di Daniele John Angrisani

Che fine han fatto i prigionieri 'fantasma' della CIA? E' questa la domanda che si pongono in molti a Washington, non ultimo il principale quotidiano della capitale, il Washington Post, che proprio ieri ha pubblicato una inchiesta sul destino dei prigionieri dimenticati della guerra al terrorismo. Stiamo parlando di quei detenuti di alto grado che, sin dall'inizio della guerra, erano stati nascosti all'opinione pubblica e detenuti in alto segreto nelle carceri della CIA. Lì la gran parte di loro era stata sottoposta ad un regime di detenzione che, secondo tutte le norme internazionali, verrebbe definito di tortura e che solo i consulenti legali della Casa Bianca si ostinano ancora oggi a chiamare in modo diverso. Sta di fatto che poco più di un anno fa, il 6 settembre 2006, per rispondere alle proteste internazionali, il presidente Bush aveva deciso di chiudere definitivamente queste carceri segrete (o almeno affermare di averlo fatto) e trasferire 14 tra i più importanti detenuti di Al Qaeda nel carcere di Guantanamo. Tra questi il presunto organizzatore degli attentati dell'11 settembre 2001, Khalid Sheikh Mohammed, ed il suo vice, Ramzi Binalshib. Eppure, come fa notare il Washington Post, da allora all'appello mancano ancora circa 30 detenuti. Cosa è successo loro? La gran parte di questi erano arabi arrestati in Pakistan o in Afghanistan nelle settimane e mesi successivi agli attentati terroristici dell'11 settembre. Come è già successo per i prigionieri incappati nelle cosiddette "extraordinary renditions", è molto probabile che anche parecchi tra questi di cui stiamo parlando, siano stati in realtà riconsegnati, prima o poi, alle autorità dei Paesi di provenienza. Cosa sia successo poi, in molti casi è impossibile da stabilire con certezza, ma purtroppo facilmente immaginabile. La crudeltà delle condizioni carcerarie nei Paesi arabi è infatti conosciuta in tutto il mondo e i racconti dell'orrore su cosa accade nelle strutture di detenzione di quei Paesi riescono a volte a penetrare il muro di silenzio ed arrivare alle orecchie di agenzie internazionali come Amnesty International o Human Rights Watch, che si occupano della protezione dei diritti umani nel mondo.
E' così, incidentalmente, che si è venuto a sapere qualcosa del destino di alcuni di questi prigionieri fantasma. Joanne Mariner, direttore del dipartimento di ricerca sul terrorismo e l'antiterrorismo per Human Rights Watch, afferma che, stando a ciò che risulta a loro, spesso la CIA ha trasferito prigionieri da un Paese all'altro e si è affidata alle "cure" dei servizi segreti stranieri per ottenere informazioni. Parlando poi in particolare dei prigionieri fantasma ha affermato di ritenere che "la grande maggioranza di loro sia tornata nei Paesi di origine", ma allo stesso tempo che questo "non significa nulla, in quanto molti di loro potrebbero ancora essere in detenzione".

Nulla si sa ad esempio di Hassan Ghul, un cittadino pakistano catturato nel nord dell'Iraq ad inizio 2004. Gli americani, al momento della cattura, lo avevano descritto come uno degli anelli di congiunzione tra i comandi di Al Qaeda in Pakistan e gli operativi sul terreno in Iraq. Nessuna notizia su di lui da allora. Un altro prigioniero fantasma è Ali Abd al-Rahman al-Faqasi al-Ghamdi, un saudita arrestato nel giugno 2003 con l'accusa di aver pianificato attacchi terroristici nella penisola araba. Sebbene il rapporto ufficiale della commissione indipendente sull'11 settembre affermi che Ghamdi si trovava in mani americane, gli stessi sauditi hanno più volte smentito la notizia, affermando che Ghamdi non avrebbe mai abbandonato il Paese. Ancora oggi, dunque, sarebbe rinchiuso nelle prigioni del reame saudita, ma nulla di certo si conosce. Nella stessa situazione di incertezza sul loro destino, si trovano anche decine di altri prigionieri della “guerra al terrorismo”, che si ritiene, per un motivo o un altro, siano passati nelle mani della CIA. Questo almeno è ciò che afferma il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che non è però riuscito ad ottenere alcuna notizia su di loro nonostante ripetute richieste mosse al governo americano in tal senso.

Qualcosa in più si sa invece, purtroppo, di un gruppo di prigionieri definiti dalla CIA come "i libici" a causa della loro nazionalità. Tra essi, Ibn al-Sheikh al-Libi, il quale non solo sarebbe stato torturato più volte in Egitto, Paese in cui gli americani lo avevano trasportato nell'ambito delle "extraordinary renditions", ma una volta divenuto "inutile alla causa" sarebbe stato anche riconsegnato alle autorità libiche che lo ricercavano da anni per terrorismo. Lo stesso destino hanno avuto altri due libici, Abdallah al-Sadeq e Abu Munder al-Saadi: poco dopo la loro cattura gli americani si erano resi conto del fatto che non avevano alcun legame con Al Qaeda ed aveva perciò deciso di consegnarli allo Stato di Gheddafi. Cosa sia accaduto loro una volta tornati in Patria è facile da dedurre: tutti e tre erano membri dell'organizzazione Gruppo Islamico di Combattimento in Libia, un gruppo che da decenni complotta per far cadere il regime di Gheddafi e che fino a pochi anni fa aveva ricevuto anche aiuti, finanziari e militari, da alcuni Paesi dell'Occidente. Il triste destino a cui costoro sono andati incontro sembra però non essere l'eccezione, ma la regola di questa sporca guerra. Chissà se un giorno, anche per questi detenuti fantasma, qualcuno dovrà risponderne dinanzi alla giustizia.

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