di Eugenio Roscini Vitali

Il 24 agosto scorso, la Corte Suprema di Islamabad ha autorizzato l’ex primo ministro Nawaz Sharif, attualmente in esilio in Arabia Saudita, a tornare in Pakistan. La notizia, accolta favorevolmente dall’opposizione, crea non pochi problemi al presidente Pervez Musharraf, pressato dall’opposizione e dal terrorismo islamico, dai fatti della Moschea Rossa di Islamabad alla azioni di guerriglia organizzare lungo la frontiera nord occidentale dalle popolazioni tribali e dai gruppi legati ad al-Qaeda. Per Musharraf, ideatore del colpo di stato che il 12 ottobre 1999 rovesciò il governo Sharif, la sentenza arriva in un momento difficile; un provvedimento sul quale non si è ancora espresso pubblicamente ma al quale si sta preparando a rispondere mettendo in campo un’alleanza di peso: quella con l’ex premier Benazir Bhutto. Diretta dai vertici della Casa Bianca, l’operazione politica tenta di ridare stabilità ad un Paese dilaniato da mille problemi, affiancando ad un leader sempre più isolato una figura di spicco che in Patria è ancora molto amata. Sette anni di esilio non sono stati sufficienti a modificare da ergastolo a pena capitale la condanna inflitta a Sharif. Il tentativo fatto da quella parte di magistratura vicina a Musharraf è abortito nel momento in cui i sette membri della Corte Suprema hanno stabilito che i fratelli Sharif potranno tornare in Pakistan senza che il governo o le agenzie federali frappongano limitazioni, riserve od ostacoli di alcun genere. Il presidente della Corte di Giustizia, Iftikhar Muhammad Chaudhry, ha dichiarato che l’Articolo 15 della Costituzione sancisce il diritto a tutti i cittadini pakistani di vivere o transitare nel proprio Paese, inclusi i fratelli Sharif. Un messaggio chiaro, indirizzato soprattutto a chi, sette anni fa, condannò Nawaz Sharif all’ergastolo con l’accusa di dirottamento. Nell’aprile del 2000, l’ex premier fu riconosciuto colpevole per i fatti del 12 ottobre dell’anno precedente: aver ordinato al capo dell'aviazione civile di negare all'aereo sul quale viaggiava il Generale Pervez Musharraf l'atterraggio sull’aeroporto di Karachi.

Mian Muhammad Nawaz Sharif ha ricoperto la carica di primo ministro del Pakistan per due mandati, dal 1° novembre 1990 al 18 luglio 1993 e dal 17 febbraio 1997 al 12 ottobre 1999, data in cui è stato deposto dal colpo di stato organizzato dal Generale Musharraf. Figlio di un industriale, Nawaz nasce nel 1949 a Lahore, dove studia e si laurea in legge. Durante il periodo universitario gioca a cricket e nel 1973 raggiunge la massima serie.

La sua carriera politica inizia nel 1981, quando assume la carica di ministro nel governo provinciale del Punjab. Nel 1985 entra a fa parte dell’Assemblea nazionale e nel 1988 viene eletto a capo dell’Alleanza democratica islamica. Nel 1990, dopo le dimissioni di Benazir Bhutto, viene nominato primo ministro e, costituto il nuovo governo, avvia un controverso processo di riforme. Nelle elezioni del 1993 viene sconfitto, ma nel febbraio 1997 torna a guidare il governo. Il 28 maggio dell’anno successivo, in risposta agli esperimenti nucleari dell’India, autorizza i primi test atomici pakistani. Questa decisione lo mette in aperto contrasto con la comunità internazionale e con gli Stati Uniti, tradizionali alleati del Pakistan, che si oppongono fermamente al progetto nucleare di Sharif.

Isolato dalla politica internazionale e in cerca di un appoggio che sostenga il suo governo, Sharif cede alle richieste dei settori più oltranzisti della Lega musulmana e introduce la legge islamica. Nel 1999, la crisi politico-militare con l’India, scoppiata dopo l’occupazione del villaggio di Kargil, nel Kashmir indiano, lo mette in contrasto con i vertici delle forze armate, che lo accusano di corruzione. Il 12 ottobre, Shafir solleva Pervez Musharraf dall’incarico di Comandante dell’esercito pakistano; al suo posto nomina il direttore dei servizi segreti (Inter-Services Intelligence), il Generale Khwaja Ziauddin.

Musharraf, in missione all’estero, tenta di rientrare in Pakistan con un volo commerciale proveniente dallo Sri-Lanka; ormai alle strette, Sharif ordina al capo dell’aviazione civile di negare l'atterraggio a Karachi del velivolo su cui viaggia Musharraf, ma lo Stato Maggiore dell’Esercito non volta le spalle al Generale e occupa l’ aeroporto, permettendo all’aereo di rientrare. Musharraf, assume il controllo del governo e ordina l’arresto di Sharif, che viene processato e condannato all’ergastolo, pena poi commutata dallo stesso Musharraf a 10 anni di esilio.

In realtà, in attesa che vengano indette libere elezione e che il Senato, l’Assemblea nazionale e l’Assemblea provinciale nominino un nuovo Capo dello Stato, Musharraf ha trasformato il Pakistan in un regime, occupando contemporaneamente il posto di presidente della Repubblica Islamica del Pakistan e di capo delle Forze Armate. Le elezioni generali dell’ottobre 2002 hanno visto l’inutile vittoria della Lega musulmana pakistana e di una lista di parlamentari appartenenti al Partito popolare pakistano (PPP).

In previsione del risultato elettorale, Musharraf si era premunito organizzando il referendum “farsa” dell’aprile 2002, con il quale ha esteso il suo mandato presidenziale fino al 2007 e ha limitato la nomina del primo ministro ad un massimo di due legislature, mettendo fuori gioco gli ex premier Sharif e Bhutto. Gli Stati Uniti, che comunque non gli hanno mai voltato le spalle, lo accusano di non aver saputo fronteggiare le rivolte tribali del nord-ovest e di non aver frenato l’estremismo islamico che nelle madrasse sta forgiando le nuove leve del terrorismo internazionale.

Sul fronte interno, la decisione della Corte Suprema sul caso Sharif può essere intesa come un monito che Musharraf non può ignorare; un verdetto che potrebbe non avere effetti immediati ma che nel tempo potrebbe rivelarsi determinante. Dallo scorso luglio, questa è la terza volta che la Corte Suprema bacchetta il presidente pakistano: il 20 luglio è stato reintegrato il presidente della Corte di Giustizia, Iftikhar Muhammad Chaudhry, sospeso da Musharraf con l’accusa di frode; il 4 agosto è stato liberato Javed Hashmi, esponente del gruppo di opposizione “Alleanza per il ripristino della democrazia”, arrestato il 29 ottobre 2003 e condannato a 23 anni di carcere con l’accusa di alto tradimento per aver diffamato i vertici dell’esercito ed aver incitato all’ammutinamento.

Ultimamente l’opposizione si sta compattando intorno ad una alleanza di partiti che si oppone al regime militare di Musharraf; per protestare contro la sospensione del presidente Chaudhry si è assistito ad una vera insurrezione popolare che ha coinvolto diversi strati sociali e differenti correnti politiche: magistrati, avvocati, giornalisti, opposizione islamica e rappresentanti del “Partito popolare pakistano”.

Musharraf sa benissimo che non può continuare a rinviare le elezioni presidenziali ed è cosciente che, allo stato attuale, una consultazione popolare lo condannerebbe ad una pesante sconfitta. Per contenere l’avanzata dell’opposizione e il ritorno sulla scena politica di personaggi come Sharif, è quindi costretto a cercare nuove coalizioni che siano in grado di sostenerlo. Prima fra tutte è certamente l’alleanza con dell’ex premier e leader del Partito del popolo pakistano Benazir Bhutto che, pur avendo avuto una carriera politica tormentata e pur avendo scelto la via dell’esilio, è senza dubbio un figura carismatica ed autorevole.

Giudicata da alcuni vittima degli scandali che hanno coinvolto il marito e da altri ritenuta un campione di nepotismo e corruzione, la Bhutto è stata ha guidato il governo dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996. Primogenita del deposto primo ministro Zulfikar Ali Bhutto, all'età di trentacinque anni è stata la persona più giovane a guidare il gabinetto pakistano e la prima donna ad essere nominata premier in un paese musulmano.

Nel 1990 è stata destituita con l’accusa di corruzione; perse le elezioni, ha guidato l’opposizione contro il governo di Nawaz Sharif e nel 1993 ha riportato alla vittoria il PPP. Chiamata a condurre il governo del Paese, nel 1996 è stata nuovamente colpita dalle accuse di corruzione. Questo ha determinato una nuova destituzione, seguito dall’esilio di Dubai che però non le ha impedito di continuare a seguire le vicende politiche pakistane.

Benazir Bhutto ha sempre dichiarato di voler tornare Pakistan, cosa che ora potrebbe essere possibile grazie alle aperture politiche di Musharraf. Durante un recente viaggio a Londra, la signora Bhutto si sarebbe incontrata con i rappresentati del PPP per mettere a punto gli ultimi dettagli dal rientro in Patria, previsto per il prossimo mese di ottobre. Forte del consenso popolare di cui gode e dell’appoggio degli Stati Uniti, l’ex premier si sarebbe resa disponibile ad un’alleanza con Musharraf in cambio della possibilità di tornare alla vita politica e di chiudere definitivamente la questione sulle accuse di corruzioni che hanno portato alla sua destituzione.

Secondo la stampa internazionale, il senatore Mushahid Hussain, uomo vicino al presidente Musharraf, sarebbe in contatto con la signora Bhutto e alcuni colloqui sarebbero già avvenuti attraverso i canali del Dipartimento di Stato americano. Inoltre, le autorità di Islamabad si starebbero muovendo per convincere i fratelli Sharif a recedere dalla decisione di tornare in Pakistan; a guidare le trattative sarebbe stato chiamato Saad Hariri, figlio dello scomparso leader libanese Rafiq Hariri.

A questo punto della storia il fattore tempo non gioca certamente a favore di Musharraf, visto che Nawaz Sharif dovrebbe rientrare in Pakistan prima del 15 settembre e la Bhutto non prima di ottobre. Inoltre, a livello politico, l’alleanza gioverebbe solo a Musharraf visto che un accordo con il dittatore comprometterebbe, in termini di immagine, il leader del PPP. Tra l’altro, da dopo il referendum del 2002 la Bhutto non potrebbe neanche essere candidata alla carica di primo ministro. Il nodo della questione continua ad essere quindi la doppia investitura del presidente e Capo dello Stato e delle Forze Armate pakistane, cosa osteggiata dalla stessa Corte Suprema che potrebbe non accettare la candidatura di Musharraf a presidente della Repubblica e l’annullamento dei limiti imposti alla nomina di premier; arma a doppio taglio che accontenterebbe la Bhutto ma rimetterebbe in gioco Sharif.

Sta di fatto che in Pakistan, dopo 17 anni di scandali, reciproche accuse, inganni, abusi e repressioni, i personaggi che si contendono il potere sono sempre gli stessi e il futuro di quello che dovrebbe essere il più occidentale dei Paesi islamici si riduce all’alleanza Musharraf-Bhutto. Un po’ poco per parlare di democrazia.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy