di Carlo Benedetti

All’inizio della storia c’è il periodo sovietico. Un matrimonio gestito tra Mirafiori e il Cremlino con uomini che si chiamavano Piero Savoretti (“senza di lui - disse una volta Agnelli - questo accordo con i sovietici non ci sarebbe stato”) e Aleksej Kossighin, benedetti anche da quel Pci delle Botteghe Oscure che aveva tutto da guadagnare dall’affare del secolo. Nasceva l’avventura dell’auto di massa in un paese immenso che conosceva solo pochissime automobili e tutte malmesse. Strade zero e benzina a 70 ottani. Eppure si stava per compiere il miracolo, una svolta storica. Tutto doveva avvenire sulle rive del Volga dove accanto all’azienda “made in Fiat” nasceva una città “made in Urss”. E per mettersi in buona luce con il Pci, il nome della città fu quello di “Togliatti”, “Gorod Togliatti”. La fabbrica si chiamò subito “Vaz” Volkskij avtomobilnij zavod. Era il 1967 e si muovevano già le prime utilitarie “Zhiguli” e “Lada” prodotte sul modello della Fiat 124. E il simbolo fu quello di una imbarcazione tipica del Volga dove, appunto, si snodava la città del futuro. Si puntava a conservare una propria riconoscibile identità. Ed ecco la situazione attuale. L’Urss è sepolta e dimenticata e ora c’è la Russia diretta dal duo Putin-Medvedev. La Fiat - consapevole di aver perso in questi anni la corsa al mercato russo mentre avrebbe potuto dominare da leader - punta ad un ritorno alla grande stabilendo nuove relazioni. Stende un velo pietoso sull’azienda di “Città Togliatti” (dilaniata dalle lotte politiche ed economiche degli oligarchi mafiosi e corrotti) e coglie al volo un contratto favoloso per la realizzazione di una fabbrica di autovetture all’interno del complesso automobilistico della “Severstal avto” di Elabuga, una cittadina del Tatarstan, regno islamico e cuore pulsante di una repubblica che sta sempre più alzando la testa. E’ qui, ora, che dalle prime catene di montaggio esce una vettura di serie che segna il ritorno della Fiat in Russia ed è proprio una storia da copertina.

L’accordo in merito era già nei tavoli del Cremlino: un partenariato strategico con la “Severstal avto”, settore automobilistico di un gigante siderurgico che in breve ha occupato una posizione di primo piano in Russia. Tutto avviene con alle spalle quell’exploit del 1967, quando il colosso torinese conquistò il mercato russo con le utilitarie Zhiguli e Lada prodotte a Città Togliatti sul Volga: copia esatta della Fiat 124. Sono trascorsi più di quarant’anni. Questo è, quindi, un ritorno in grande stile, perchè in Tatarstan saranno prodotti oltre alla Ducato, altri modelli di vetture come Grande Punto, Panda, Doblo, Albea e Croma. Per ora però si tratta di progetti di un futuro abbastanza prossimo, mentre il minibus Ducato sarà già realtà. E al via della catena di montaggio si ritrovano con il primo ministro Putin, Ezio Bara per la Fiat e Vadim Scvezov, direttore generale della “Severstal avto”.

Putin - riferiscono le cronache - ha visitato i vari reparti e non ha risparmiato osservazioni critiche. Ha parlato di ulteriori progetti anche con altre aziende del settore in vista di organizzare in Russia vari assemblaggi. Poi ha annunciato che nel 2012 si avrà una produzione di un milione e mezzo di vetture l’anno e che bisogna puntare ad una vetta che all’80% sia realizzata in territorio nazionale. E sempre con Putin, Ezio Bara e Vadim Scvezov hanno firmato un protocollo di intenti per aprire ad Elabuga un’Accademia di ingegneria con corsi di laurea e aggiornamento professionale per gli specialisti di domani. L’Accademia - è stato detto - potrà avvalersi dell’aiuto del Politecnico di Torino. I corsi inizieranno a settembre di quest’anno, nel rispetto delle tradizioni russe che fissano al primo settembre l’inizio dell’anno scolastico e accademico.

Ed ora chi scrive si permette un rapido amarcord legato alla Fiat in Russia. Era la fine degli sessanta e mi apprestavo a fare il mio ingresso a Mosca come corrispondente dell’Unità. Dopo un periodo di assestamento decisi di dare fondo ai miei risparmi e di comperare - in proprio - una macchina per muovermi a Mosca. La scelta cadde, ovviamente, sulla Fiat perché sapevo che l’azienda torinese stava operando attivamente e quindi pensai (sbagliando) che il servizio di assistenza sarebbe stato garantito. E così con l’aiuto dell’ufficio stampa della Fiat (diretto dalla signora Rubiolo che divenne poi leggendaria tra tutti i giornalisti italiani che operavano all’estero) trovai il modo di avere (con qualche sconto dovuto, appunto, a chi viveva a Mosca) una “Fiat 124 special”, modello rinforzato per una “versione russa”.

Vidi uscire dalle catene di montaggio l’auto. Già ben rodata e pronta per il viaggio verso Mosca. E così - via Budapest - raggiunsi Kiev e poi la capitale sovietica. Viaggio carico di avventure e imprevisti. Ma non è questo il tema del mio amarcord. Il fatto è che ogni volta che mi fermavo si formava un capannello di gente. E quando sapevano che era una 124 come quella che si doveva fare a Città Togliatti dicevano tutti: “Ci avete copiato prima che la nostra azienda cominci ad operare”. Beh! Quella era la Russia di quegli anni! Tanta arretratezza e tanto orgoglio.

Scoprii poi che le 124 made in Urss per tutto un primo tempo non riuscivano ad uscire dalle catene di montaggio sul Volga perché gli operai russi non reggevano i ritmi imposti da una automazione che non conoscevano. Le auto, così, arrivavano direttamente da Torino, ben nascoste in goffi container di legno. E ancora una volta capii quella Russia. Capace di chiudere gli occhi sulla sua arretratezza e di farli poi brillare con il suo orgoglio.

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