Russia costituisce altresì un obiettivo di essenziale importanza per garantire pace e prosperità a tutto il continente europeo e in particolare al nostro Paese, soprattutto tenendo conto del nuovo contesto di governo multipolare del pianeta che si sta delineando nonostante le resistenze strenuamente opposte dalle Potenze occidentali in declino.

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