di Carlo Benedetti

MOSCA. La religione del potere resta la stessa. Cambia solo l’icona. Il volto da appendere ora negli uffici statali e nelle sedi ufficiali era pronto da mesi, stampato a colori e in tutti i formati. Un volto già vecchio perchè noto e scontato. Ma Dmitrij Anatoljevich Medvedev (nato a Leningrado nel 1965) non soffre di complessi. Brinda alla sua incoronazione avvenuta domenica 2 marzo (per il vecchio calendario il 18 febbraio, una quaresima che gli ortodossi venerano con i nomi di Santa Agalita e San Flavian) in seguito ad una votazione plebiscitaria, di stampo “sovietico” con una vetta del 70%, che rappresenta una legittimazione a quanto già deciso dal potere. Perchè per la casta attuale del Cremlino - dopo il tormentone mediatico del “Votantonio, Votantonio” con 2747 presenze di Medvedev nei telegiornali delle ultime settimane - quello che conta è il sigillo che viene posto sulla vicenda che si è consumata in questi ultimi tempi. Ora, si dice, parte una nuova tappa nella vita istituzionale del Paese. Ma il giro è sempre lo stesso. E la “carovana” di corridori, giudici, massaggiatori, tecnici e manager va avanti impegnata in un giro della Russia all’insegna di quel motto da Gattopardo: "Cambiare tutto, per non cambiare nulla". Fuori pista - come previsto dall’oracolo del potere - sono finiti Zjuganov (20%), Girinovskij (15%) e Bogdanov (1%), elementi decorativi della democrazia in versione russa. Detto questo va anche messo nel conto che c’è, comunque, un cambio di vertice che va considerato quali che siano le previsioni per l’immediato futuro. Per i russi, comunque, l’attesa è quella relativa alla continuità segnata da una sorta di progresso senza avventure, senza scossoni istituzionali. Per l’occidente, invece, la percezione che si ha è quella di trovarsi di fronte ad un paese in decadenza quanto ad ideali (c’è, in proposito, una forte e giusta denuncia dello scrittore Prochanov e del regista Sciachnazarov) e incapace di uscire dalla necessaria transizione.

Quanto alle strategie di politica estera c’è chi continua a leggere nelle scelte attuate sino ad oggi da Putin una decisa volontà a porre la Russia in posizione antagonista rispetto agli Stati Uniti, in vista della rinascita di un sistema bipolare. In tal senso il Cremlino che passa - pur se a mezzadria - nelle mani di Medvedev si trova ad essere condizionato dall’urgenza dei problemi interni, dalla secessione delle repubbliche ex sovietiche e dal fatto che la posizione geopolitica è quanto mai indebolita: la Russia è, infatti, circondata a occidente dall’Unione europea (più la Nato), a oriente dalla Cina e a sud dal Medio Oriente, che è il punto di crisi del sistema occidentale ed anche russo.

E così nel bagaglio delle eredità che Putin lascia al nuovo inquilino del Cremlino ci sono molti problemi irrisolti. Anche cotolette avvelenate mentre si pone il problema del “che fare” dal momento che Medvdev sembra rivolgersi alla componente liberale del paese, mentre Putin - come già avvenuto negli anni del suo potere - continuerebbe ad avere alle spalle il mondo dei siloviki, le strutture militari e di sicurezza che sembrano non aver digerito l’opzione Medvedev.

Si dice che sarà necessario rassegnarsi a un sistema bizantino di potere e dedicarsi, nello stesso tempo, a un paziente lavoro “pedagogico” sperando di poter cambiare poco a poco le idee della gente. Ma il compito di Medvedev sarà più che mai difficile anche se alle spalle avrà sempre un Putin che, nascosto nella botola del suggeritore di scena, si comporterà come una eminenza grigia. Un compito analogo a quello già svolto in Cina da Deng Xiaoping negli ultimi anni di vita. Il nuovo facente funzioni si troverà anche a dover mettere in riga le fazioni del Cremlino e a calmare, nello stesso tempo, quegli oligarchi resi inquieti dalla prospettiva di un'altra spartizione delle loro spoglie per mano dello Stato.

Altro punto difficile da gestire, per Medvedev, sarà quello relativo all’ondata di voci che si scatenerà tra le mura del Cremlino a proposito della vera eredità che si trova nelle casse nascoste del potere. Sono - si dice - i fantasmi del “Gasprom” che affollano la cassaforte energetica della Russia con somme da capogiro in conti svizzeri, società offshore intestate a prestanome, tangenti sulle vendite di petrolio all’estero. Tutte “notizie” che si possono leggere nell’opera del politologo russo, Stanislav Belkovskij, grande esperto dei corridoi del Cremlino. Il quale denuncia che la casta del potere agirebbe ancora tramite lo schermo di società finanziarie estere. E di conseguenza - sulla base di tali rivelazioni - si possono prevedere vari scenari destinati a caratterizzare la vita russa dei prossimi mesi in un mondo che sembra andar sempre più verso una sorta di preoccupante unipolarismo.

Vengono avanti ipotesi che vedono Medvedev fallire, vinto dalla sua stessa sfrenata ambizione. Dominato dall’arroganza del potere cerca subito di formare una sua squadra allontanando gli uomini del padre-padrone. Putin cerca di reagire serrando le fila e mettendo nello stesso tempo la comunità interna ed internazionale di fronte ad un complicato rebus. Un’altra ipotesi, di segno contrario, consiste nel prevedere una intesa armonica Medvedev-Putin capace di mantenere un certo status quo evitando, nello stesso tempo, le frizioni tra gruppi oligarchici e il Cremlino. E in questo contesto i due grandi capi i troverebbero, comunque, ad effettuare una serie di modifiche costituzionali che dovrebbero sancire i rispettivi campi di lavoro. Una sorta di bilanciamento dei poteri, con maggior rilievo per il primo ministro e il capo dello Stato. Putin manterrebbe il comando, occupandosi più di questioni interne e Medvedev si ritaglierebbe un ruolo a livello internazionale: quello di un liberal impegnato, proprio per questo, a sconfiggere le locali tentazioni nazionaliste relative ad un progetto militarista e sciovinista di una Russia vista come potenza mondiale. E sempre sul “chi vive” dal momento che sono in molti al Cremlino a ritenere che oggi il Congresso americano è un territorio occupato dalle lobby israeliane, notoriamente antirusse.

Oppure potrebbe accadere che, senza modifiche alla Costituzione, Medvedev e Putin si troveranno ad agire in accordo. Con il capo dello Stato che si occuperà più di economia e il premier di riforme sociali. Ci potrebbe essere la variante relativa ad un Medvedev che taglia il cordone ombelicale dal Putin-light e porta allo scoperto una nuova nomenklatura: i suoi compagni di banco già sistemati in lista di attesa sono la prova provata che la talpa della storia continua a scavare senza che ce ne accorgiamo.

Infine, sempre nel campo delle ipotesi possibili, si potrebbe registrare il grande ritorno dell’ex agente del Kgb ed ex Presidente. Il quale, al termine del quadriennio, nel 2012, potrebbe farsi rieleggere a capo dello Stato, nel pieno rispetto formale di quella Costituzione che oggi gli ha impedito il terzo mandato consecutivo. Si dimostrerebbe così la validità di quella tesi secondo la quale la diarchia (o la trojka) in Russia non ha mai funzionato.

Quali che siano le strade che verranno ora percorse c’è un insegnamento che resta ben fissato in questa storia relativa alle “presidenziali” e alla successione. Perché non si dovrà parlare di “Editto bulgaro” quando dall’alto si colpirà qualche oppositore, poichè la cacciata di Kasjanov o la persecuzione contro Kasparov portano l’autorevole firma del Cremlino. Da oggi in poi non si dovrà più dire “voto Bulgaro” o “maggioranza bulgara” quando si parlerà di risultati bloccati, già noti e plebiscitari in partenza. Il “bulgaro” - è chiaro - è diventato “russo”.

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