Nel silenzio dei media occidentali, la settimana passata ha prodotto due eventi di significativa importanza planetaria. Il primo è la decisione - storica e dai risvolti enormi - dell’Arabia Saudita e del complesso dei paesi Opec+ di abbandonare l’accordo economico preso con gli USA negli anni ’70 (presidenza Nixon) che prevedeva l’acquisto in Dollari delle forniture petrolifere. D’ora in avanti, i paesi produttori di greggio venderanno in qualunque divisa e ciò di riflesso colpirà il Dollaro, che avendo minor richiesta sui mercati, subirà un deprezzamento. I contraccolpi non sono difficili da intuire: contribuiscono fortemente alla de-dollarizzazione dell’economia mondiale e parallelamente riducono l’influenza degli USA sui mercati valutari, comprimendone così le capacità d’influenza sulle altre economie.

 

In aggiunta la Cina ha deciso di mettere sul mercato una grossa fetta del debito USA che deteneva. Nel primo trimestre Pechino ha venduto oltre 53 miliardi di Dollari tra titoli del Tesoro Usa e obbligazioni e il Belgio (che detiene una parte significativa degli asset cinesi) ha venduto nello stesso periodo 22 miliardi di Dollari del Tesoro USA. Ciò rappresenta un brutto colpo per Washington perché i titoli del debito USA sono una delle principali risorse per una economia drogata da un deficit spaventoso e l’acquisto dei suoi titoli di Stato riflette la fiducia dei mercati nell’economia statunitense. I proventi della vendita dei titoli di debito USA sono stati investiti dai cinesi in acquisto di oro, e le riserve di Pechino ammontano ora al 4,9 del totale.

Un’altra decisione, non meno importante ed anch’essa insita di valore strategico, è stata presa dalla riunione dei Ministri degli Esteri dei BRICS. Incremento del commercio all’interno del blocco e senza Dollari ed Euro e dunque al riparo delle sanzioni, rafforzamento della Banca d’Investimenti, sostegno alle associazioni regionali di cooperazione. Presenti i nuovi paesi (Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran ed Etiopia) si è deciso di reagire alle sanzioni occidentali, come già stabilito da Cina, Russia, Venezuela e Nicaragua. E ignorando le minacce ai partners della Russia, Nuova Delhi ha annunciato un accordo con Mosca per il trasporto via Iran del carbone russo in India e, dopo la formale richiesta di adesione del Nicaragua all’organismo multilaterale, è arrivata anche quella della Thailandia, mentre la Turchia sta studiando le forme di progressiva collaborazione. Il messaggio che arriva è che sono saltati gli ormeggi: la sfida all’egemonia del Dollaro ed al suo utilizzo spregiudicato ed aggressivo per regolare le relazioni internazionali è lanciata.

L’eterogeneità politica e culturale dei BRICS, presentata in Occidente come prova di un percorso impossibile, è invece superata sia dal dialogo interno che dalla comunanza di interessi del Sud Globale. E forse, ancor prima, dall’arroganza imperiale dell’Occidente. Non vi sono margini di dialogo per una composizione ordinata e reciprocamente conveniente tra chi vuole schiacciare e chi non vuole più essere schiacciato.

 

G7, la carovana dell’Alleluja

C’è stata poi la riunione del G7 in Italia, dal copione abbastanza scontato. Più che altro una scampagnata ad uso di telecamere con le solite minacce di sanzioni alla Russia e a chiunque non applica le sanzioni (praticamente i tre quarti del pianeta), e le promesse all’Ucraina se accetta di far letteralmente sterminare la sua popolazione per tenere impegnata la Russia, che sperano si consumi in un conflitto logorante e senza uscita.

Sugli annunciati sequestri degli utili derivanti dagli asset economici e dei conti bancari russi trattenuti dall’Occidente permangono incertezze giuridico-operative. Le controindicazioni -ritorsioni sulle proprietà e sui depositi occidentali, denunce penali in sedi internazionali per appropriazione indebita, oltre che violazione del codice di condotta delle banche - ricadranno così, come la guerra, soprattutto sulle spalle dell’Europa e non degli USA. Del resto l’Europa dovrà agire su 200 miliardi di Euro congelati e gli USA su circa 70. L’idea è che coprano il prestito che il G7 garantirà con ciò il nuovo prestito USA all’Ucraina di 60 miliardi entro la fine del 2024, ammesso e non concesso che la situazione resti quella di ora, sia per la Casa Bianca che per Kiev. quel che è chiaro è che l’Occidente non intende più spendere i suoi soldi per l’Ucraina.

Non poteva mancare l’isteria contro la Cina e coincidenza vuole che la riunione del G7 inizi successivamente alla decisione di Bruxelles (ispirata da Washington) di alzare oltre ogni limite comprensibile i dazi sull’import cinese di autovetture elettriche: dazi doganali al 38% oltre alle sanzioni già decise per il comparto tecnologico.

Ma la UE non è per la globalizzazione, la green economy, la fine progressiva del fossile e l’incremento forzoso dell’elettrico? Perché allora la Cina, che ha un elevato standard di qualità ed una forte capacità produttiva nel settore automotive, che lavora in sinergia con diverse imprese europee (l’italiana Stellantis tra tutte, che attraverso la Iveco ha firmato un accordo con la Fanton per la distribuzione delle auto elettriche cinesi in Europa) dev’essere castigata? Stando alla narrazione sulla riconversione in chiave ambientalista degli assetti produttivi e del mercato dei beni di consumo di massa, andrebbe semmai incoraggiata, visto che contribuisce al minor uso di fossile e maggior diffusione dell’elettrico.

La misura, su ordine USA, colpirà l’economia dell’area UE e dalla Volkswagen alle altre case automobilistiche europee arrivano proteste forti contro Bruxelles, che definiscono la decisione autolesionistica perché produrrà un danno molto superiore ai vantaggi competitivi. A goderne sarà il comparto auto statunitense. Pechino si riserva una risposta adeguata a quella che ritiene una violazione delle regole del commercio internazionale. Se decide di reagire, la Cina ha solo l’imbarazzo della scelta sul dove, quanto, come e quando.

Secondo uno studio del European House-Ambrosetti, infatti, la UE importa dalla Cina il 56% delle 34 materie prime “critiche”, ovvero i metalli che servono a fare andare avanti auto elettriche, impianti eolici, smartphone, Pc, tv, persino droni, con un ruolo predominante per 11 di queste. “Se la Cina interrompesse la fornitura di terre rare all’Europa - sostiene lo studio - da qui al 2030 sarebbero a rischio 241 GW di eolico (47% del totale) e 33,8 milioni di veicoli elettrici (66% del totale), rendendo impossibile il raggiungimento degli obiettivi della Ue”. Del resto “il 45% delle materie prime per la produzione dei pannelli fotovoltaici Ue deriva dalla Cina; idem per la produzione dell’eolico (42%) e anche per le batterie l’Ue dipende da Pechino, da cui arrivano il 37% delle materie prime coinvolte nella produzione”.

 

L’accelerazione della fine

I dazi contro la Cina spiegano il modello di globalizzazione occidentale: liberismo nelle esportazioni e protezionismo nelle importazioni. Il “sistema di regole”, che ha formato la cornice politico-giuridica adatta alla fase espansiva del capitalismo anglosassone, non va più bene; erano buone quando permettevano a USA e Occidente globale di vincere e dominare, ma ora che in la fase declinante del sistema imperiale rende l’egemonia incerta, le regole devono cambiare.

Solo che il cambiamento non è un’ipotesi da scongiurare, bensì un processo già in corso e che acquista velocità ogni giorno che passa, se non altro per reazione all’ottusità arrogante con cui la fortezza occidentale pretende di colpire tutto ciò che è fuori le mura.

Ma il nuovo mondo è una realtà dalla quale è impossibile prescindere. Mette in scena la fine di un modello basato sul vassallaggio che drena le ricchezze del 90 del mondo verso il 10 per cento della popolazione. Il Nord famelico dovrà apprendere il senso del limite se vorrà avere ancora un ruolo strategico nella governance planetaria. Gli converrà venire a patti con le economie emergenti e prendere atto dell'ormai insostenibile dominio unipolare e dell’urgenza di nuovi equilibri, se non vorrà affondare mentre dal ponte di comando lancia minacce al mare che lo sommerge.

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