di mazzetta

Uno degli slogan portanti della War on Terror americana diceva che l’azione militare statunitense era volta a “portare la democrazia” in Medio Oriente. Pur concedendo che si trattasse di uno slogan vuoto ed ipocrita, più che altro mera propaganda, colpisce quanto poco gli USA abbiano ottenuto in questo senso dagli alleati nell’area. In Egitto, nominalmente una democrazia, Mubarak ha varato riforme costituzionali antidemocratiche volte ad assicurare la successione al ruolo di primo ministro di suo figlio Gamal. Riforme annunciate al lunedì è confermate con un referendum costituzionale la settimana successiva; un referendum nel quale hanno votato soltanto i fedelissimi del partito di Mubarak, visto che le altre forze politiche si erano rifiutate di prendere parte ad una farsa del genere. Nessuna cancelleria occidentale, e ancora meno il Dipartimento di Stato americano, hanno avuto nulla da eccepire. Anche in Italia poco interesse, i “democratici” dormivano. I governi regolarmente eletti di Libano e Palestina (gli unici due paesi musulmani con elezioni veramente free & fair dell’area) hanno fatto una brutta fine; all’avanzare di Hezbollah in Libano ha risposto un’invasione israeliana, all’affermazione di Hamas in Palestina ha risposto un golpe di Fatah, realizzato grazie alle armi fornite da Egitto e Giordania e all’aiuto logistico di Israele. In Kuwait è ancora medioevo: c’è un re onnipotente e istituzioni puramente decorative. In Arabia Saudita lo scenario è identico, comanda la famiglia reale con il supporto di migliaia di marines. A dire il vero in Arabia Saudita è stata realizzata una riforma di facciata, che ha permesso ai media allineati di gridare al re amico della democrazia. Peccato che la questione si riducesse ad istituire le elezioni per gli organi amministrativi locali e che le elezioni riguardassero solamente la metà dei membri delle assemblee locali (il resto è rimasto di nomina reale); e peccato anche che queste siano del tutto decorative, visto che hanno solo la funzione di consulenza della vera autorità, il capo dell’assemblea nominato dal trono.

Trono che, nel caso dell’Arabia Saudita, rappresenta anche il custode dei luoghi santi, conferendo ai sovrani sauditi un’aura quasi sacrale. Quasi, perché nelle opinioni dei musulmani di ogni latitudine la monarchia saudita non è altro che un residuo del feudalesimo tribale e per niente pia. Non occorre spendere parole per dimostrare quanto la monarchia saudita sia vicina all’amministrazione americana, ma non è per questo che è invisa alle opinioni pubbliche musulmane.

Il sovrano Abdullah, il cui nome significa “schiavo di Allah”, è figura decisamente in antitesi agli insegnamenti del Profeta Maometto. Lungi dal servire, pretende di essere servito; lungi dall’esercitare modestia, sfoggia la sua ricchezza in maniera imbarazzante e, lungi dal curare i luoghi santi, li sfrutta. Si deve alla politica dei sovrani sauditi se la Palestina è stata abbandonata al suo destino negli ultimi anni, così come si deve alla loro decisione di “boicottare” Israele se milioni di pellegrini non frequentano più il terzo luogo santo dell’Islam, la moschea di Masjid al-Aqsa a Gerusalemme. L’interesse reale del sovrano per la causa palestinese è prossimo allo zero. Nel suo ultimo viaggio a Londra, dove è sbarcato con un modesto seguito di quattrocento persone, più una ventina di consiglieri giunti su sei aerei e poi trasbordati su ottantaquattro limousine, si è detto sicuro che, visti i “valori comuni” condivisi da Arabia Saudita e Gran Bretagna, quest’ultima saprà trovare e mettere in essere una soluzione per le sofferenze dei palestinesi.

Sorvolando sui “valori comuni” che legherebbero la Gran Bretagna con l’Arabia Saudita, c’è del bizzarro in questa dichiarazione, visto che proprio alla Gran Bretagna si deve la creazione del “problema” palestinese e visto che negli ultimi decenni non si è vista traccia di un interesse inglese per le sorti della Palestina. Ma la gran Bretagna è anche all’origine della creazione dell’Arabia Saudita e degli emirati del Golfo, forse alla parola “valori” occorre sostituire la parola “interessi”, quelli sono sicuramente comuni, anzi, in comune tra le elite dei due paesi.

L’Arabia Saudita resta una monarchia feudale fondata sul controllo della rendita petrolifera; i suoi sudditi vivono un relativo benessere accuditi da milioni di lavoratori stranieri senza diritti, ma questo non disturba nessuno. Come non disturba nessuno che questa sia la cifra nel resto della penisola arabica e nel nord dell’Africa, tutta sottomessa a governi autoritari che si tengono ben lontani dalla democrazia. Gli Emirati Arabi Uniti, dove il mondo accorre al richiamo del business, sono sceiccati che non hanno nemmeno la parvenza della democrazia. Una “invasione democratica” sarebbe militarmente uno scherzo, ma non ci ha ancora pensato nessuno.

Nell’ultima settimana a Dubai sono scesi in sciopero i lavoratori stranieri impiegati nell’edilizia, perché le paghe diminuiscono e il costo della vita aumenta, mentre i lavoratori sono privi di qualsiasi diritto e spesso trattati come schiavi. Il governo locale ha reagito con arresti di massa, oltre quattromila lavoratori sono stati imprigionati. Dopo l’intervento del governo indiano (gran parte degli immigrati arrestati sono indiani), il governo li ha rilasciati quasi tutti. La loro colpa quella di essersi comportati in maniera “incivile”, mettendo a rischio la sicurezza nazionale e quella dei residenti. Il loro rilascio è avvenuto dopo che ciascuno ha dichiarato di non avere alcuna rivendicazione nei confronti dei datori di lavoro. Un esponente del ministro del lavoro ha annunciato che gli scioperanti saranno comunque deportati.

Una pratica ricorrente, un paio d’anni fa l’Arabia Saudita aveva espulso oltre un milione di lavoratori indiani dalla sera alla mattina. Manodopera sfruttata, pessime condizioni di lavoro, totale assenza di diritti civili e contrattuali. Sarà per questo che la Fiat di Montezemolo ha scelto gli Emirati come sede della nuova ed imponente Ferrariland? Anche in Iraq il fenomeno è tollerato dagli americani, che hanno affidato i lavori di costruzione dell’imponente ambasciata di Baghdad ad una ditta del Kuwait che impiega asiatici schiavizzati.

Cosa abbia poi di democratico il governo dell’Afghanistan, insediato ormai da anni, o quale indipendenza abbia il governo iracheno, pur eletto sotto controllo americano, restano misteri gloriosi. Il futuro non promette di meglio, l’osceno balletto per riuscire a mettere un vecchio arnese come Benazir Bhutto accanto a Musharraf non odora certo di democrazia, così come non ha nulla di democratico il governo somalo sponsorizzato da Washington e ancora meno democratico è il governo dell’Etiopia, cara alleata. E nemmeno a Washington la democrazia sembra essere messa troppo bene, almeno così dicono diversi americani al di sopra di ogni sospetto. Tutto si lega.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy