di Michele Paris

Stanno suscitando non pochi malumori tra i suoi sostenitori le recenti prese di posizione di Barack Obama su alcune questioni al centro del dibattito politico statunitense, questioni che sembrano delineare una svolta moderata in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Che la nuova strategia del Senatore dell’Illinois, peraltro già difficilmente inquadrabile in rigidi schemi ideologici, segua l’esempio di molti dei precedenti candidati democratici alla Casa Bianca, quasi costretti a fare appello agli elettori di centro durante la campagna elettorale una volta conquistata la nomination del proprio partito, è fuori discussione. Tuttavia, le sue recenti dichiarazioni sull’Iraq, sulle sentenze della Corte Suprema circa il possesso di armi e la limitazione della pena di morte, nonché il suo avvicinamento agli evangelici, rischiano di far affievolire almeno in parte l’entusiasmo che era riuscito a sollevare nella prima fase delle primarie, soprattutto tra i giovani americani sedotti dalla promessa di cambiamento. Uno dei segnali di questo disagio tra gli elettori democratici si è misurato sulle norme cui l’amministrazione Bush ha fatto ricorso in tema di sicurezza interna. Il sito web ufficiale della campagna elettorale di Obama è stato letteralmente infatti inondato pochi giorni fa da messaggi di protesta a causa della sua inversione di rotta circa un provvedimento approvato dal Congresso per ampliare i poteri di sorveglianza delle agenzie governative sui cittadini statunitensi.

Voluta fortemente dal presidente Bush, la nuova legge che sostituisce la predente del 1978, denominata FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), garantisce l’immunità alle grandi compagnie telefoniche che nelle settimane successive all’11 settembre hanno fornito al governo intercettazioni sulle comunicazioni internazionali di americani sospettati di essere collegati alla rete terroristica di Al Qaeda senza passare attraverso l’ordinanza di un tribunale. Nonostante si fosse a lungo opposto a tale norma, Obama ha poi finito con l’appoggiarla, definendola come un compromesso “imperfetto” ma necessario, dal momento che oltre a prevedere l’immunità per aziende come AT&T e Verizon, essa pone anche delle restrizioni sostanziali all’invadenza della privacy dei cittadini da parte del governo.

Le difficoltà del candidato democratico in materia di sicurezza nazionale, anche di fronte ad un presidente in posizione di grande debolezza e in picchiata nei consensi, sono emerse nuovamente anche la settimana scorsa durante una visita in North Dakota. Nel corso di una conferenza stampa tenuta nella cittadina di Fargo, rispondendo ad alcune domande sulla situazione in Iraq, Obama sembrava aver lasciato intendere di essere disposto a tornare sui propri passi riguardo l’annunciato ritiro delle truppe americane a breve scadenza.

Tali affermazioni hanno immediatamente sollevato un polverone sia tra i democratici sia tra i repubblicani. A poche ore di distanza dalle prime dichiarazioni, il 46enne Senatore afro-americano ha dovuto così convocare nuovamente i giornalisti per chiarire la sua posizione e stroncare sul nascere ogni possibile fraintendimento. Ferma intenzione di Obama resta cioè quella di porre fine al conflitto, anche se la sua imminente visita in Iraq e i colloqui con i vertici militari che seguiranno potrebbero modificare le modalità e i tempi del ritiro a seconda dell’evolversi della situazione sul campo.

Anche le posizioni sulla sentenza della Corte Suprema, relative al diritto di possedere armi hanno suscitato perplessità. Le recenti discusse deliberazioni del supremo tribunale americano che hanno decretato da un lato la legittimità del possesso di armi da fuoco da parte dei singoli cittadini e dall’altro l’incostituzionalità dell’applicazione della pena di morte per i colpevoli di violenza sessuale su minori, sono state infatti accolte da Obama in maniera inaspettata - e con un certo allarme - dagli “amici schierati a sinistra”, secondo le parole dello stesso Senatore. I suoi commenti alle due sentenze infatti contrastano nettamente con le sue precedenti posizioni “liberal” che avevano alimentato l’entusiasmo degli elettori democratici durante le primarie.

Fin troppo cauto a causa della delicatezza del tema del diritto a possedere un’arma da fuoco per evitare di alienarsi ulteriormente le simpatie della “working-class” degli Stati del Midwest e dei Monti Appalachi, Obama si è affrettato ad esprimere il proprio appoggio alla decisione della Corte Suprema che ha cancellato le norme sul controllo delle armi nella capitale Washington dichiarandosi un fervente sostenitore dell’interpretazione in senso individuale del Secondo Emendamento. Già sconcertata da questa presa di posizione, l’ala più progressista dei sostenitori di Obama ha dovuto poi incassare anche il suo commento alla seconda deliberazione, verso la quale il candidato democratico ha avuto parole di condanna, sottolineando invece il suo appoggio alla pena di morte per chi si renda colpevole di violenza sessuale su minori anche nel caso che non si verifichi il decesso della vittima.

E anche la religione sembra essere terreno di ripensamenti per il candidato in pectore. In aperta competizione con McCain, verso il quale molti gruppi evangelici continuano a nutrire forti riserve, Barack Obama sta programmando una serie di incontri con vari leader religiosi cercando di fare breccia in una realtà che alle presidenziali del 2004 si schierò in grande maggioranza a favore di George W. Bush. Decisamente più a suo agio nel parlare di religione rispetto all’avversario repubblicano, Obama è sembrato però andare al di là delle concessioni tradizionalmente garantite alle organizzazioni religiose dai candidati democratici alla presidenza degli Stati Uniti.

In una pericolosa sovrapposizione dei confini delle competenze tra Stato e Chiesa, il Senatore dell’Illinois ha sostenuto con fermezza il ruolo di quest’ultima nella fornitura di servizi sociali agli strati più deboli della popolazione, una politica questa già perseguita senza troppo successo dall’attuale inquilino della Casa Bianca. Va detto tuttavia che la proposta di Obama prevede che il finanziamento di tali programmi di assistenza da parte del governo federale possa avere luogo solo nel caso in cui le organizzazioni che ne beneficeranno rinuncino ad ogni forma di discriminazione su base religiosa, non solo nei confronti dei destinatari dell’assistenza ma anche, e questa seconda condizione ha suscitato le proteste degli stessi leader religiosi, del personale assunto per gestire i servizi assistenziali offerti. Non è la prima volta che i candidati democratici, ottenuta la nomination, cercano di accreditarsi in chiava più moderata rispetto alla gara per conquistare il consenso all’interno del proprio partito. Ma il rischio è che mentre difficilmente si possono conquistare i consensi dell’altro campo, si può facilmente demotivare i propri sostenitori. La Casa Bianca potrebbe allontanarsi definitivamente.

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