di Mariavittoria Orsolato

Molti erano già pronti a gustarsi la serata: Berlusconi nel salotto di Matrix a giustificarsi con gli italiani per le sue smargiassate telefoniche. E’ vero, finora nessuno sa quale sia il contenuto esatto delle intercettazioni nelle mani della Procura di Napoli, ma da quello che è trapelato, pare che il premier - oltre che disquisire sulle sue disfunzioni risolte con un farmaco sperimentale e sulle soubrettes posizionate strategicamente in Rai - si sia sbottonato sulle vicende che riguardano un’ex starlette poi diventata ministro. Il fedele Fedele aveva proposto la diretta con Mentana ma poi è giunta notizia che i nastri della vergogna sarebbero andati distrutti in quanto irrilevanti ai fini dell’indagine; così il cavaliere ha dato ascolto all’altro fedele (leggi Gianni Letta) e per una volta ha messo da parte le sue doti di grande comunicatore, limitandosi a berciare contro la solita magistratura rossa e la solita opposizione giustizialista e persecutrice. Fatto sta che dopo i segnali distensivi provenienti dalla Procura di Napoli e la freddezza con cui le alleate - Lega e An - avevano liquidato la proposta di padron Silvio, l’urgenza alla base del provvedimento anti-intercettazioni è stata miracolosamente ridimensionata, al punto tale da non comparire all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri tenutosi lo scorso venerdì. Nella conferenza stampa che ha seguito la riunione il presidente del Consiglio è però tornato alla sua personalissima battaglia contro i togati, ormai nemici pubblici numero uno: “Quello che appare su stampa e televisioni è un panorama completamente diverso rispetto all'azione del governo. L'attenzione si concentra su fatti che nulla hanno a che vedere con il programma di governo e portano in primo piano l'attacco continuo di certa magistratura a chi deve governare scelto dal Paese, mentre si vuole sovvertire il voto popolare, un tentativo - ha aggiunto Berlusconi - che è riuscito nel 1994 ma non riuscirà nel 2008”.

Parole che dribblano malamente il monito del Quirinale ad abbassare i toni ed ad accontentarsi dei successi già incassati. Mercoledì scorso Napolitano aveva infatti dato ufficialmente il via libera alla presentazione del lodo Alfano sull’immunità delle 5 più alte cariche dello Stato - versione riveduta e corretta di quel lodo Schifani che nel 2004 venne rispedito al mittente in quanto incostituzionale – nella speranza che la querelle sulla giustizia non si tramutasse in crisi istituzionale. Una specie di patto in cui, si vocifera, il presidente della Repubblica sembra aver usato i cosiddetti bastone e carota: va bene la salva-premier ma che poi non si discuta più di intercettazioni e libertà di stampa. In Italia cerchiamo sempre di salvare capra e cavoli, è un vizio congenito.

Le ultime uscite del Governo su sicurezza, magistratura e leggi ad personam hanno così preoccupato l’opposizione che, sebbene divisa al solito su modi e tempi, si è sentita in dovere di alzare la voce più volte nel corso delle ultime tre settimane. Mentre Di Pietro continua imperterrito l’assolo contro il conflitto d’interesse: “con tutti i problemi che ha il Paese, Berlusconi pensa solo ai suoi... Pensi ai problemi del Paese e non si lamenti se poi qualcuno glielo ricorda!”, il leader democratico Walter Veltroni rompe il sodalizio post-elettorale del “volemose bene” e si scaglia conto le priorità della maggioranza, riscoprendosi uomo di sinistra: “Se il governo vuole fare un decreto lo faccia sui salari, sugli stipendi, sulle pensioni e sui prezzi, perchè queste sono le urgenze del Paese. Se invece - aggiunge il segretario del Pd - governo e maggioranza manterranno l'atteggiamento che hanno da 20 giorni a questa parte, se non toglieranno di mezzo un emendamento sul dl sicurezza che non ha nulla a che vedere con la sicurezza (il famigerato salva-processi ndr) e se sarà presentato un decreto sulle intercettazioni, mettano in conto un ulteriore inasprimento del clima in Parlamento”. Vivaddio!

Nel frattempo magistrati e giornalisti tirano un sospiro di sollievo. La mancata discussione del decreto legge, dovuta ufficialmente ad un sostanziale ingolfamento del calendario istituzionale, vanifica le pesanti pene - fino a 5 anni di carcere - previste per i trasgressori che avessero autorizzato l’esecuzione o la pubblicazione di intercettazioni riguardanti fatti non legati a criminalità organizzata e terrorismo.

La magistratura tanto osteggiata dal premier potrà dunque continuare ad intercettare, diciamo, per un altro paio di settimane. Non appena sarà ufficiale l’approvazione del lodo Alfano il presidente del Consiglio avrà lo scudo dell’immunità e diventerà ufficialmente un cittadino per cui la legge non è uguale; con la salva-processi imboscata poi nel pacchetto sicurezza è sicuro che l’uomo che si è fatto da solo non avrà da temere giudizio alcuno. Toghe rosse a parte, con il curriculum giudiziario che vanta e con le acrobazie legislative che sta tentando di mettere in atto, Berlusconi deve abituarsi all’idea che nel paese delle libertà sia lecito che un legittimo sospetto sulle sue buoni iintenzioni possa balzare alla mente. O forse il legittimo sospetto ha il copyright Mediaset?

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