di Carlo Benedetti

Non è la Casa Bianca, ma è la villa dei Bush che accoglie Putin. Atmosfera, quindi, non ufficiale a Kennebunkport, nel Maine dove (Walker's Point) c’è questa casa di vacanza che offre all’ospite russo gite in motoscafo, pesca di aragoste, partite a golf e pacche sulle spalle, come nella migliore tradizione dei cow-boy. George W. sfodera qui la sua ricchezza privata e scende in concorrenza con quella villa di Novo-Ogariovo, nei pressi di Mosca, della quale Putin è solo l’ultimo inquilino. Ma è ovvio che questa volta il problema non è stato quello delle proprietà e dei luoghi prescelti. La Casa Bianca ha voluto dare a questo “vertice” un significato particolare. Un incontro “in famiglia”? Un’atmosfera informale per rafforzare i contatti personali? Comunque sia, tra le tante portate al tavolo (dove i due si sono accomodati senza formalità e senza cravatta come hanno informato le cronache) c’erano piatti d’eccezione sfornati dalle cucine delle diplomazie: scudo spaziale come antipasto, status del Kosovo come primo piatto, programma nucleare dell'Iran e della guerra in Iraq come contorno e, infine, come dessert, lo stato delle relazioni Usa-Russia. Poi, una volta consumata la vacanza in famiglia, Putin si è congedato per raggiungere il Guatemala per appoggiare (alla 119ma sessione del Comitato olimpico internazionale) la candidatura della città di Soci, sul Mar Nero, per le olimpiadi invernali del 2014. L’accento, comunque, resta sul rapporto Cremlino-Casa Bianca. E per quanto riguarda Putin - che a Kennebunkport è stato l’ospite di riguardo – la Russia ufficiale non ha mancato di sfoderare le armi della sua diplomazia e della sua propaganda proprio nel “covo” dell’ideologo della nuova guerra fredda. Il Cremlino, quindi, ha approfittato dell’occasione per parlare al mondo in modo non ufficiale. E tutto il contenzioso con Washington è stato affidato ad una delle voci più importanti del mondo russo degli osservatori politici e diplomatici. Si tratta di Melor Stura, uno dei più anziani giornalisti che è riuscito a trasmigrare – incolume - dai media sovietici a quelli russi attuali. E’ lui che “spiega” – dalle colonne del quotidiano Isvestija - gli obiettivi della vacanza americana del presidente. Parte dal clima generale ed arriva al punto centrale per rilevare che i rapporti con Washington restano tesi e che lo Scudo più che difendere, divide. Vertice inutile, quindi? Informale, si risponde, e proprio per questo destinato a lasciare le cose come stanno.

Lo “Scudo”, quindi, esce battuto dal pranzo in famiglia. Dovrebbe rappresentare – secondo i piani del Pentagono e della Cia - un sistema concepito per intercettare missili balistici lanciati principalmente dall’Iran. Prevedendo – questo il punto centrale della contesa tra Russia e Stati Uniti – un centro di direzione missilistico in Polonia e un radar ad alta risoluzione nella Repubblica Ceka. Tutto agli ordini degli strateghi della Nato e degli Usa. Forte ed immediato il “niet” russo perché il Cremlino non accetta che ai suoi confini siano sistemate basi americane.

Putin, più volte ha detto: “Il Patto di Varsavia non esiste più e noi abbiamo smantellato tutte le postazioni offensive. Perché gli americani, ora, ripropongono quelle strutture da guerra fredda?”. Ma nello stesso tempo la Russia non sta a guardare. Non prevede trattative serie a breve scadenza e così la parola passa al suo vertice militare. Ecco che si svolgono i test del missile di crociera R-500 e del missile intercontinentale (Icbm) RS-24. L’R-500 è una realizzazione recente, adattata al lanciatore tattico Iskander, con raggio d’azione fino a 170 chilometri e capacità di neutralizzare i sistemi di difesa antimissile e antiaerei. Il test si svolge con successo nella zona di Kapustin Yar, nella regione russa dell’Astrakan. L’altro nel poligono di Plesetesk nel nord ovest della Russia. L’RS-24 è una versione del Topol-M equipaggiato con testate multiple indipendenti (fino a 10) e ha un raggio d’azione di 6.000 miglia.

Il missile parte da un lanciatore mobile e gli obiettivi sono raggiunti dalle testate nel poligono di Kura, penisola di Kamchatka, a 3.400 miglia di distanza. Il comandante delle forze missilistiche strategiche russe dichiara che “il missile balistico intercontinentale RS24 rafforzerà il potenziale militare delle forze missilistiche strategiche russe in grado di superare sistemi di difesa anti-missile…”.

Fonti russe precisano poi che il missile è compatibile con il trattato Start I sulla limitazione delle armi strategiche e con l’accordo tra Russia e Usa sulla riduzione dei rispettivi arsenali nucleari a 1.700-2.000 testate. Il trattato Start I scade nel 2009 e il test russo potrebbe essere un’ipoteca posta alle condizioni del rinnovo, oltre che una risposta concreta di Mosca al programma di schieramento del sistema antimissile Usa in Polonia e Repubblica Ceka. Putin parla di “rischi nuovi e non necessari” respingendo di fatto le motivazioni che gli Usa continuano a fornire in merito alle potenzialità e agli scopi effettivi del loro sistema.

La Russia, intanto, si dota di un nuovo sistema missilistico: un missile intercontinentale di nuova generazione Topol parte dal Cosmodromo di Plesetsk, 500 chilometri a nord della capitale russa, e attraversa per intero la Siberia piombando sull'obiettivo prefissato, nella penisola della Kamchatka, a 5 mila chilometri di distanza dalla località di lancio.

Sin qui le cronache della strategia militare russa. C’è poi la controproposta politica del Cremlino: al vertice di Heiligendamm, Putin avanza una sorta di intesa tra Russia ed Usa sulla base di un’installazione di un sistema radar antimissile Usa-Russia da realizzare in Azerbaijan dove già esiste una struttura militare della Russia. Si tratta di una postazione meno offensiva per Mosca e situata in un Paese che fu un satellite sovietico e ora intrattiene cordiali rapporti con la dirigenza moscovita.

Ma non tutto fila liscio dal punto di vista delle relazioni diplomatiche intereuropee. Si evidenziano atteggiamenti filoatlantici da parte di varie capitali. Dichiarazioni favorevoli al dislocamento delle basi antimissile in Danimarca sono rilasciate dal ministro degli Esteri di Copenaghen, Per Stig Moller, e dal suo omologo della Difesa, Soren Gade. Anche la Germania potrebbe - per volere del suo cancelliere, Angela Merkel, - sostenere il progetto di costruzione in Polonia della base antimissile Usa in cambio di un sostegno polacco alla Costituzione europea.

Mosca si sente “accerchiata”, mentre i Paesi Bassi decidono di fornire, a partire dal 2008, 3100 soldati alla forza di reazione rapida della Nato. Oltre ai militari, l’Olanda si dichiara pronta a passare alla Nato anche 12 aerei da guerra F-16, un battaglione di ingegneri, un ospedale da campo e un’imbarcazione per la rimozione di mine. E su tutto arriva la “benedizione” del presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso, il quale dichiara che la Russia non ha il diritto di interferire nella questione relativa all'installazione di sistemi missilistici statunitensi nell'Europa orientale.

E così, sull’onda lunga di questa escalation si arriva a quel 26 aprile scorso quando Putin, in occasione dell'annuale discorso alla nazione, propone la moratoria degli impegni assunti da parte della Russia in qualità di firmatario del trattato in questione, aggiungendo inoltre che la moratoria resterebbe in vigore finché tutti i membri della NATO senza alcuna eccezione non lo avranno ratificato per poi rispettarlo.

Secondo Putin inoltre, si tratta di una questione da risolversi in ambito Consiglio federale russo-NATO. Putin afferma anche che la NATO sfrutta il trattato al fine di aumentare il proprio potenziale bellico in prossimità dei confini russi, alludendo chiaramente alla preventivata installazione da parte degli Stati Uniti di elementi missilistici sia in Polonia che nella Repubblica Ceka, oltre al fatto che i nuovi membri della NATO, cioè la Slovacchia e le repubbliche baltiche, nonostante gli accordi raggiunti con l'alleanza militare, non hanno ancora provvisto a sottoscrivere il Trattato sulle forze convenzionali in Europa.

Tutto questo contenzioso spunta fuori, nuovamente ed ovviamente, al tavolo di Kennebunkport. Dove Putin – tra una portata e l’altra – afferma che le basi missilistiche e la stazione radar che gli americani sono intenzionati ad installare rappresentano una minaccia per Mosca. Bush, invece, insiste e minimizza. Tenta di sostenere che il suo programma non è offensivo ma esclusivamente di carattere difensivo, ed è proprio per questa ragione che è disposto a fornire tutte le informazioni indispensabili. Ma tutto affoga nei brindisi al tavolo della villa sul Maine.

E mentre a Kennebunkport andava in onda il dialogo tra sordi i consiglieri diplomatici politici del presidente russo tornavano a spiegare ai loro colleghi americani alcune linee portanti della nuova politica del Cremlino. In particolare il fatto (lo riferisce il commentatore russo Sturua) che la Russia è ora entrata in una nuova fase della sua ripresa. Perché questa di oggi è una Russia che dopo essersi impegnata a riprendere il controllo delle ricchezze naturali sta anche restaurando il potere militare. Non ammette infondate ed astratte prediche dagli stranieri, ed ammette ancora meno che le si voglia imporre un modello di struttura della società, di forma dell’amministrazione. Ma è indispensabile che tutto ciò che entra nel concetto di sovranità dello stato, non serva a quelli che, all'interno come all'esterno del paese, tentano di allontanare la Russia dai processi oggettivi in corso: la globalizzazione, l'internazionalizzazione dell'attività economica, l'avvicinamento tra le civiltà. È indispensabile difendere gli interessi della Russia e di tutta la sua popolazione. Ma ciò si deve fare senza un confronto con altri popoli e paesi che sarebbe umiliante, nefasto e pericoloso.

Va tenuto quindi conto del contesto internazionale nel quale la Russia si sta sviluppando, sapendo bene che la fine della Guerra Fredda si è accompagnata ad un arretramento del sistema bipolare ed ha cominciato ad essere edificata nel mondo un'organizzazione multipolare. La Cina e l'India, che possiedono un potenziale umano colossale, si sviluppano velocemente. Così come Brasile e Argentina che si stanno trasformando in paesi post-industriali. Di conseguenza è difficile immaginare che la Russia, il cui sviluppo è dinamico, non diventi un centro autonomo in un mondo multipolare.

Il Cremlino sa – e questo è stato detto a Kennebunkport – che gli Usa, nelle attuali condizioni, sono il paese del mondo più evoluto sul piano economico, il più forte sul piano militare, scientifico e tecnologico. In questo contesto, Mosca vede però che nell'attuale amministrazione statunitense, si rafforza l'influenza di quelli che tentano di preservare le posizioni egemoniche degli Stati Uniti in una ben precisa fase di edificazione di un'organizzazione multipolare del mondo. Tutto ciò ha delle ripercussioni negative sul processo di neutralizzazione delle minacce contro le quali urta l'umanità dalla fine della Guerra Fredda.

Quali, quindi, i pericoli? Il maggiore – dicono gli uomini di Putin – riguarda la proliferazione delle armi nucleari e degli altri mezzi di distruzione di massa. C’è quindi da interrogarsi sul perché sia fallita la dottrina dell'unilateralismo. Al tempo della Guerra Fredda – questa la risposta che è data dal Cremlino - la stabilità nell'arena internazionale era assicurata dalla mutua dissuasione delle due superpotenze, che dirigevano i due campi ideologici avversi. In altri termini, riposava su un confronto dai limiti nettamente segnati. Adesso, solo attraverso gli sforzi comuni e mirati di tutti i grandi centri del mondo multipolare in formazione possono essere scongiurate le nuove minacce.

Ma questa verità, che sembra indiscutibile, è lontana dall’essere facilmente realizzabile. Come ha mostrato l'operazione in Iraq, gli Stati Uniti si sono arrogati il diritto esclusivo di determinare quale paese minacciava la sicurezza internazionale e di decidere da soli se occorreva o no adoperare la forza contro di loro. Allo stesso tempo, hanno proclamato la loro ferma volontà di “esportare la democrazia” nei paesi il cui regime a loro non conviene.

Si può constatare fin d’ora l'insuccesso di questa politica con l’Iraq che si è trasformato nella principale piazza d’armi di Al-Qaida dando un colpo mortale alla dottrina dell'unilateralismo. È ciò che hanno mostrato le ultime elezioni al Congresso americano, che hanno visto il Partito repubblicano perdere la maggioranza nelle due Camere.

Ma questo colpo mortale non significa ancora la fine di questa dottrina, tanto più in quanto si cerca in tutti i modi di prolungarle la vita. E questo è testimoniato dalla "nuova strategia" proclamata dagli Stati Uniti al riguardo dell'Iraq. Consiste nel fatto che il presidente Bush ha deciso, a dispetto del Congresso e dell'opinione pubblica maggioritaria, di mandare altri 22.000 soldati di rinforzo in Iraq. Questa decisione è del tutto negativa e senza prospettive, come se agli Stati Uniti, per uscire dal vicolo cieco iracheno, bastasse semplicemente aumentare di un sesto la presenza delle loro truppe di occupazione. Duri poi i giudizi dei russi sulla Nato che, creata al tempo della Guerra Fredda come organizzazione regionale, al momento, estende poco a poco la sua influenza con la forza su altre regioni.

Ha già dispiegato le sue forze armate in Afghanistan. E nessuno sa come la situazione vada ad evolversi. Non ci si può che allarmare quando, per esempio, si vedono certi media studiare l'ipotesi di un intervento armato in Iran ed in Siria, che sarebbe condotto dalla Nato in mancanza degli Stati Uniti. “L'alleanza Nordatlantica che non cessa di inglobare nuovi paesi, si è avvicinata – dicono i portavoce di Putin - alle nostre frontiere. Ciò non può mancare di inquietarci, beninteso. Tanto più che l'espansione della Nato è corredata da un retorica antirussa così come da un’offensiva politica degli Stati Uniti nelle ex-repubbliche sovietiche.

Mosca non può fare a meno di vedere degli atti dettati dal malcontento che provano certi ambienti occidentali vedendo che la Russia sta ritrovando un promettente grande potenziale, ritorna nella sua posizione di grande potenza. Non è questo ciò che mostra la reazione isterica che ha provocato, in Occidente, il fatto che la Russia intraprenda in modo risoluto di vendere i suoi prodotti energetici a prezzo di mercato?”.

La Russia, quindi, si presenta sull’arena mondiale in modo del tutto nuovo. E l’America di Bush è chiamata a comprenderlo. Putin, in tal senso, adotta una linea che coniuga la ferma difesa degli interessi nazionali della Russia con la volontà di evitare ogni scontro con gli altri paesi. E mentre i consiglieri del Presidente spiegavano le loro teorie ai colleghi americani al tavolo – tra aragoste, vodka e whisky - Putin ribadiva a Bush il suo “niet” per un Kosovo staccato definitivamente da Belgrado. Il pranzo in famiglia è stato così consumato.

Fuori delle portate di politica estera è restato, ovviamente, per buon tono il discorso sul venezuelano Chavez. Un nuovo amico della Russia e grande nemico della politica di Bush. E’ stato lui, al tavolo moscovita con Putin, a dire nelle settimane scorse che "bisogna opporre una resistenza al dominio imperialista americano che vuole imporre la tirannia, opposizione al bombardamento imperiale come ci ha insegnato Lenin, che ha indicato l’imperialismo come ultimo stadio del capitalismo". E nel bottino russo di Chavez - si sa - figurano già caccia Sukhoi e altri armamenti, e centomila mitragliatori Kalashnikov. Chavez, inoltre, punta ad acquistare a Mosca nove sottomarini, di cui sei lanciamissili.

Acque agitate, di conseguenza, per Bush. Per tornare a Kennebunkport e per dirla con gli osservatori russi al seguito del presidente: il pranzo è stato ottimo, l’accoglienza pure. Risultati: zero. Ma questo era già previsto.

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