di Carlo Benedetti

La notizia è nota, ma è bene ripeterla per ampliarne i contorni, poiché la situazione russa - come sempre - è complessa e difficile da illustrare. Un tempo, in casi del genere, il rischio era quello di apparire o filo o antisovietici, russi o antirussi. Oggi il problema è più semplice poiché sono cadute le barriere ideologiche. Tutto a Mosca rientra nell’ambito di una corsa per il potere, in un ambiente collettivo dominato dalla dittatura delle banche e delle borse. Con la scelta di campo che non è solo un fatto economico. Ci sono due appuntamenti istituzionali: quello del 2 dicembre 2007 - elezioni per il rinnovo del Parlamento-Duma - e quello del 9 marzo 2008 - elezione del nuovo presidente del paese. Volendo seguire un ordine cronologico, c’è un presidente che si chiama Vladimir Putin. Classe 1952. Una infanzia a Leningrado, studi di diritto e di tedesco. Poi una passione per i servizi segreti. Nel 1975 entra nel Kgb e frequenta i corsi per divenire agente del controspionaggio. Ha tutti i requisiti richiesti. Capacità di apprendere al volo e di mantenere il silenzio anche quando gli chiedono il nome. E’ mandato a lavorare - in collaborazione con la Stasi di Misha Wolf- a Dresda, nella Rdt. Arriva al crollo dell’Urss e del Muro di Berlino e lui rientra in patria e lavora a Leningrado, nell’amministrazione comunale di Sobciak e fa una rapida carriera. E’ ammesso alla corte di Eltsin; diviene capo del nuovo Kgb e poi del Consiglio di sicurezza della Presidenza. Nell’agosto del 1999 uno Eltsin ormai suonato lo promuove al ruolo di delfino. E nel marzo 2000 Putin diviene presidente della Russia. Da allora è lui il capo assoluto. E qui si evidenziano i primi sintomi della sua reale mentalità totalitaria. Organizza il suo entourage sulla base delle vecchie amicizie nei corridoi del Kgb. Chiama a raccolta gli amici di Leningrado. Nessuna idea forte, ma solo poteri “forti”. Accenna a flirt con le forze nazionaliste. Cerca di non inimicarsi i comunisti di Zjuganov e di onorare i veterani della seconda guerra mondiale che, invece, Eltsin aveva cancellato dalla scena. Finge di voler ridare cittadinanza alle vecchie tradizioni sovietiche. Tentenna sulla questione del mausoleo di Lenin, ma non muove un dito sul fatto che nella sua Leningrado (oggi San Pietroburgo) si prevede la messa in archivio dell’incrociatore Aurora che dovrebbe divenire un albergo a quattro stelle… Ma il capolavoro di Putin consiste nel fatto che crea attorno al suo Cremlino un vero e proprio partito. Quello del potere, con una sua nomenklatura, con i suoi oligarchi… Si è di nuovo al vero partito unico che deve tenere insieme l’intero organismo stato-governo.

Per farsi una propaganda interna come dirigente - autorevole, forte e deciso a riportare la Russia nell’Olimpo delle potenze - sceglie la strada della polemica diretta nei confronti degli Usa. Lo aiuta, ironia della storia, G. W. Bush, che cerca di mettere le sue basi attorno alla Russia. Putin alza subito il tiro. Fa capire che la tensione è alta e che non bisogna svegliare gli orsi che dormono… Poi comincia a far circolare la notizia che non si ripresenterà alle prossime presidenziali. Si parla di rispetto delle leggi costituzionali. Ma ancora una volta Putin lascia correre le voci più diverse.

Intanto nasce nel Cremlino la “scuola Putin”, quella del dire e non dire, del sostenere una tesi per poi subito smentirla. In questo trova l’aiuto di una testa d’uovo come Surkov, un arrogante uscito dal cilindro del potere. Poi gioca alla roulette russa. Fa circolare la notizia che ci sarebbero in lizza due candidati per la futura presidenza - Ivanov e Medvedev - e manda a casa il premier Fradkov. Nomina quindi al suo posto un fedele come Zubkov. Personaggio sconosciuto, ma forte di una biografia segnata dal lavoro negli organi della sicurezza della polizia tributaria. E qui - vero gioco delle tre carte - Putin lancia l’idea che l’ultimo nominato potrebbe entrare a pieni voti nel vertice del Cremlino. Lui si potrebbe ritirare e finire in qualche holding o in qualche ente internazionale. Poi il colpo di scena. Spiazza tutti. E con fare gesuitico annuncia in tv guardando in faccia i russi: “Accetto con gratitudine il vostro invito a guidare la lista di Russia unita”. Uscirà così dalla presidenza per assumere la guida del Consiglio dei ministri.

Le tappe sono già segnate con la data del 2 dicembre quando si terranno le elezioni politiche. Sarà il capolista del suo partito. Ed avrà a fianco le sue televisioni, i suoi giornali, i suoi deputati… Tutto e tutti impegnati per il prossimo trionfo. Mobilitate le ambasciate russe che hanno il compito di preparare le cancellerie occidentali. Arruolati gli oligarchi e gli uomini d’affari, i giornalisti e gli uomini di cinema. Alla Itar-Tass, l’agenzia di stato, spetterà di martellare sul “fenomeno Putin”.

Il personaggio sarà eletto senza problemi Capo del governo. Si annuncia un plebiscito e questo la dice lunga sulla realtà della società civile della Russia. Putin diverrà l’assoluto padrone del Paese dopo aver messo nella poltrona di Presidente un suo uomo, affidando i ruoli secondari ad altri fedeli. Nessuna ombra di opposizione, nessuna figura alternativa. Abile manovratore e scacchista d’eccezione non vuole far la fine di quei personaggi locali condannati dalla storia come l’ingenuo Gorbaciov o l’alcolizzato Eltsin, tutti osannati all’Ovest, ma invisi all’interno del Paese.

Ecco perché non è difficile parlare oggi di regime. Lo vuole Putin, lo vogliono i suoi laudatores che si accingono all’assalto alla diligenza del post-eltsinismo. Si orchestra così una propaganda patriottica. Ma vediamo i punti generali del piano di questo kaghebista (uomo del Kgb) con il quale i russi e il mondo dovranno, pur sempre, fare i conti.

POLITICA INTERNA. Putin si fa forte di sondaggi pilotati che lo accreditano, quanto a popolarità, al 70%. Sa di non avere concorrenti diretti e credibili e sa anche che in Russia valgono ancora le tradizioni sovietiche. Quelle che si riferiscono alla formazione dei gruppi dirigenti che avviene per coptazione e per partenogenesi. Il momento elettivo è solo una cerimonia proprio perché i partiti sono solo strumenti che esistono sulla carta. Non ci sono leader “carismatici”, non esistono organi di partito capaci di mobilitare l’opinione pubblica. Si distinguono solo i comunisti di Zjuganov che mantengono viva l’eredità (anche organizzativa) del vecchio Pcus. Ma quanto a capacità teorica segnano il passo guardando al solo passato senza essere in grado di superare i giganteschi ostacoli innalzati dal capitalismo selvaggio. Intanto, nella sua gestione operativa si avvale dei cosiddetti siloviki, il folto gruppo di ex agenti segreti, con l’aiuto dei quali è riuscito a radicare il potere. Tutti ex colleghi e sanpietroburghesi come lui con l’aiuto dei quali è riuscito ad allontanare dalle stanze che contano la schiera di potenti e di oligarchi vicini al suo predecessore Eltsin. Che è stato - ricordiamolo - la figura caratteristica di una Russia corrotta e venduta agli americani della Cia e del Pentagono.

Putin intanto guida la “sua” transizione avvalendosi di ministri, vice premier, direttori di agenzie statali (come l’Fsb), banchieri e capitani d’industria. E in questa grande sala d’aspetto del potere si trovano Sergej Ivanov, vice primo ministro ed ex agente del Kgb; Sergej Naryshkin, anch’egli cresciuto nel Kgb e nello stesso gruppo di Putin; Vladimir Jakunin, ora potente presidente delle Ferrovie russe. Negli altri uffici dell’amministrazione presidenziale Putin conta su quattro personaggi: Igor Secin, un 47enne che viene da San Pietroburgo e che dirige la holding della Rosneft; Sergej Sobyanin, 49enne direttore responsabile della stessa amministrazione; Viktor Ivanov, 57enne consigliere e capo dell’Aeroflot. E infine spicca Vladislav Surkov, il 42enne “ideologo” del Cremlino, teorico della “democrazia sovrana”.

Sarà con questi uomini (oltre alla quadriglia istituzionale composta dal premier Zubkov e dai tre vice: Medvedev, Zkukov e Ivanov) che Putin andrà avanti secondo il suo piano di marcia. Nessuna critica sarà accettata. Come ha affermato un analista politico vicino a Putin, Gleb Pavlovsky, diretto¬re del centro studi Effective Politics Foundation “ci si potrà scordare il clichè che in Russia il presidente è lo zar”. E sempre il fido Pavlovsky ha poi aggiunto che “la decisione di Putin è un passo rivoluzionario”.

E subito il mercato ha reagito positivamente all’annuncio del presidente che si colloca già, di fatto, alla presidenza del governo pur se la poltrona è già occupata dal suo uomo Zubkov. Contenti oltremisura anche i manager dei fondi d’investimento: “Pu¬tin sarà comunque il capo dello Stato, anche come primo ministro”, ha spiegato uno dei responsabili del Firebird Management, compagnia che ha già investito in Russia per miliardi di dollari.

Quanto alla prossima consultazione elettorale è qui che si manifesta sempre più l’atteggiamento dittatoriale dell’attuale presidenza. Gli strumenti per la partecipazione dei partiti sono definiti come degni di un regime totalitario e liberticida. Perché la nuova legge elettorale proporzionale, entrata in vigore il 1 gennaio 2007, è la sintesi della strategia putiniana ma allo stesso tempo rappresenta il simbolo della limitazione della libertà politica.

Si tratta di una manovra che nelle intenzioni del Presidente dovrebbe rendere maggiormente uniforme e meno frastagliato il panorama partitico. Tenendo conto che questi oggi sono almeno 35. C’è in proposito una misura che consiste nell’innalzamento al 7% della soglia di sbarramento per i partiti, cosa che escluderebbe due partiti di primaria importanza come Yabloko (“Mela”) e SPS (l’Unione delle Forze di Destra), e metterebbe in pericolo la sopravvivenza dei liberaldemocratici di Zhirinovskj e di “Rodina”. La legge attuale, inoltre, pone ostacoli anche nei confronti della rappresentatività a livello panrusso.

Perché i partiti che non sono già presenti nella Duma sono soggetti ad una serie di limiti molto stretti nella presentazione delle liste (come quello di essere presenti in almeno 45 regioni con i soggetti della Federazione che sono 88). Attualmente, i partiti presenti all’interno della Duma sono quattro: il partito presidenziale Russia Unita (Edinaja Rossija, ER), il partito comunista di Ghennadij Zjuganov, il Partito Liberaldemoratico di Zhirinovskj e “Rodina”, il partito filo-putiniano utilizzato per portare via voti ai comunisti.

Lo sbarramento del 5% fu sufficiente nel 2003 per tener fuori dalla Duma SPS e Yabloko. C’è poi il problema dei finanziamenti che vengono ai partiti non solo dai fondi statali, ma soprattutto da fondi neri dell’oligarchia dominante. E, cosa da non nascondere, è la scandalosa situazione del partito comunista di Zjuganov che tanto insiste sulla moralità e sulla azione contro le tangentopoli, ma che è uno degli schieramenti che più riceve soldi dalle grandi industrie.

Sul piano delle scelte interne - tutte di natura populista e nazionalista - va poi rilevato che Putin, con mossa recente, ha fatto riscrivere i testi scolastici. E così vengono avanti giudizi discutibili e, comunque, senza nessuna mediazione intellettuale. Ne esce bene solo lui: ha risolto - si dice - il problema dei debiti e le questioni sociali più gravi.

POLITICA ESTERA. Con gli Usa il punto di maggior conflitto è quello che si riferisce all’intenzione di Washington di sistemare postazioni radar e missili intercettori in aree dell’Est per “difendersi” dall’Iran. Mosca, invece, sostiene che queste armi sarebbero, in realtà, puntate contro la Russia. Profondo dissenso anche sulla questione kosovara. Con gli Usa che sono per l’indipendenza assoluta di quella regione. Il Cremlino, nella ridefinizione strategica della gestione di politica estera, vede poi come arena di grandi interventi la realtà eurasiatica. Cina ed India, in primo luogo, sono i partner sui quali Putin concentra la sua attenzione. E non è un caso se proprio in questi giorni c’è, nei media russi, una rinnovata presenza della tematica cinese proprio in vista del prossimo congresso comunista di Pechino. Contemporaneamente, fonti autorevoli del mondo economico più vicino al Cremlino tornano a parlare di quella idea di un Mercato Comune tra Russia e repubbliche centroasiatiche, con una proiezione verso l’area del Golfo. Dovrebbe essere un Mercato capace di adottare il rublo come moneta di scambio.

Putin, intanto - sempre riferendosi alle linee di gestione estera - è obbligato a ricordarsi che il crollo dell’Urss era avvenuto non solo in seguito alle contraddizioni interne ma anche per quelle condizioni di assoluta subalternità economica e politica nei confronti di Washington. L’America - da Clinton a Bush - si è infatti impegnata sul fronte russo favorendo in ogni modo e con ogni mezzo un processo di ulteriore disgregazione. E’ così avvenuto che in tutti i territori dell’ex Urss (e, quindi, Russia in primo luogo) gli Usa hanno finanziato, sponsorizzato e favorito la nascita di fondazioni “private” (strettamente di conio americano) concentrate sulla demolizione delle pur deboli strutture del paese ex-sovietico. Più che mai attivo in questo lavorìo è stato l’ “International Republican Institute” di John McCaine, che si è servito di uomini della Cia. Altro centro di attacco alla Russia si è formato poi attorno al “Central Asia Project”, che è il braccio operativo del gruppo finanziario del magnate Soros che sviluppa il suo “grande gioco” in ogni angolo dell’ex Unione.

ECONOMIA NAZIONALE. Gli oligarchi sono il grande problema di Putin. Con alcuni di loro ha avuto buon gioco utilizzando le strutture dell’amministrazione giudiziaria e della sicurezza. Con altri inizia ora un nuovo attacco grazie ai dossier che il capo della Tributaria - l’attuale premier Zubkov - si è portato in ufficio per aprire inchieste e galere. Restano gli irriducibili che hanno acquisito un grande potere grazie alla situazione di capitalismo selvaggio. Ma Putin dalla sala macchine decide un giro di vite. Prende sotto controllo i maggiori settori energetici nominando nei posti chiave i suoi uomini. Quanto alle reazioni in patria c’è quella di uno storico dissidente dei tempi dell’Urss. Un uomo che ha interpretato la coscienza critica dei russi, ma che, in queste ore, è stato folgorato sulla via del Cremlino. Si tratta di Roy Medvedev che ora ama e difende Putin. Dice che è un monarca illuminato e che la gente si fida di lui.

Un giudizio sicuramente autorevole ma, forse, un pò avventato. Ci eravamo abituati ad un Medvedev che si sbilanciava poco sul presente e sul futuro. Evidentemente i tempi cambiano con il vento che soffia dalla parte di Putin. E così vanno in libreria due opere apologetiche su Putin. L’autore, appunto, è Medvedev e i titoli sono gli stessi: “Vladimir Putin”. Di diverso ci sono solo le case editrici. Le quali, manco a dirlo, sono nell’orbita del Cremlino.

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