di Luca Mazzucato

Quando viene a cadere la “minaccia esistenziale allo stato ebraico” che il regime iraniano impersona, allora sono guai seri per la leadership israeliana. Il rapporto del Consiglio Nazionale dell'Intelligence americana ha sgonfiato la minaccia persiana, negando risolutamente che l'Iran stia cercando di procurarsi armi nucleari, provocando un vero terremoto. Teheran esulta, lodando la CIA; i neocon americani, che pregustavano l'ennesimo affare bellico, si strappano i capelli, mentre il governo israeliano si scaglia con violenza contro lo spionaggio USA, accusato di pressapochismo. Ma il responsabile della rinnovata intelligence americana fuga ogni dubbio sull'affidabilità del rapporto: non si tratta del remake del famigerato dossier sulle armi di Saddam. Chi ci guadagna è Putin, che coglie al balzo l'occasione, riprende la fornitura di uranio arricchito all'Iran e incassa milioni. Il rapporto della National Intelligence Estimate è conclusivo: l'Iran non potrebbe a mettere insieme l'atomica almeno fino al 2015. Tuttavia, il programma atomico militare è stato abbandonato nel 2003 in seguito alle pressioni internazionali e mai più resuscitato. Nemmeno segretamente. Il rapporto enfatizza che le decisioni politiche a Teheran non sono frutto della follia di un fondamentalista, ma sono guidate da un'attenta analisi costi-benefici. Nel rapporto si confronta criticamente l'attuale conclusione negativa con l'opposta conclusione del 2005, in cui veniva affermata l'esistenza di un programma nucleare segreto: il precedente parere viene smentito. Dopo il famoso rapporto della CIA sulle armi di distruzione di massa irachene, il casus belli rivelatosi poi clamorosamente falso, l'allora direttore della CIA Tenet aveva iniziato un profondo ripensamento del metodo di intelligence, per evitare il ripetersi di simili disastri in futuro. E i risultati di questa riforma interna sono ora sotto gli occhi di tutti e puntano a mettere al sicuro lo spionaggio americano dalle grinfie dei politicanti di turno. La conclusione positiva sulle armi di distruzione di massa irachene del 2002 si basava su un'unica fonte di intelligence, successivamente rivelatasi una colossale bufala, mentre la nuova stima si basa su una valutazione critica delle fonti, il “confronto diretto tra gli agenti sul campo e gli analisti” a Washington e il “parere vincolante di esperti esterni sull'affidabilità delle conclusioni.”

I neocon americani sono infuriati e in preda allo shock si lasciano andare in dichiarazioni fantasiose, vedendo andare in fumo le enormi opportunità legate ad una nuova avventura militare in Medioriente. Un manipolo di irriducibili senatori repubblicani dichiara: “non crediamo al rapporto, la politica lo ha infiltrato.” La loro ricetta per depurarlo da interessi politici è istituire una commissione d'inchiesta bipartisan al Senato per formulare un nuovo rapporto, utilizzando la stessa intelligence! Ma la reazione più scomposta è quella di John Bolton, ex ambasciatore americano all'ONU e falco dell'amministrazione Bush: leggendo nel rapporto il tentativo della Rice di smarcarsi dalla disastrosa guerra irachena, Bolton avverte Bush che è il momento di togliere le redini della politica estera dalle mani della Rice, che è diventata “il canale preferenziale per le carriere dei burocrati liberali,” l'accusa più infamante per un repubblicano.

Il rapporto dell'intelligence americana piove come un macigno sul governo israeliano, scompaginando tutte le carte. Il caso iraniano è stato il perno della strategia politica e militare di Tel Aviv. La recente luna di miele tra Israele e i regimi sunniti “moderati” mediorientali è frutto della paura per la crescente potenza regionale persiana. Lo stesso governo Olmert, poi, riesce a tenere insieme i laburisti con i neofascisti di Lieberman soltanto grazie alla “minaccia esistenziale” rappresentata dall'Iran. L'ossessivo richiamo ad un nuovo Olocausto, questa volta nucleare, è il leit motiv del discorso politico di tutti i partiti sionisti, che attraversa i media israeliani ventiquattr'ore su ventiquattro.

Mentre il ministro della difesa Barak denuncia di “non potersi permettere di accantonare la minaccia iraniana solo per un rapporto di intelligence dell'altra parte del mondo,” l'offensiva internazionale è stata affidata al ministro degli esteri Livni. Ad una recente riunione della NATO ha usato toni apocalittici, dichiarando che “Teheran sta per ottenere la tecnologia per costruire armi nucleari” e che “il tempo della decisione sull'Iran si sta avvicinando,” riferendosi all'ipotesi di un attacco israeliano alle centrifughe persiane. Il ministro dell'interno Avi Dichter si spinge oltre, dichiarando che lo spionaggio americano è palesemente fallace e “potrebbe portare ad un disastroso errore riguardo all'atomica iraniana e ad una nuova guerra regionale dello Yom Kippur, in cui Israele sarebbe tra i paesi minacciati.”

Proprio Dichter recentemente ha dovuto cancellare una visita in Inghilterra, per paura di finire arrestato all'aeroporto londinese appena sceso dall'aereo. Come successo a Pinochet, infatti, anche Dichter è accusato di crimini contro l'umanità, insieme a numerosi leader israeliani. Durante la seconda intifada Dichter, allora a capo dello Shin Bet, organizzò numerosi assassini mirati di militanti palestinesi, lanciando missili in zone residenziali a Gaza e facendo stragi di civili inermi.

L'accantonamento dell'opzione militare, se da una parte scongiura il pericolo di una nuova guerra regionale, dall'altra parte avrà pessime ripercussioni immediate sui Territori Occupati. L'attenzione dei media israeliani si è infatti prontamente spostata da Teheran al lancio di razzi Qassam da Gaza, ribattezzati subito la nuova “minaccia esistenziale.” Mentre i razzi artigianali palestinesi continuano a piovere a ritmo di dozzine alla settimana, cadendo per lo più nel deserto del Negev, l'aviazione israeliana ha ripreso in grande stile gli attacchi aerei mirati ai leader della Jihad Islamica e di Hamas. Al ritmo di cinque-dieci assassini al giorno, i missili israeliani non mancano mai l'obiettivo.

Ehud Barak e i vertici dell'esercito stanno preparando una rioccupazione in forze della Striscia, per fermare il lancio di Qassam, che le incursioni giornaliere dei blindati dell'IDF nella Striscia non riescono evidentemente a contrastare. Una dimostrazione di forza, del tutto inefficace sul piano militare, sarebbe l'unico modo per risollevare i favori del governo Olmert, in grossa difficoltà nei sondaggi.

Il tempismo con cui la CIA ha deciso di entrare a gamba tesa nel dibattito sull'Iran fa pensare che, come confermato dalla Livni, il conto alla rovescia per un attacco di Bush-Olmert fosse già partito. Evidentemente, una parte degli apparati militari americani, in forte contrasto con l'amministrazione Bush per la gestione dell'occupazione irachena, ha deciso di tentare una mossa a sorpresa. L'esito è sicuramente ben riuscito: sgonfiando pubblicamente la minaccia iraniana, il consenso internazionale ad un'azione militare si è istantaneamente volatilizzato. Non solo a Teheran, ma anche a Washington ci sono alcuni apparati che ragionano in termini di costi-benefici, a differenza dell'amministrazione Bush.

In un momento in cui le pressioni della lobby israeliana sulla politica estera americana sono al centro del dibattito politico americano, questo inusuale contrasto potrebbe essere un primo tentativo di sganciare gli USA dalla politica aggressiva di Tel Aviv. In questo caso evidentemente i costi di un attacco all'Iran sarebbero altissimo per gli americani impantanati in Iraq, mentre per Israele si tratta di una questione esistenziale e dunque non negoziabile. Sarà interessante scoprire le carte dei regimi sunniti alleati di Washington, in particolare dell'Arabia Saudita, impegnata in Iraq in una guerra sporca di attrito con Teheran per il controllo del Golfo.

L'altro lato della medaglia è l'uscita allo scoperto di Putin, che subito dopo aver letto il rapporto americano annuncia la ripresa delle forniture di uranio arricchito all'Iran. La fornitura era stata sospesa a causa dei mancati pagamenti di Teheran, ma in realtà a causa della delicata situazione diplomatica. Ora nessun ostacolo impedisce a Mosca di completare la costruzione della prima centrale nucleare iraniana di Bushehr, che dovrebbe entrare in funzione entro un anno. La capacità delle centrifughe iraniane è ancora molto ridotta, dunque Putin fornirà a Teheran tutto il materiale fissile necessario. In questo modo si rinsalda la stretta alleanza militare ed economica del triangolo Russia-Iran-Siria, in funzione anti-americana nel Golfo, moltiplicando il fallimento della strategia neocon di Bush.

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