di Michele Paris

Barack Obama ha vinto anche le primarie nello stato del Wisconsin e, stando alle proiezioni della Cnn, anche alle Hawaii. Per il senatore afroamericano dell'Illinois si tratta della nona vittoria consecutiva contro l'avversaria Hillary Clinton. Secondo i dati relativi al 90% dei voti in campo democratico, Obama ha ottenuto il 58% contro il 41% della senatrice di New York. Con il permanere dell’equilibrio nella conta dei delegati conquistati dai due candidati democratici alla nomination, i senatori Barack Obama dell’Illinois e Hillary Rodham Clinton di New York, diventa sempre più concreta la possibilità che a decidere l’avversario di novembre di John McCain, ormai ad un passo dall’assicurarsi lo status ufficiale di candidato per i repubblicani, sarà il voto alla convention di Denver dei quasi 800 cosiddetti Superdelegati del Partito dell’asinello. Anche se ben consapevoli del rischio di precorrere i tempi e, soprattutto, di far passare in secondo piano l’importanza del voto popolare in quegli Stati che ancora devono passare attraverso primarie e caucuses da qui a giugno, i responsabili di entrambe le campagne elettorali stanno mettendo in campo tutti i mezzi possibili per assicurarsi l’appoggio di questi Senatori, membri della Camera dei Rappresentati, Governatori ed altre importanti personalità del Partito che a fine agosto avranno mano libera nell’assegnazione del loro voto al candidato che teoricamente dovrebbe avere la maggiori chances di conquistare la Casa Bianca. Già all’indomani del Supermartedì, i cui risultati sono stati ben lontani dal rompere gli equilibri in casa democratica, su tutti i media d’oltreoceano è partito un intensissimo dibattito intorno al numero degli “unpledged delegates” che più o meno esplicitamente hanno già affidato la loro preferenza ad uno dei due candidati e al criterio da seguire nella loro scelta, se ne esiste uno, per quanti invece risultano tuttora indecisi. Per quanto riguarda i numeri, tra le più recenti stime della situazione c’è quella fornita nel fine settimana dai due staff delle campagne elettorali di Clinton e Obama, che indicano come la prima si sia già garantita il voto di 256 Superdelegati contro i 170 del senatore afro-americano.

Ma praticamente ogni giornale, televisione o sito internet, adotta un proprio metodo di calcolo ed un conseguente diverso esito numerico. Ogni conteggio, in ogni caso, dovrà fare i conti con la fluidità della situazione politica americana, la quale a sua volta sta già determinando i primi cambiamenti di campo di qualche Superdelegato rispetto alle posizioni assunte solo qualche mese fa.

Il fermento nel Partito Democratico coinvolge in primo luogo le personalità di colore, le quali difficilmente si assumeranno la responsabilità di aver ostacolato Barack Obama nella corsa verso un’eventuale storica nomination. Anche questa è stata la motivazione che ha spinto nei giorni scorsi l’autorevole deputato di colore John Lewis, democratico della Georgia ed ex leader del movimento per i diritti civili, molto influente tra gli altri membri del Congresso, a ritirare il proprio appoggio a Hillary Clinton per dirottarlo sul 46enne Senatore dell’Illinois.

Ma più ancora, almeno ufficialmente, sembra aver influito nella sua scelta il risultato delle primarie nel suo distretto, dove la maggior parte degli elettori hanno affidato il loro voto proprio a Obama. I consiglieri di quest’ultimo, infatti, stanno sostenendo con forza la necessità che nella convention di Denver i Superdelegati non contraddicano l’indicazione popolare circa il candidato del Partito alla corsa verso la Casa Bianca. Nel clan Clinton, al contrario, dove evidentemente le possibilità della ex First Lady di chiudere il cammino delle primarie in vantaggio sono date sempre più in ribasso, si tende a “consigliare” una scelta che favorisca il candidato considerato più forte per sostenere una difficile battaglia con l’avversario repubblicano.

Istituiti nel 1982 da una commissione democratica guidata dall’allora Governatore della North Carolina James Hunt per riequilibrare il potere degli attivisti di base nella scelta del loro candidato, i Superdelegati intervennero in maniera decisiva nella consegna della maggioranza a Walter Mondale alla convention del 1984, dopo che primarie e caucuses gli avevano garantito una chiara maggioranza su Gary Hart, ma non tale da conquistare anticipatamente la nomination.

In gran parte proprio su questo precedente, e sul comportamento tenuto dai Superdelegati nelle successive elezioni presidenziali, si basano le considerazioni di quanti auspicano un loro intervento per evitare spaccature all’interno del Partito e proiettare così verso l’election day vero e proprio colui, o colei, che ha avrà ottenuto la maggioranza dei delegati nei mesi precedenti la convention. Ma se la competizione tra Obama e Hillary dovesse rimanere così incerta fino ad agosto, molti sarebbero i problemi sollevati per i democratici, non ultimi quelli legati ad una possibile spaccatura all’interno del Partito o alla diffusione dell’idea che il candidato potrebbe essere deciso al vertice ribaltando così il verdetto degli elettori.

Dopo il decesso avvenuto qualche giorno fa del Deputato Tom Lantos, il numero dei Superdelegati è sceso a 795, cioè circa il 20% del totale dei delegati che si riuniranno a Denver. Più o meno la metà di essi a tutt’oggi non ha ancora espresso ufficialmente il proprio sostegno ad uno dei due candidati del Partito Democratico, anche se molti tra gli indecisi hanno legami politici, e talvolta anche personali, più o meno stretti con uno o entrambi i coniugi Clinton.

Uno dei dilemmi che sta infastidendo parecchi Superdelegati pro-Clinton è il fatto che oltre 100 di essi proviene da uno Stato dove primarie e caucuses hanno già fatto registrare una nettissima prevalenza per Barack Obama. A complicare ulteriormente le cose vi sono inoltre i consistenti contributi che i comitati politici di entrambi i candidati alla nomination hanno versato negli ultimi anni a favore delle campagne elettorali dei Superdelegati stessi (890.000 $ complessivamente, secondo il “Center for Responsive Politics”, organizzazione indipendente che monitora i movimenti finanziari delle campagne elettorali americane).

In prima linea nella ricerca dell’appoggio delle personalità del Partito che a fine agosto decideranno con ogni probabilità il candidato democratico alla Casa Bianca, ci sono da una parte e dall’altra grossi calibri della politica americana che stanno facendo a gara nel contattare e convincere il maggior numero di esse. Hillary Clinton può contare in primo luogo sull’autorevolezza dell’ex Segretario di Stato Madeleine Albright e sull’esperienza e l’influenza di Harold Ickes, uno tra i più esperti negoziatori democratici degli ultimi decenni. Per il lavoro più duro inoltre, la Senatrice dello Stato di New York può naturalmente contare sul marito Bill e la figlia Chelsea.

Obama da parte sua ha arruolato allo scopo l’ex avversario di Bush alle presidenziali John Kerry, la Governatrice dell’Arizona Janet Napolitano e il popolarissimo Senatore del North Dakota Tom Daschle, personaggio che vanta importanti legami negli ambienti della capitale. Non tutti i Superdelegati hanno però lo stesso peso. Per autorevolezza ed influenza, alcuni sono più ambiti di altri e tra essi, tutti ancora ufficialmente neutrali, spiccano l’ex vice-presidente Al Gore, i cui rapporti con i Clinton pare siano piuttosto deteriorati dopo l’esito delle presidenziali del 2000, l’ex presidente Jimmy Carter, e il Governatore del New Mexico Bill Richards, anch’egli in corsa per la nomination fino allo scorso mese di gennaio.

Tra i Superdelegati che invece hanno già dichiarato l’appoggio ad uno dei due candidati, e che in molti casi andranno incontro al parere contrario dei rispettivi distretti elettorali, vi sono, a favore di Hillary Clinton, i nomi importanti dell’ex vice-presidente Walter Mondale, dei due ex leader del Partito Democratico alla Camera dei Rappresentanti Richard A. Gephardt del Missouri e Jim Wright del Texas. L’influenza della ex First Lady tra le più importanti organizzazioni sindacali inoltre si evince anche dal sostegno che ha già conquistato del Presidente della Federazione Americana Insegnanti Randi Weingarten e di quello degli Impiegati Statali, di Contea e Municipali Gerald W. McEntee. Obama invece si è assicurato il voto del Governatore dell’Illinois Rod R. Blagojevich, nonché delle due donne che guidano Arizona e Washington, rispettivamente Janet Napolitano e Christine Gregoire.

Nel complesso, salvo ulteriori appoggi dichiarati in questi giorni, secondo svariate fonti, tra i Superdelegati assegnati alla Clinton ci sono 11 Governatori contro i 10 di Obama, 14 Senatori contro 11 di Obama e 71 Deputati contro 62 di Obama. Il vantaggio di Hillary non è ancora decisivo dunque e l’esito delle rimanenti primarie, assieme al “momentum” che sembra essere per ora nettamente a favore di Barack Obama, potrebbe rimettere tutto in discussione.

Dopo il difficile mese di febbraio, lo staff di Hillary Clinton punta tutto sulle consultazioni del 4 marzo negli Stati di Ohio e Texas, entrambi dotati di un considerevole numero di delegati, per cercare di interrompere la marcia del Senatore dell’Illinois. Ma nonostante l’ampio margine accreditatole dai sondaggi, l’andamento del confronto nelle ultime settimane e, soprattutto, le complicate regole in vigore nel Texas potrebbero riservare sgradite sorprese alla signora Clinton. In questo Stato infatti, dove i delegati verranno assegnati per due terzi tramite primarie e per il resto con i caucuses, il numero dei delegati in palio nei vari distretti senatoriali verranno conteggiati in base all’affluenza delle elezioni più recenti.

In concreto ciò significa che i distretti dove prevale la popolazione di origine ispanica, tradizionalmente favorevole ai Clinton, assegneranno un basso numero di delegati a causa della scarsa affluenza nelle ultime elezioni, mentre i distretti urbani dove sono numerosi gli elettori afro-americani, ne assegneranno molti di più appunto grazie ad una più alta affluenza, con il possibile risultato di favorire Barack Obama.

Senza contare infine che l’adozione da parte del Partito Democratico del sistema proporzionale nel conferimento dei candidati, rende necessarie per Hillary vittorie con ampi margini di scarto, verosimilmente anche superiori ai 20 punti, per poter colmare il gap che la separa dal suo avversario nella corsa alla nomination. Situazione questa che per la Clinton si è verificata però finora soltanto in due Stati.

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