di Giuseppe Zaccagni

All’angolo di casa, in Croazia, nella piazza centrale della capitale Zagabria, tornano le camicie nere degli ustascia. Sono uomini anziani e giovani che rivendicano la loro adesione ideale a quelle organizzazioni separatiste e di estrema destra fondate nell’ottobre 1928 da Ante Pavelic colui che ha segnò una delle pagine più nere della storia del mondo slavo. Eccoli all’opera questi personaggi che riportano indietro la storia. Si ritrovano in 60.000 per assistere ad un concerto che dovrebbe caratterizzarsi con musiche popolari e nazionali. Ma a dettare lo svolgimento di questo appuntamento musicale è un personaggio che trasforma subito l’avvenimento come una vera e propria manifestazione di stampo fascista. Sul palcoscenico (caratterizzato da un’iconografia fascista che esprime odio verso il popolo serbo) c’è, infatti, Marko Perkovi? (classe 1966) noto come cantante e compositore, solista leader del suo gruppo. Maglietta nera, testa rasata, atteggiamento mussoliniano, militante attivo dell’estrema destra croata, portavoce dell’antipolitica qualunquista. Non nasconde le sue simpatie per gli ustascia e fa della musica la sua arma per raccogliere gente nelle piazze croate. Ed ora è Zagabria la sua arena. Si presenta provocatoriamente sul palco (mentre è in corso la riunione del Consiglio nazionale dei serbi che vivono in Croazia) e si dice orgoglioso di aver combattuto nella guerra di “indipendenza della Croazia” che oggi celebra con le sue musiche. E la canzone che apre le sue esibizioni è quella che comincia con un verso che rende omaggio al regime ustascia, alleato di Hitler a Zagabria durante la seconda guerra mondiale, certo di toccare un nervo dolorante e sensibile.

C’è poi l’appello al pubblico a ''pregare dio'' per un ex generale croato, Mirko Norac, condannato dalla giustizia di Zagabria a sette anni di carcere per crimini di guerra commessi contro i serbi di Croazia nel 1993: è stato, infatti, ritenuto colpevole della morte di 28 civili e 5 prigionieri (alcuni dei quali torturati) durante la battaglia per la riconquista di Medak, un villaggio occupato durante la guerra dai serbi dell'autoproclamata repubblica di Krajina.

Forti, intanto, le testimonianze sullo svolgimento del “concerto”.
Il presidente dell’organizzazione ebraica “Margel” di Zagabria - Alen Budaj - rileva che i messaggi che si sono sentiti durante il concerto dicevano che in Croazia non c’é posto per serbi ed ebrei. E il direttore del Centro “Veritas” di Belgrado - Savo Strbac - fa notare che il concerto ha dimostrato in modo inequivocabile l’odio nei confronti dei serbi. “Il timore dei nostri connazionali che vivono in Croazia e dei profughi che sono tornati è aumentato. Incute preoccupazione il fatto che al concerto presenziavano molti giovani che sono nati durante e dopo la guerra che divampava nell’ex Jugoslavia – dichiara ancora Strbac - questi giovani hanno appreso nelle scuole, nelle chiese e in quasi tutti i settori della società che il popolo serbo e tutto quello che lo caratterizza devono essere odiati”.

Ecco, quindi che il successo del cantautore, vista anche la storia fascista della Croazia, è ovvio. Tanto che Marko Petrovic in arte si fa chiamare “Thompson”, in onore di quel vecchio mitra americano con il quale combattè agli ordini del presidente Franjo Tudman nella famigerata “guardia nazionale”. Seguono, in questa colonna sonora della storia croata, le sue canzoni ritmate alla maniera di quel grande Bregovic. Sono motivi marcatamente patriottici che si rifanno alla guerra del 1991. Ecco “Bojna Cavoglave” che prende avvio con il grido di guerra “Za Dom”, per la patria! E di “Spremni”, siamo pronti! Parole forti che rimandano ai gridi di guerra della storia croata e, soprattutto, a quegli slogan degli ustascia. Poi arrivano i pezzi rock presenti nella compilation “Rock za Hrvatsku”. Ma ci sono anche motivi romantici come “Zmija me za srce ugrizla” (Una vipera mi morse il cuore), “Grkinjo” (Piccola greca, o meglio Ortodossa) che nasconde un significato antiserbo che è tutto un programma di fascismo e di xenofobia. Ed altre canzoni sempre caratterizzate dal nazionalismo antiserbo.

E mentre la Croazia vive questo ritorno al passato, a Belgrado - culla della Serbia - si ricordano quelle sortite internazionali fatte da Marko Perkovic. E precisamente quel suo concerto nazi-rock che si svolse a New York nell’ottobre dello scorso anno. In quella occasione - fissata dalle televisioni mondiali - il cantante brandiva una spada e le sue canzoni, ovviamente, parlavano di odio e di pulizia etnica rievocando alla memoria collettiva fatti tragici vissuti in Croazia durante il secondo conflitto mondiale: il genocidio di migliaia di ebrei, serbi, rom e sinti.

“Giocare su questi temi solo per far spettacolo, ma anche per reale convinzione, è una cosa ripugnante” sottolinea ora Mark Weitzman, direttore della task force del “Simon Wiesenthal Center” che si occupa della difesa dei diritti umani e tiene sotto controllo da anni le performance di Perkovic. Weitzman, tra l’altro, fu tra i primi a rivolgersi all’ambasciata croata a Washington per chiedere l’annullamento dei concerti del cantante nazi-rock ed ottenne l’immediato appoggio della comunità serba di New York, composta in larga parte da immigrati scampati alle violenze commesse dai croati durante la guerra nei Balcani.

Ecco, quindi, che quanto si registra ora nelle piazze di Zagabria dimostra che gli spettri della guerra in Yugoslavia e contro la Yugoslavia sono ancora presenti. E i paesi della Nato (Italia compresa) che scatenarono le loro armate contro la popolazione di quei paesi, sono sempre in tempo per riconoscere errori e crimini. Tanto più che oggi nelle piazze della Croazia si ripresentano gli ustascia di un tempo. I quali, per ora si limitano a cantare.

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