di Eugenio Roscini Vitali

Costruito sulle cime del Chuor Phnom Dangkrek, il tempio di Preah Vihear domina da un lato la Cambogia e dall’altro la Thailandia. Fra le sue rovine i soldati di Phnom Penh montano la guardia tutti i giorni; all’ingresso della struttura sventola la bandiera cambogiana raffigurante Angkor Wat, il più vasto sito religioso del mondo, subito fuori si intravedono i militari Thai. Edificato nel X secolo dalla dinastia Suryavarman, Preah Vihear è stato per lungo tempo uno dei principali simboli della vita spirituale dell’impero Khmer e, anche se per motivi diversi, è ancora oggi considerato un tempio particolare: lo è per il suo interesse storico, artistico e religioso; perchè a differenza di tutti gli altri templi Khmer è costruito lungo l’asse meridiano; perché dal 7 luglio 2008 è entrato a far parte dei patrimoni dell'umanità; perché sorge a cavallo dell’omonima provincia cambogiana e del distretto thailandese di Sisaket e perché è ormai da anni al centro di una infuocata disputa tra Cambogia e Thailandia. Anche se tra i due Paesi il confronto su Preah Vihear registra una datazione più recente, il problema sulla legittima proprietà del tempio risale al 1904, anno in cui la Francia e il Siam, l’attuale Thailandia, decisero di ridisegnare i confini della Cambogia. Secondo quanto indicato dallo spartiacque naturale dei monti Dangrek, Preah Vihear si sarebbe dovuto trovare in Thailandia. Così fu fino a quando, nel 1907, i francesi produssero una nuova mappa con la quale stabilivano che il tempio si trovata all’interno dei confini cambogiani.

Passarono alcuni anni prima che l'esercito Thai potesse riprendere il controllo del sito: lo fece nel 1954, approfittando del ritiro delle truppe francese e vietnamite da una Cambogia impegnata a guadagnare la propria indipendenza. Le proteste di Phnom Penh non tardarono a farsi sentire e nel 1959 venne chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di confermare che il tempio si trovava in territorio cambogiano.

Una volta all’Aja, la questione si trasformò subito in un problema politico. Per la Thailandia era una logica questione di rispetto dei confini naturali; per la Cambogia l’affermazione di un diritto che avrebbe ridato prestigio ad una nazione considerata per lungo tempo una terra di conquista. Le relazioni diplomatiche divennero subito tese e i due governi non esitarono a ricorrere alla minaccia delle armi. Alla fine, il 15 luglio 1962, la Corte Internazionale di Giustizia decise che Preah Vihear era in territorio cambogiano; la Thailandia venne condannata a riconsegnare tutto quello che era stato incautamente asportato dal tempio.

Più che su un fatto di eredità storica e culturale, la decisione si basò sulla stesura dei confini fatta dai francesi, una questione tecnica che diede ragione a Phnom Penh e scatenò la reazione di Bangkok. Nonostante le proteste, il governo thailandese dovette però accettare la decisione e nel gennaio 1963 la Cambogia prese ufficialmente possesso del tempio: in segno di riconciliazione il principe Sihanouk concesse al popolo Thai di accedere liberamente al luogo religioso e rinunciò ufficialmente alla restituzione delle opere trafugate.

Con lo scoppio della guerra civile cambogiana (1970), Preah Vihear divenne un baluardo militare inespugnabile, ultimo luogo a cadere nelle mani dei Khmer Rossi. I soldati leali al governo di Lon Nol cedettero agli uomini di Pol Pot solo dopo il 22 maggio 1975, quando la Cambogia era già da tempo caduta nelle mani dell’esercito rivoluzionario e il popolo pagava l’aberrante violenza di uno dei regimi più sanguinari del XX secolo. Preah Vihear venne nuovamente attaccato nel 1978: questa volta furono i vietnamiti ad assediare il tempio; l’anno successivo toccò alle forze di sicurezza Thai. Lungo il confine la guerriglia proseguì ancora per molti anni e l’area rimase praticamente isolata fino al 1998, anno in cui l'ultima forza di guerriglia Kmer decise di arrendersi al governo di Phnom Penh.

Pur mantenendo lo scontro sul piano diplomatico, la disputa con la Thailandia si è riaccesa non appena è finita la guerra. Per alcuni anni i rapporti tra i due Paesi sono rimasti accettabili, almeno fino a quando la Cambogia ha chiesto all'UNESCO di inserire Preah Vihear e i territori circostanti tra i patrimoni dell'umanità. Oggi la questione verte proprio sulle zone che danno sul versante thailandese e che Bangkok ritiene sue. La crisi è scoppiata il 22 giugno 2008: alle manifestazioni che i Thai hanno organizzato per protestare contro la decisione dell’UNESCO le autorità di Phnom Penh hanno risposto chiudendo il valico di frontiera che permette l’acceso al tempio. Il mese successivo, mentre in Canada veniva discussa la richiesta cambogiana, Bangkok riafferma ufficialmente che una parte dell’edificio sacro si trova in territorio Thai. Il 10 luglio 2008 la svolta: il ministro degli Esteri thailandese, Nappadon Pattama, sottoscrive il documento UNESCO che accoglie la richiesta cambogiana. La questione sembra ormai risolta ma non è così.

La firma dell’atto viola di fatto l’articolo 190 della Costituzione thailandese che, per questioni territoriali, richiede un dibattito politico e l’autorizzazione del parlamento. Il caso viene portato di fronte alla Corte suprema che annulla la ratifica dell’accordo; il ministro degli Esteri è costretto a presentare le dimissioni. La controversia non è affatto conclusa e mentre a Bangkok l’opposizione anti-Thaksin attacca il premier Samak Sudaravej, il 15 luglio l’esercito Thai schiera più di 400 militari nei pressi della frontiera. Phnom Penh risponde subito alla provocazione rafforzando le difese del tempio con 1200 soldati e denuncia casi di sconfinamento da parte delle truppe thailandesi. Il 17 luglio, dopo che i colloqui bilaterali di Singapore naufragano in un nulla di fatto, la Cambogia chiede al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intervenire.

La posizione della Thailandia comunque non cambia e riferendosi alla prossime elezioni politiche, il primo ministro thailandese accusa il premier cambogiano Hun Sen di utilizzare la crisi per scopi puramente elettorali. Così, in attesa che la situazioni si sblocchi, il tempio patrimonio dell'umanità diventa ostaggio delle armi, motivo di crisi usato ad arte per non affrontare i gravi problemi interni che affliggono i due Stati e luogo di culto e di pace che assomiglia sempre di più ad una roccaforte militare.

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