di Carlo Benedetti

MOSCA. Putin alza il tiro. Sino ad oggi ha giocato con due carte per preparare la successione fissata al 2008 ed ora, mentre la corsa è già cominciata, ne mette in campo una terza. E la partita si fa più difficile. Perchè le prime due candidature alla massima poltrona del Cremlino sono state, sino ad oggi, quelle di Ivanov e di Medvedev. Ma ora il Presidente spiazza i cremlinologi e comincia a flirtare con l’ultimo arrivato nelle sfere dell’Olimpo russo. E precisamente con Sergej Evgeneevic Naryshkin (nato nel 1954) che era responsabile dell’apparato governativo sistemato poi in una poltrona di riserva in qualità di vice premier. Putin - sempre attento all’uso delle cinghie di trasmissione - lo ammette nel giro dei suoi uomini: gli affida compiti direzionali e, cosa molto importante per la vita della casta russa, se lo porta in dacia tre-quattro volte alla settimana. Ed è un fatto senza precedenti. Vuol dire che l’ufficiale Sergej Evgeneevic è ormai di casa e che tra poco sarà solamente l’amico Sergej, compagno di merende. Del resto anche lui ha un passato di agente del Kgb. E questo per Putin vuol dire molto soprattutto nel momento in cui è necessario un netto controllo sull’apparato. Il personaggio, comunque, ha anche una biografia “civile” di tutto rispetto. E’ leningradese (come Putin...) e nel 1978 si è diplomato in un istituto di tecnica meccanica e poi ha frequentato l’accademia del management di San Pietroburgo. Parla correntemente francese ed inglese. E’ stato consigliere economico presso l’ambasciata dell’Urss in Belgio (nel 1980) ed è poi entrato nel mondo del commercio nel 1992, operando in un settore chiave del comune di Leningrado sfruttando conoscenze ed agganci con il mondo finanziario internazionale. Pieno di ambizioni, ma attento a non esagerare. Discepolo brillante, ma manovratore silenzioso. Ha diretto il settore degli investimenti stranieri nella città di San Pietroburgo e nel febbraio del 2004 è entrato nell’apparato presidenziale della Russia seguendo le questioni commerciali ed economiche che sono state e sono il vero centro di potere. E’ stato uno dei direttori della grande holding “Rosneft” (un colosso nel campo del petrolio) ed è membro del consiglio di amministrazione del “Primo canale” della tv. Ma quello che più lo lega a Putin è il fatto di essere stato suo compagno di banco nelle scuole dello spionaggio e di avere - come il Presidente - un debole per il mondo degli affari nel settore del petrolio.

Tra i compiti più ardui affidati all’amico Sergej c’è quello di stilare un piano di previsioni socio-economiche per il periodo 2010- 2012. Epoche ancora lontane, ma nelle quali Putin, probabilmente, vede già un suo ruolo nel campo dell’economia russa una volta uscito dal Cremlino. Ma nello stesso tempo l’incarico di analista del futuro affidato a Naryshkin potrebbe significare che si sta approntando per lui una solida poltrona di capo del governo. E se questa previsione si avvererà vorrà dire che Putin, usando con abilità il gioco delle tre carte, è riuscito a mettere nell’angolo gli ambiziosi Ivanov e Medvedev che si sentono già “padroni” del Paese senza aver scrupoli di sorta e, soprattutto, senza tener conto di quella tragica separazione che esiste ancor oggi in Russia tra governanti e governati.

Non è un caso se al cronista che in questi mesi, a Mosca, si trova a girare nelle redazioni e negli istituti di studi sociali e geopolitica, vengono spesso ricordate questioni locali, storiche e tradizionali, della gestione della macchina statale. In primo luogo viene evidenziato che il sistema della promozione dei quadri è immutato sin dai tempi di Stalin. Le nomine avvengono esclusivamente dall’alto seguendo le logiche delle cordate e delle “famiglie” di appartenenza. E questo oggi vuol dire essere stati nel Kgb e, ancor meglio, provenire da Leningrado...

Il momento elettivo, quindi, anche in questa Russia ormai decisamente postsovietica, è solo un fatto di facciata. Basta guardare al passato più vicino. Con Eltsin che arriva a Mosca portato da Gorbaciov e con Putin, poi, scoperto da Eltsin ed iscritto alla direzione del Cremlino. Tutto il processo che è seguito è stato solo un gioco di apparato con una sapiente gestione dei media. Si dirà che è questa una visione riduttiva. Ma è anche vero che il reale centro di potere è quello che si riferisce a silenziose manovre di un grigio apparato che si autopromuove come garante della continuità.

E se si cercano prove in merito basta riferirsi al fatto che in questi anni post-sovietici non sono sorti partiti di massa con le loro strutture, i loro quadri, i loro programmi. Non è un caso se solo il Partito Comunista di Zjuganov riesce - pur nel complesso mondo delle contraddizioni tipiche di questa epoca di transizione - a presentarsi con un volto organizzativo, con una sua struttura e con le sue cellule di base. Il resto sono attività politiche spesso indecifrabili. Oppure - come è il caso del partito organizzato da Putin - parate di boy-scout chiamati al volantinaggio. Divisa e merenda come ricompensa.

Questi, quindi, i temi che ci vengono illustrati nel corso di discussioni franche e spregiudicate. Ed è in tale contesto che appaiono sempre più strane le figure di Ivanov (classe 1953) e di Medvedev (classe 1965) che solo il presidente ha portato al vertice. Nessuno si è impegnato sul nome dei due. A sponsorizzarli, comunque, sono le grandi holding e le lobby. E questo la dice lunga sulla credibilità della società attuale.

Intanto i due si combattono a distanza scegliendo come arena di lotta i canali dell’ufficialità istituzionale e delle reti televisive. Se Ivanov parla ai capitani d‘industria, Medvedev si impegna con i docenti universitari; se Ivanov parla agli agricoltori Medvedev va a colloquio con i medici. Se Ivanov inaugura un asilo nido, Medvedev va a visitare i senza tetto. Ed ecco che approfittando delle ferie del capo del governo, Fradkov, Ivanov si fa riprendere da tutti i canali tv mentre dirige una seduta del consiglio dei ministri. Un’ora di primo piano per far dire agli analisti locali che è questo “l'inizio delle prove in vista di salire sul palcoscenico del Cremlino dal momento che gli ultimi sondaggi lo danno in testa tra i possibili candidati alla presidenza della Russia, con oltre il 30% delle preferenze”.

La dialettica interna, comunque, resta difficile da decifrare. Proprio perchè - come ci dicono alcuni analisti moscoviti - c’è in Russia una assenza di politica concreta. Non si conoscono programmi reali e programmi alternativi. Tutta la gestione del potere avviene nel chiuso delle holding. Con i vari e veri partiti che si chiamano Gasprom (industria del gas), Sibneft (industria del petrolio siberiano), Raoes (industria elettrica), Nornikel (industria del nichel), Russkij aljuminium (industria dell’alluminio), Alfa grup (sistema bancario), Lukojl e Rosneft (petrolio).

Gli uomini che guidano questi complessi di portata planetaria sono i veri segretari dei “partiti” che dominano la Russia e che lasciano, per ora, che Putin si diverta a giocare con le tre carte.

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