di Fabrizio Casari

L’Amministrazione Bush non attraversa certo una fase di splendore. I suoi consensi sono al minimo storico e le prossime elezioni fanno ipotizzare una possibile vittoria repubblicana solo nel caso di un suicidio politico dei democratici (peraltro specialisti della materia). Almeno questo sembra emergere dalla crisi della destra, orfana dei suoi neocon e in attesa della mobilitazione dei suoi predicatori. Ma tra una amministrazione democratica o repubblicana, sotto il profilo della propaganda imperiale non vi sarebbe una grande differenza, giacché entrambi i partiti, pur con sfumature diverse, ritengono comunque che l’agenda politica statunitense debba essere sostenuta, internamente ed internazionalmente, con ogni mezzo ed in ogni luogo. La scommessa, infatti, è quella del recupero della leadership statunitense a livello planetario, leadership quanto mai messa in discussione dagli ultimi otto anni di presidenza Bush. L’informazione, con la quale si possono deformare i fatti e costruire il senso comune di un mondo alla rovescia, si trova dunque al primo posto nella strategia della comunicazione statunitense. Non è quindi un caso se nella legge di bilancio del prossimo 2008 viene previsto uno sforzo straordinario per la propaganda ed una messe di denaro per chi, nel mondo, voglia sostenerla. Gli Stati Uniti, infatti, investiranno ben 3615 miloni di dollari per finanziare organizzazioni e partiti politici all’estero perché promuovano le loro posizioni e la loro agenda politica internazionale. Denaro utile per spacciare i propri interessi come verità. Lo ha stabilito il Congresso degli Usa con una legge recentemente approvata, che s’inserisce nella legge finanziaria per l’anno prossimo. In questa cifra trovano posto i 683 milioni di dollari riservati alle trasmissioni delle emittenti radiofoniche incaricate di propagandare la politica di Washington all’estero, cioè la Voice of America e Radio e Tv Martì, quest’ultima destinata alla propaganda ed alla sovversione contro Cuba.

Oltre 600 milioni di dollari verranno così assegnati alla NED (National Endowment for Democracy), una delle articolazioni finanziarie parallele del governo statunitense creata da Ronald Reagan nel 1993. La NED vive con i fondi federali e nasce con il fine di “appoggiare istituzioni democratiche nel mondo attraverso sforzi privati, non governativi”. In un articolo pubblicato il 31 marzo del 1997, il The New York Times la definì così: "La Nacional Endowment for Democracy fu creata 15 anni fa per portare avanti pubblicamente ciò che ha fatto surrettiziamente la CIA durante decine di anni. Spende milioni e milioni di dollari all’anno per appoggiare partiti politici, sindacati, movimenti dissidenti e mezzi di comunicazione in dozzine di paesi”.

Al suo fianco opera l’USAID, sigla della ”Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale”. Il denaro dell’Agenzia è destinato quasi esclusivamente a gruppi creati da organizzazioni statunitensi. Proprio sulle attività della USAID, fece luce lo scorso anno un’inchiesta della AP (Asociated Presse). L’inchiesta, con dovizia di particolari e testimonianze inoppugnabili, apriva uno squarcio sulle porcherie politiche e contabili dell’agenzia.

Ebbene, anche la USAID non resterà a bocca asciutta: avrà 625 milioni di dollari, ed altri 40 saranno riservati agli sforzi della “T.I.” (Transition Iniziatives), una delle tante organizzazioni parallele della CIA incaricate di infiltrare politicamente e mediaticamente i paesi stranieri. E visto che il Venezuela chavista comincia a dare copiosi mal di testa all’Amministrazione Bush, ecco pronti 80 milioni di dollari per finanziare organizzazioni, partiti e media dell’opposizione venezuelana. Nella lista dei paesi oggetto delle “cure” della “T.I.” troviamo appunto Cuba e il Venezuela, dove dal giugno del 2002 l’organizzazione ha aperto un ufficio, dotato di un bilancio annuale che oscilla tra i 5 e i sette milioni di dollari, tutti utilizzati per le operazioni amministrative ed il finanziamento alle ONG antigovernative, oltre che ai partitini dell’opposizione.

Il bilancio del 2008 prevede poi 331 milioni di dollari per “organizzazioni e programmi internazionali”, con l’aggiunta di altri 1355 milioni di dollari per “contributi a organizzazioni internazionali” non definiti, il che li definisce automaticamente. Si sommano ai 502 milioni stanziati per l’Agenzia d’informazione statunitense, una macchina della propaganda governativa, che “promuove e supervisiona i programmi dei visitatori internazionali e gli scambi educativi e sociali”. Ce li vedete?

In pratica sono i fondi destinati all’acquisto di giornalisti, intellettuali, accademici, analisti di politica internazionale, dirigenti sindacali, leders politici e legislatori che nei mesi scorsi hanno suscitato uno scandalo (rapidamente silenziato) circa l’attività di reclutamento a suon di dollari sviluppatasi all’interno (giornalisti del Miami Herald comprati) e all’estero, in particolare in America Latina e specialmente in Nicaragua, Ecuador e Venezuela. Quest’ultima poi, si è vista assegnare ulteriori 10 milioni di dollari destinati alle trasmissioni della Voice of America che irradieranno Caracas e dintorni.

Ovviamente queste cifre rappresentano solo una parte degli investimenti che Washington destina alla sua supremazia culturale. Mille sono i percorsi attraverso i quali transita il denaro che serve ad innescare la macchina propagandistica della Casa Bianca. In questo bilancio, per esempio, non figurano i circa 700 milioni di dollari annuali stanziati per l’Ufficio per la Diplomazia Pubblica Usa, che funziona comunque come ufficio della propaganda governativa; e, meno che mai, sono compresi i fondi per la propaganda del Pentagono, che superano i sette miliardi di dollari l’anno.

A cosa serve tutto questo denaro? I fondi in questione sono appunto destinati ad accentuare i “pericoli” che rappresentano per “il mondo libero” le nuove democrazie latinoamericane, alle quali arriveranno poi avvertimenti e minacce. Tutto nel quadro di una gigantesca operazione di destabilizzazione del subcontinente, divenuto nuevamente oggetto di massima attenzione da parte di Washington anche in considerazione della sua crisi di leadership mondiale, determinata dalla sua crisi economica, dalla perdita di credibilità politica e dai suoi rovesci militari. Un film già visto, il cui remake, con nuovi attori e nuove scenografie, potrebbe però non avere il lieto fine previsto.

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