di Michele Mura

Quella che una volta veniva chiamata la Corazzata Bush ogni giorno che passa sembra perdere pezzi. Non bastava la fuga del suo braccio destro, colui che era definito la "mente" della Casa Bianca, Karl Rove. Non bastavano anche le ignominiose dimissioni del portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, il quale non ha trovato di meglio come scusa che affermare di essere "pagato molto meno di quanto percepivo lavorando a Fox News”. Ora anche il segretario alla Giustizia, Alberto Gonzales, una delle persone più criticate all'interno dell'Amministrazione Bush, ha annunciato di aver gettato la spugna. Al comandante del vascello in tempesta non è rimasto altro che accettare anche questo ultimo pesante colpo. Da mesi i democratici, assieme ad alcuni esponenti repubblicani, chiedevano le sue dimissioni per aver mentito dinanzi al Congresso a proposito del programma di intercettazioni segrete della National Security Agency (NSA). Ma soprattutto per aver partecipato attivamente allo scandalo delle torture di Abu Ghraib e di Guantanamo, in quanto autore dei memorandum che ridisegnavano di fatto la definizione di tortura, escludendone alcuni metodi quale la privazione del sonno, il "waterboarding" e il prolungato uso di posizioni dolorose a cui venivano sottoposti i prigionieri della guerra al terrorismo. "Gonzales è un uomo d'onore, con valori saldi e integrità e sono fiero di averlo avuto al mio servizio", ha affermato il presidente Bush annunciando alla stampa di aver accettato, seppure a malincuore, le dimissioni di Alberto Gonzales. Il presidente ha poi accusato i democratici di averlo costretto a fare questo passo: "Gonzales ha lasciato dopo mesi di polemiche ingiuste, che hanno reso difficile il funzionamento del dipartimento di Giustizia. Viviamo purtroppo in un'era politica in cui il talento di uomo d'onore come Alberto Gonzales non viene messo in condizione di fare il suo lavore perche il suo buon nome viene trascinato nel fango per motivi politici".

Bush ha quindi confermato che il segretario alla Giustizia ad interim sarà Paul Clement, l'attuale capo dell'avvocatura generale degli Stati Uniti, in attesa della nomina e della seguente conferma da parte del Senato, di un successore vero e proprio. Da parte sua Gonzales ha ringraziato affermando di aver vissuto per un attimo della sua vita il pieno significato del "sogno americano", avendo avuto l'onore di guidare il Dipartimento della Giustizia: "Ogni giorno da me vissuto qui, anche il peggiore, è stato migliore di quelli vissuti da mio padre". Ma a parte i toni drammatici usati, è anche stavolta chiaro che si tratta dell'ennesima grave perdita per una Amministrazione che vede, ogni giorno che passa, perdere sempre più potere e prestigio.

I democratici, come è ovvio che sia, hanno festeggiato l'uscita di scena di uno dei loro principali bersagli. Il leader della maggioranza democratica al Senato, Harry Reid, afferma che "Gonzales non è mai stata la persona adatta a essere segretario alla Giustizia perchè mancava di indipendenza e di spina dorsale per dire un no a Karl Rove". Anche il senatore democratico di New York, Charles Schumer, ha salutato le dimissioni di Gonzales come l'avvio di una nuova era per un Dipartimento della Giustizia che negli ultimi sei mesi "aveva di fatto smesso di funzionare ed aveva estrema necessità di una nuova leadership".

I democratici hanno comunque fatto sapere di essere pronti a collaborare con la Casa Bianca per la nomina di un nuovo segretario alla Giustizia, a patto che questo "sia più fedele alla legge che a Bush", come ha affermato il senatore Russell Feingold, del Wisconsin. Da parte repubblicana invece il tono è molto più dimesso e non manca chi lo ricorda come "una persona onesta che ha dedicato la sua vita al servizio del Paese". Ma c’è anche chi ritiene che siano state decisive proprio le pressioni della leadership repubblicana impaurita per una possibile debacle alle elezioni del prossimo anno, che ha chiesto a Bush di ripulirsi di tutti i personaggi scomodi che lo circondano.

Subito infatti la questione delle dimissioni di Gonzales è entrata nella campagna elettorale per le presidenziali. Almeno quattro degli aspiranti democratici alla Casa Bianca hanno usato la stessa frase per descrivere le dimissioni di Alberto Gonzales: "Erano dovute da tempo". In particolare, una delle più attive nella richiesta di dimissioni nei mesi scorsi è stata la senatrice democratica e candidata favorita alla nomination democratica per la Casa Bianca, Hillary Rodham Clinton, che ha accusato Gonzales di aver spergiurato sulla Costituzione ed aver messo "la lealtà nei confronti di Bush dinanzi al rispetto della legge".

Frasi simili sono echeggiate dal suo principale rivale alle primarie democratiche, il senatore nero dell'Illinois, Barack Obama: "Gonzales ha sovvertito la giustizia per sottometterla alla politica" ed era "perciò ora che decidesse di dimettersi". I principali candidati repubblicani, Mitt Romney e Rudolph Giuliani, hanno invece entrambi ringraziato Gonzales per il suo lavoro. Ma a differenza di Giuliani, che si è tenuto più sul vago, Romney è andato oltre, affermando che il segretario alla Giustizia ha preso per l'ultima volta la migliore decisione possibile, "mettendosi da parte".

Le dimissioni di Gonzales non hanno comunque sorpreso nessuno nella Washington politica, in quanto attese da parecchio tempo. In particolare negli ultimi giorni, nei corridoi del potere, girava insistentemente voce dell'imminenza delle sue dimissioni e più volte il suo portavoce era stato costretto a smentire tali voci, l'ultima volta proprio domenica scorsa. Oggi invece tali voci sono state confermate ed il primo organo di informazione a rendere pubblica la notizia è stato, ancora una volta, il New York Times, che si conferma uno dei media con maggiori agganci nei palazzi che contano. Resta da vedere chi deciderà di nominare il presidente Bush al posto di Alberto Gonzales, sebbene il nome più comune sia quello di Michael Chertoff, l'attuale responsabile della Sicurezza Nazionale, che però non è molto ben visto dalla maggioranza democratica al Congresso.

Con un indice di popolarità a livelli così bassi, mai visti prima per un presidente alla fine del suo secondo mandato e con sempre meno persone di fiducia al suo fianco, non sembrerebbe una decisione saggia per George W. Bush quella di sfidare, per l'ennesima volta, il Congresso a maggioranza democratica. Ma, come abbiamo visto sin troppe volte negli ultimi anni, non è detto che alla Casa Bianca la logica si sposi sempre con la politica.

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