di Eugenio Roscini Vitali

Nella Repubblica Islamica dell’Iran, da molti considerata un rigido e inscindibile monolite conservatore, l’elezione dell’ex-presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani a capo dell’Assemblea degli esperti è senza dubbio un significativo segnale di cambiamento; un duro colpo per i falchi del regime che riapre vecchie questioni e che spacca in due la gestione del potere. Il successo di Rafsanjani frena in qualche modo quel ciclo di cambiamenti che si stava sviluppando intorno a un nuovo gruppo di potere, quello dei conservatori radicali che si rifanno ai concetti chiave della mobilitazione rivoluzionaria che si fonda sull’abbinamento mostazafin/ mostakbarin (oppressi /oppressori) e che per lungo tempo è stato confuso dall’occidente con la coppia antinomia proletari/capitalisti tipica del marxismo. Rimasto a lungo lontano dai vertici che contano, perché espressione di una corrente contraria al sistema, questa rinata formazione di pensiero si è manifestata nei suoi due maggiori rappresentanti: Mahmood Ahmadinejad, portavoce della scuola laica, e l’ayatollah Messbah Yazdi, membro della componente religiosa. Nonostante le vittorie ottenute, favorite soprattutto dal sostegno della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, questo gruppo non è riuscito a stringere quelle alleanze che sono essenziali per sostenete una leadership duratura e si è ritrovato solo e distante dal resto della politica interna iraniana. Dal 1980, questa è la seconda volta che gli esperti vengono chiamati a scegliere il capo del principale organismo politico iraniano, precedentemente diretto dal suo fondatore, l’ayatollah Khomeini e, dal 1989, dall’ayatollah Ali Meshkini, morto nel luglio scorso. Mentre il capo dell’Assemblea rimane in carica a vita, l’organismo viene rieletto ogni otto anni, eccezion fatta per il consiglio suffragato lo scorso 15 dicembre 2006, che rimarrà in carica per i prossimi 10 anni; questo per fare coincidere il suo rinnovo con le elezioni parlamentari del 2016. Formata da 86 religiosi ed esperti giuristi, l’Assemblea degli esperti, conosciuta anche con il nome di Khobregan, ha il compito di scegliere la Guida Suprema, massima autorità della Repubblica iraniana, di seguirne l'operato e, in caso di decesso o incapacità, di nominare il successore.

Gli iraniani hanno compreso l’effettiva importanza di questo istituto solo dopo la morte di Khomeini che, egemonizzando tutte le cariche più importanti dello Stato, aveva di fatto ingessato il sistema politico del Paese. Dalla nomina dell’ayatollah Khamenei a Guida Suprema, l’Assemblea degli esperti si è interessata raramente dei problemi politici dell’Iran; riunitasi per due volte all’anno, ha praticamente avvallato le posizioni conservatrici espresse da Khamenei senza porre alcun veto anche quelle questioni più spinose. Il merito di questo “assenteismo” va sicuramente all’ayatollah Meshkini, contemporaneamente a capo del Khobregan e dell’Associazione di teologia ecclesiastica, che per 28 anni ha resistito ad ogni tentativo di cambiamento, considerando la politica come un affare riservato all’elite del clero sciita in quanto unico soggetto in grado di decidere sulle questioni politiche, sociali e religiose del Paese.

Assunte ufficialmente le vesti di capo della Khobregan, Rafsanjani potrà esercitare quel ruolo di controllo tanto auspicato e previsto dalla stessa Costituzione. Secondo gli articoli 107 e 111, mai applicati in precedenza, l’Assemblea degli esperti ha infatti il compito di esaminare e deliberare su quanto deciso dalla Guida Suprema e, in caso di incapacità, può deciderne l’allontanamento e la successione. Il Khobregan è l’unico istituto ad avere questo potere e Rafsanjani, da quanto dichiarato poche ore prima delle votazioni, non ha certo intenzione di non servirsene. Nel quadro generale vanno inoltre considerate le condizioni di salute di Khamenei, da tempo malato di cancro e, secondo alcuni, in procinto di lasciare la scena politica. Questo aprirebbe le porte per la designazione del suo erede che al momento attuale vede favorito lo stesso Rafsanjani.

Pur non avendo mai raggiunto il titolo di ayatollah, il settantatreenne ex-presidente è da più di 30 anni una figura chiave per il Paese: deciso avversario dell’isolazionismo e sostenitore del dialogo internazionale e della liberalizzazione economica; contrario alle pene corporali; favorevole ad un approccio più morbido con l’Occidente, soprattutto sul problema del nucleare, é difensore delle scelte del regime senza peraltro cedere alle provocazioni. Non troppo appassionato di studi commentari coranici, per più di dieci anni ha frequentato comunque i corsi religiosi di Qom, città santa degli sciiti. In realtà Rafsanjani si è sempre dedicato alla carriera di militante politico, per la quale è stato arrestato a quattro volte, e agli affari, grazie ai quali diventato uno degli uomini più ricchi del Paese.

Dopo la caduta dello shah, i rapporti di amicizia che lo legano all’ayatollah Khomeini, del quale era stato allievo e collaboratore ai tempi di Qom, gli permettono di essere eletto Presidente del Majlis (parlamento), carica che conserverà fino al 1989. Nel marzo 1988, Khomeini lo nomina comandante in capo delle Forze Armate e il 17 agosto 1989 viene eletto Presidente della Repubblica dell'Iran, carica che mantiene per due mandati. Nelle elezioni del 2000, le prime dopo la fine del suo mandato presidenziale, Rafsanjani ottiene uno dei 30 seggi di Teheran grazie all’aiuto del Consiglio dei Guardiani, che dichiara nulli numerosi voti e riesce a farlo eleggere. Dimessosi prima di giurare come deputato, viene nominato Presidente del Consiglio d'Esame Rapido, l’istituto incaricato di risolvere i conflitti legislativi fra Parlamento e Consiglio dei Guardiani, e viene scelto dalla Guida Suprema come consigliere in materia di politica nazionale.

Nel 2005 Rafsanjani tenta nuovamente l’avventura presidenziale ma questa volta trova la resistenza del risorto movimento conservatore. Attaccato con ogni mezzo, diventa l’obbiettivo di una campagna diffamatoria senza precedenti, con accuse che vanno dalla truffa al nepotismo, passando per l’incompetenza e la corruzione. Grazie al sostegno del capo del Consiglio dei guardiani, Ahmadinejad ottiene i voti dei militari e delle milizie; l’ayatollah Jannati, capo del Consiglio dei guardiani, mobilita i Pasdaran e i Basij per vigilare la campagna elettorale e mette a disposizione 330 mila volontari per mantenere il controllo dei seggi. Un’operazione che ha portato alla denuncia di numerose irregolarità e ha probabilmente sfalsato il risultato del primo turno.

Il primo appuntamenti che metterà di fronte i moderati di Rafsanjani alla scuola di pensiero khomeinista dei conservatori è sicuramente la prossima elezione parlamentare del marzo 2008. Così come nelle presidenziali del 2005, anche questa volta Jannati si starebbe preparando a ostacolare le candidature della corrente moderata e riformista; una strategia che l’ex-presidente sarebbe comunque pronto a sabotare e per la quale avrebbe già preparato una serie di contromisure. Se l'ayatollah Khamenei dovesse lasciare prematuramente la posizione di Guida Suprema, si potrebbe invece assistere alla caduta di parecchie testa, prime tra tutte quella l’ayatollah Jannati e quella della guida spirituale dello stesso presidente Ahmadinejad, l’ultra conservatore ayatollah Yazdi. Quello di cui si può essere certi è che in Iran si sta per assistere ad uno scontro che può mettere a dura prova il sistema politico iraniano; un gioco di potere tra radicali, tradizionalisti e moderati la cui posta è il governo del Paese; dove l’investitura popolare si contrappone agli organi non eletti; dove il sintomo di una sorda lotta per il riconoscimento della legittimi rappresentatività della rivoluzione islamica sciita non può che giovare ai non sciiti.

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