di Carlo Benedetti

Sarà un caso, sarà colpa di qualche sbaglio tecnico, sarà il frutto di una macchinazione di palazzo o sarà una semplice vendetta firmata dalla più alta nomenklatura del Paese, ma un fatto è, comunque, certo ed è che l’unico e reale oppositore del Cremlino alle prossime presidenziali del 2 marzo resterà lontano dalla competizione. Perché per Michail Kasyanov - un personaggio classe 1957, discusso ed anche compromesso con giri di affari sporchi - la commissione elettorale, che doveva ammetterlo alla corsa presidenziale, lo ha rimandato a casa adducendo che nella raccolta di firme in suo favore (2 milioni) si sono registrati errori tecnici e sono state individuate 80.147 firme false. E così la messa fuori gioco di Kasyanov - leader di un’opposizione liberale - toglie di torno un esplicito avversario del Cremlino da una gara che l'opposizione considera già sbilanciata a favore di Dmitry Medvedev, il quarantaquattrenne che Putin vuole imporre come suo successore. Kasyanov, che è stato il primo premier durante la presidenza di Putin (fra il maggio 2000 e il febbraio 2004), non ha mai goduto di buona stampa. Molti russi lo chiamano ancora “Misha due per cento” alludendo alle tangenti che avrebbe avuto l`abitudine di chiedere quando apparteneva alla nomenklatura russa. Ed ora è chiaro che non ha mai avuto alcuna chanche per arrivare al massimo seggio della Russia, con i sondaggi che lo hanno sempre dato sotto l'1 per cento. Nonostante tutto a protestare per la sua esclusione sono in molti. In particolare si fanno sentire le voci dei difensori dei diritti umani.

Per Liudmila Alexieva, dirigente della sezione moscovita del gruppo di Helsinki, si tratta di una «manovra ben meditata» che abbassa il livello democratico della consultazione, dove il voto di protesta avrebbe potuto confluire proprio su Kasyanov. Per Lev Ponomariov, capo del movimento per i diritti umani, è “un’esclusione annunciata: è chiaro che se una persona è decisa e indipendente, non è registrata”. Polemiche a non finire, quindi, che gettano molte ombre sull’attività di un Cremlino che vorrebbe invece presentarsi al mondo come paladino di una nuova democrazia. E lo stesso Kasyanov - per difendersi - dichiara che: “Il Paese sta scivolando verso un totalitarismo ladresco”. E subito punta il dito contro i vertici affermando che: “Non c’è alcun dubbio che la decisione di non registrare la mia candidatura, è stata presa personalmente da Putin”. Tutti questi attacchi portano i sostenitori di questo mancato candidato a sostenere che il “sistema” attualmente in vigore è la copia di quello che vigeva nei tempi dell’Urss: “Un sistema che non permette alcun miglioramento dall'interno o dall’esterno. Tutta la struttura verticistica - sostiene infatti Kasyanov - nonostante la sua apparente stabilità crollerà inevitabilmente sotto il peso dei vizi e dei crimini”.

Ecco, quindi, che dopo la cacciata di Kasyanov - e data per scontata la nomina di Medvedev che oltre che essere il delfino di Putin gode dell’appoggio di tutta l’oligarchia di stato e dei media direttamente controllati dal Cremlino - restano in pista altri tre concorrenti.

Il primo in questo elenco è Ghennady Ziuganov, il leader del Partito Comunista Russo. Classe 1944, è stato già candidato alla presidenza e ha legato il suo nome alle forze nazionaliste partecipando alla creazione di un cosiddetto “Fronte patriottico nazionale” che ha avuto come risultato solo quello di collocare il Partito accanto alle forze di destra. E c’è di più. Perché all’interno del Pcr si è andata formando, in questi ultimi tempi, anche una frazione trotskista che Ziuganov cerca di controllare e mettere da parte. Ma contro di lui insorgono anche vari elementi di una nuova ala democratica che sta nascendo all’interno del partito stesso. E così al segretario generale è rinfacciato di essersi collegato - negli anni scorsi - a forze di estrema destra, soprattutto italiane.

Fu nel 1993, infatti, che il leader dei comunisti russi, alla ricerca di collegamenti internazionali capaci di sostenerlo nella sua corsa verso i lidi nazionalisti, firmò - insieme ai suoi due stretti collaboratori Eduard Volodin e Aleksandr Prochanov - un patto di intesa con la destra radicale italiana richiamandosi ad una lotta comune “contro il governo antirusso, cosmopolita e filo-americano e contro il neocapitalismo”. Frasi ben espresse, ma dove quell’accenno al “cosmopolitismo” evidenziava anche un sottofondo di antisemitismo nelle tesi di Ziuganov.

Nella corsa alle presidenziali di marzo segue poi Vladimir Girinovskij, classe 1946. Si tratta di un personaggio arrogante ed ambizioso e che è stato utilizzato negli anni scorsi per sostenere le politiche antisovietiche ed anticomuniste del Cremlino. Attualmente è presidente del Partito Liberal-Democratico che si colloca all’interno della galassia nazionalista di stampo sciovinista. Infine c’è Andrei Bogdanov, nato nel 1970, leader del Partito Democratico. E’ considerato un uomo del Cremlino di Putin. E’ una sorta di jolly da giocare nei momenti più adatti per consentire la vittoria di Medvedev.

E’ quindi con questa lista che la Russia si avvia all’appuntamento delle presidenziali. Ma una cosa è già chiara ed è che il vertice russo non mostra nessuna simpatia per una politica di pluralismo e di dibattito. E pur se l’esclusione di Kasyanov sarà stata regolare dal punto di vista dei regolamenti, resta il fatto che Putin sta rivelando sempre più il suo volto di padre-padrone. Non è un caso, tra l’altro, se il Cremlino sta operando in ogni parte del mondo (mobilitando le sue ambasciate e le sue legazioni commerciali fornendo contemporaneamente fondi notevoli) per creare attorno alla figura del presidente russo un’aureola particolare. Democratico quanto basta, orfano del potere sovietico in funzione dei veterani ancora esistenti, antiamericano per far piacere ai nazionalisti, aperto all’Asia per trovare sponde a Pechino e a Nuova Delhi.

Ma soprattutto uomo di una grande oligarchia che basa sul gas e sul petrolio la sua potenza. E la sigla che più si addice a questa politica di vera piovra mondiale è quella del Gazprom. L’organizzazione economica ed industriale che il Cremlino usa come “arma” politica utilizzando gas e petrolio per decidere sulle sorti del mondo.

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