di Giuseppe Zaccagni

Non c’è pace per il Caucaso: la Georgia è ancora sconvolta dai contestati risultati elettorali delle settimane scorse; l’Azerbaigjan, diviso tra sunniti e sciiti, si trova a fare i conti con movimenti islamici filo-iraniani e una situazione a rischio che riguarda il Nakhchivan, l'enclave situata tra Turchia ed Armenia. E tutto questo per non parlare del contenzioso tra Baku ed Erevan a proposito del Nagorno-Karabakh. Ed ora ecco che l’Armenia (93,3% armeni e 1,6% russi) si appresta ad affrontare - il 19 febbraio - le elezioni presidenziali dalle quali dovrà uscire il nuovo Presidente che andrà ad occupare, per i prossimi cinque anni, il posto dove dal 1998 siede Robert Serdakovic Kocaryan (classe 1954), un personaggio più interessato al potere che allo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto e che ora deve lasciare il seggio perché giunto al termine del suo secondo ed ultimo mandato. In lizza, praticamente, sono due i maggiori candidati - Sarkisian e Petrosian - che si scontrano, quanto a politica generale, su questioni nodali relative ai rapporti con Karabach, Turchia e Azerbajgian. Ed ecco una rapida panoramica su questa Armenia pre-elettorale. SARKISIAN. Serzh Azatovic Sarkisian, filologo, è l’attuale primo ministro (si è fatto le ossa come ministro della Difesa) ed è anche il rappresentante del Partito Repubblicano vincitore alle politiche del maggio scorso. E’ stato per lunghi anni il braccio destro di Kocaryan. Ora Sarkisian si caratterizza con posizioni intransigenti che riassumono anche la sua storia personale: nato nel 1954 a Stepanakert, capitale del Karabakh, è stato uno degli strateghi della vittoria contro l’esercito azero. Ha prestato servizio nelle forze armate dell’Urss dal 1972 al 1974. Secondo Radio Free Europe sarebbe “il favorito alle elezioni non perchè conquisterà voti ma perchè controlla il potere. Controlla completamente le risorse amministrative, quelle finanziarie e l’intero processo elettorale”.

PETROSIAN. Levon Akapovic Ter Petrosian - che è stato il primo presidente della repubblica armena indipendente - è nato ad Aleppo, in Siria, nel 1945. Figlio di uno dei fondatori del Partito comunista della Siria e del Libano. E’ il classico intellettuale prestato alla politica. Studioso di lingue e letterature orientali. Ha alle spalle un’intensa attività nel campo delle lotte per l’indipendenza dell’Armenia e per l’annessione politica del Nagorno-Karabakh. Quanto alla sua gestione politica del paese va ricordato che si è trovato ad operare nei duri anni della guerra con gli azeri e nel pieno di una dura crisi economica. Petrosian guida, praticamente, il partito “Movimento nazionale armeno” (Mna) nato sulla base del Comitato Karabakh, sorto nel 1988 in appoggio alle rivendicazioni nazionalistiche. Gli armeni ripercorrendo oggi la biografia di questo personaggio ricordano quel 1998 quando fu costretto a dimettersi perché accusato di essere eccessivamente remissivo nei riguardi del problema del Karabakh. Da quella data in poi, per quasi dieci anni Petrosian, si è estraniato dalla politica, non è intervenuto nel dibattito riguardante la cosa pubblica ed è ritornato ai suoi studi di filologia. Ma per molti dei suoi sostenitori – che a dire il vero non sono numerosi né in Armenia e né nella Diaspora, perché memori dei danni da lui provocati - è pur sempre un punto di riferimento. Così, all’improvviso, rompendo un silenzio decennale, è rientrato nell’agone politico. E lo ha fatto con un gesto plateale. Ha incontrato i nemici di un tempo definendoli però solo come “avversari” e invitandoli ad avviare un processo comune di concordia nazionale.

L’ALTRO CANDIDATO. Alle presidenziali partecipa anche l'ex premier ed ex ministro della Difesa, leader dell'Unione dell'opposizione nazionaldemocratica Vasghien Michaelovic Manuchian (classe 1946). E’ uno dei fondatori del “Comitato Karabach” ed è presidente del “Movimento per l’autodeterminazione nazionale”. Laureato in matematica e in fisica si è formato presso l’Accademia Siberiana delle Scienze ai tempi dell’Urss.

NAGORNO-KARABAKH. La piccola regione autonoma ha un territorio di 4,4mila chilometri quadrati e una popolazione di 180mila abitanti. La crisi scoppiò nel febbraio 1988 quando il Soviet locale decise la secessione dall’Azerbajgian dichiarando di voler passare dalla giurisdizione azera a quella armena per riparare all’errore storico del 1921, quando il consiglio caucasico del partito bolscevico aveva deliberato di trasferire la regione sotto il potere di Baku. Iniziarono quasi subito i pogrom delle famiglie armene che costituirono il prologo di una guerra vera e propria tra l’esercito karabakho sostenuto dai volontari armeni e le truppe azere.

In questa enclave armena in territorio azerbaigiano (vero paese monoetnico) si gioca una guerra del Caucaso spesso ignorata, dimenticata. Qui si incontrano e si scontrano da una parte gli armeni che sono cristiani - appoggiati dalle maggiori potenze occidentali - e dall’altra gli azeri che sono musulmani forti del sostegno dell’Iraq e della Turchia. Il 2 settembre del 1991 gli armeni istituiscono la cosiddetta "Repubblica di Nagorno-Karabakh (Nkr)" nel territorio della regione montagnosa del Karabakh della Repubblica Azerbaigiana. E’ qui che si formano gruppi armati illegali di circa 15.000 persone formati come forze di "autodifesa della Nkr". Si svolgono poi trattative con Baku, ma in realtà, nell’ottobre 1991, nonostante gli accordi, forze armate armene attaccano gli azeri dei distretti di Khodjavand/Martini.

L’Occidente - a quanto risulta - parteggia più per la Turchia che per l’Armenia. Desidera, infatti, affidare ad Ankara la "tutela" delle varie repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale, per sottrarle all'influenza dell'integralismo islamico dell'Iran. In ciò la Turchia è considerata più affidabile perché laica ed occidentalizzante. I governanti turchi hanno così prontamente dato inizio ad un'opera di penetrazione in Asia Centrale ed hanno a più riprese affermato che la sfera d'influenza turca si estende dall'Adriatico alla Cina. Resta ora da vedere che cosa potrà essere più pericoloso per l'Occidente: l'integralismo islamico od il nazionalismo panturco.

C’è da considerare, in questo contesto, quanto potrà essere pericoloso per l'Europa un "impero" turco che si estenda dall'Adriatico alla Cina, così com'è sempre stato negli intendimenti, palesi od occulti, della Turchia. Va anche esaminato che cosa potrà rappresentare, dal punto di vista geopolitico, strategico, militare, demografico ed economico un simile "impero", sostenuto dal militarismo e dal nazionalismo turco e dal petrolio azero. E' sulla via di questo ambizioso progetto che la Turchia vuol distruggere in primo luogo il Karabakh per poter poi fagocitare l'Armenia che costituisce un diaframma fra la Turchia e l'Azerbajgian.

La permanenza del Karabakh nell'ambito territoriale di quest'ultimo stato è quindi voluta dalla Turchia per perseguire i suoi obiettivi di grande potenza. Ma l'Occidente non deve certo sostenere questa ambizione turca che, lungi dall'essere una soluzione equa e giusta, creerebbe le premesse per la costituzione di quell'impero turco che con la sua carica demografica e militar-nazionalista rappresenterebbe certamente un serio pericolo per l'Europa.

Una soluzione consisterebbe nel riunire il Karabakh all'Armenia. Sarebbe, forse, una scelta equa che però sarebbe troppo umiliante per l'Azerbajgian. Per questo motivo una repubblica indipendente del Karabakh sarebbe la soluzione migliore, senza né vincitori e né vinti, non umilierebbe l'Azerbajgian (in quanto che questa regione non sarebbe annessa all'Armenia), non farebbe stravincere quest'ultima (dato che la regione contesa rimarrebbe fuori dei suoi confini) ed infine tutelerebbe i diritti della popolazione locale che si è democraticamente e plebiscitariamente espressa a favore dell'indipendenza. Ciò favorirebbe inoltre il ripristino della pace nel Caucaso, regione ove l'Armenia, paese occidentale per cultura e tradizioni, potrebbe realizzare una fruttuosa politica di sviluppo e di stabilità, in stretto legame con l'Europa.

GENOCIDIO. Le ombre del genocidio degli armeni sono sempre presenti. Fu nel 1915 che il governo dei Giovani Turchi avviò un'azione di genocidio degli armeni (1.500.000 vittime). Il massacro è considerato come il primo genocidio del XX secolo. Perseguitati a più riprese con azioni che rievocano i pogrom antisemiti diffusi nell'Europa orientale dell'Ottocento, gli armeni hanno scontato il fatto di essere una cospicua comunità etnico-religiosa di minoranza in un impero, quello ottomano, che, troppo vasto, ha sempre più temuto il venir meno dei propri confini a mano a mano che il gigantismo geopolitico si rivelava una patologia incurabile. Così, dopo i massacri del 1895 e del 1909, lo scoppio della guerra ha fornito il pretesto per ricorrere al genocidio come soluzione della "questione armena".

TERRORISMO ARMENO. Sull’Armenia pesano, però ancora le ombre di quell’Esercito Segreto Armeno per la Liberazione dell'Armenia (Asala), un’organizzazione guerrigliera che operò negli anni passati e che aveva come principale obiettivo quello di "costringere il governo turco a riconoscere pubblicamente la sua responsabilità per la morte di 1,5 milioni di armeni nel 1915, pagare un risarcimento e cedere il territorio necessario per la creazione di una patria armena". E qui va sempre ricordato che gli armeni si sono fatti sentire, più volte, a colpi di attentati come nel 1975 quando furono uccisi gli ambasciatori turchi a Vienna e a Parigi, seguiti (nel 1977) da quello presso il Vaticano. Tra l’altro a Roma, già nel luglio 1979, era attiva la formazione “Nuova sinistra armena” che diffondeva una pubblicazione intitolata “Cultura e genocidio” dove si accusava il governo turco di continuare quella politica razzista iniziata nel 1915.

Quanto alla strategia generale del terrorismo armeno va rilevato che c’è sempre una costante. Quella di colpire realtà e paesi lontani dall’Armenia. L’Asala in tal senso si è sempre più caratterizzata come uno dei tanti vettori della grande organizzazione internazionale della sovversione antidemocratica. Non dimentichiamo, inoltre, che nel 1980 uno dei capi dell’Esercito armeno segreto rivelò che: “L’obiettivo della lotta degli armeni consiste nel liberare l’Armenia turca dall’occupazione di Ankara”.

DIASPORA. Gli armeni - sono oltre 4 milioni in tutto il mondo - godono sempre di “buona stampa”. Occupano posti di responsabilità (grazie a vere e proprie lobby e a forti rapporti con la massoneria) e sono in grado di formare l’opinione pubblica. Di loro si parla sempre bene con espressioni standard del tipo: “Un popolo civilissimo per tradizione e temperamento”, “Una delle civiltà più antiche del mondo”, “Il primo paese ad accettare il cristianesimo come religione ufficiale”… Anche la Chiesa armena fa parte della diaspora. Conta oggi sette milioni di fedeli disseminati, oltre che nella ex Armenia sovietica, in tutti i continenti dove mantiene un’indubbia originalità culturale.

LA “QUESTIONE TURCA”. C’è, tra Erevan e Ankara, una sorta di armistizio dovuto anche al fatto che i turchi hanno mostrato un certo pragmatismo nell’affrontare i punti più importanti del contenzioso. Si stanno muovendo più in chiave eurasiatica che euroatlantica ed hanno avviato una politica di “attenzione” nei confronti di quella minoranza armena che vive pacificamente in Turchia. E’ su questo punto che si gioca il futuro dell’Armenia. Il nuovo Presidente dovrà, quindi, adottare nuovi punti di vista correggendo le vecchie posizioni. Dovrà operare per attenuare le rivendicazioni nazionaliste e risolvere quella crisi economica e sociale che potrebbe sfociare in una grave crisi politica dalle conseguenze imprevedibili.

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