di Daniele Jon Angrisani

Nel Paese in cui anche la politica sembra ormai ridotta a reality show, non passa giorno che non esca un nuovo scandalo pronto ad essere dato in pasto all'opinione pubblica. Dopo la tragicomica farsa del documento dell'intelligence statunitense sul programma nucleare iraniano fermo dal 2003, ora l'attenzione dei media e del Congresso è tornata sul tema degli abusi subito dai prigionieri della Guerra al Terrorismo nelle mani dei servizi segreti USA. Al centro del dibattito vi è ora la decisione, che sarebbe stata presa già nel novembre 2005 da parte di qualcuno all'interno della CIA, di distruggere i filmati in cui erano ripresi gli interrogatori (e le torture) subite da Abu Zubaydah ed altri importanti detenuti di Al Qaeda. L'attuale direttore della CIA, Michael Hayden, sebbene abbia affermato di non conoscere chi ha ordinato la distruzione di questo materiale, ha anche, di fatto, difeso incondizionatamente questa decisione in quanto "le videocassette, se rese pubbliche, avrebbero posto un serio rischio di sicurezza", poichè "avrebbero permesso l'identificazione degli agenti della CIA che hanno partecipato al programma, esponendo loro ed i loro familiari a vendette da parte di Al Qaeda". Il presidente Bush, dal canto suo, non solo ha affermato di non ricordare che nessuno nella sua Amministrazione abbia mai autorizzato la distruzione di queste videocassette, ma ha anche ripetuto, incredibilmente e sfidando i fatti, che "gli Stati Uniti d'America non hanno mai usato la tortura nei confronti dei prigionieri". Ma, a parte i deliri presidenziali, la questione sembra essere piuttosto complessa per l'Amministrazione Bush. Anzitutto i democratici sono subito passati all'attacco chiedendo l'apertura di indagini per capire cosa sia successo ed accusando la CIA di aver cercato di nascondere le prove della propria partecipazione ad atti di tortura. Ma ancora più gravida di conseguenze è la prospettiva che se ne deduce da questa storia: considerato che, a suo tempo, la Commissione Investigativa sull'11 Settembre, dopo sua richiesta, aveva ricevuto dalla CIA la risposta che tutto il materiale in suo possesso era stato consegnato. Ll'esistenza di queste videocassette, di cui nessuno sapeva prima, lascerebbe intendere che la CIA abbia tenuto nascosto informazioni, e quindi ostacolato il lavoro della Commissione.

Vista la situazione, per correre ai ripari il Dipartimento della Giustizia ha subito annunciato l'apertura di una inchiesta per far luce su chi abbia effettivamente preso questa decisione. L'intento, almeno teoricamente, è quello di cercare di capire se vi sia stato un qualche tipo di pressione dalla Casa Bianca per ottenere l'eliminazione di questi filmati, potenzialmente distruttivi, nonostante da più parti - già nel 2003 – sia stato dichiarato di non "disporre" di queste videocassette. Difficilmente una tale indagine potrà portare a risultati di rilievo, ma la sua apertura era di fatto un atto dovuto dopo le polemiche e le accuse di questi giorni.

Ma se l'Amministrazione Bush ha il suo bel da fare per respingere le ennesime accuse nei suoi confronti, neanche i democratici hanno molto su cui sorridere. Due giorni fa il Washington Post ha pubblicato un articolo in prima pagina, in cui si afferma che più volte, nel corso del 2002-2003, ad alcuni esponenti politici di entrambi i partiti, sarebbero stati mostrati dettagliatamente sia i centri di detenzione segreta usati dalla CIA sia, soprattutto, i metodi di interrogatorio utilizzati, senza che vi fosse stata (sembra) alcuna obiezione al riguardo. Tra coloro che in quel periodo avrebbero avuto accesso a questi centri di detenzione della CIA, vi sarebbero l'attuale Speaker della Camera, Nancy Pelosi, il deputato democratico Jane Harman, i senatori democratici Bob Graham e John D. Rockefeller IV, oltre che il senatore repubblicano Pat Roberts e il deputato repubblicano Porter Goss, che di lì a poco sarebbe stato nominato da Bush come Direttore della CIA in sostituzione del dimissionario George Tenet. Nomi di assoluto rilievo, dunque.

Proprio Goss parte con le accuse affermando che "tra coloro i quali erano venuti a conoscenza (dei siti di detenzione della CIA e delle tecniche usate, ndr) c'era piena consapevolezza di ciò che la CIA stava facendo... e la reazione generale non era stata solo di approvazione, ma anche di incoraggiamento per la continuazione di questo lavoro". E' sottinteso che questo valesse anche per i democratici presenti a queste visite. Sebbene la capacità di ottenere dettagli sulle pratiche usate fosse comunque sottoposta a strette restrizioni a causa della assoluta segretezza del programma in questione, molti funzionari della CIA presenti alle riunioni affermano che i briefing sarebbero stati completi di dettagli, anche grafici, sui metodi di interrogatorio utilizzati. "In effetti l'ambiente era ben diverso da quello attuale, visto che eravamo ancora molto vicini alla tragedia dell'11 settembre e il panico si respirava ancora", afferma, sotto condizione di anonimato, uno degli funzionari presenti a questi briefing. "Ma ricordo bene che non vi erano obiezioni di alcun tipo, e che anzi l'attitudine generale era: 'Non ci interessa ciò che fate a queste persone, basta che ottenete tutte le informazioni necessarie per la nostra sicurezza'".

A parte le smentite e le minimizzazioni di rito che sono già piovute, il dato politico è rilevante. Se questa storia venisse confermata, si tratterebbe di un vero e proprio siluro tale da affondare definitivamente la già precaria credibilità di buona parte dei leader democratici su questo argomento, avendo loro sempre affermato di non saperne nulla e che si sarebbero opposti sin da subito a tali metodi se ne fossero venuti a conoscenza. Ma ancora più grave è il dato oggettivo che conferma quello che molti sinora hanno detto solo a denti stretti: la quasi totale acquiescenza dimostrata dai democratici nei confronti delle peggiori decisioni prese da questa Amministrazione. Una acquiescenza ancora più grave in quanto li rende, come in questo caso, dei veri e propri complici di violazioni dei diritti umani. Con buona pace di chi ancora crede che il cambio di presidenza, il prossimo anno, possa portare ad un effettivo cambio anche nella politica americana.

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